giovedì 14 luglio 2011

Il vento lieve dell'Eucaristia. Il vento lieve dell'Eucaristia (Inos Biffi)

Nella teologia di san Bonaventura

Il vento lieve dell'Eucaristia

di INOS BIFFI

Chi si accosta degnamente all'Eucaristia - scrive san Bonaventura nello splendido Sermone sul santissimo corpo di Cristo - vi attinge una quadruplice grazia: "Questo sacramento infonde la forza di operare; eleva alla contemplazione; dispone alla conoscenza delle realtà divine; anima e accende il disprezzo del mondo e il desiderio dei beni celesti ed eterni", com'è detto di Elia che "con la forza di quel cibo camminò fino al monte di Dio, vide i segreti divini e si fermò all'ingresso della caverna".
"L'anima devota trae da questo sacramento anzitutto l'energia per agire, e infatti si dice di Elia che "con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni"". Quel cibo, osserva il Dottore Serafico, si riferisce al "corpo di Cristo", in virtù del quale "l'uomo riesce a sostenere la faticosa e incessante crescita nella vita spirituale".
Interpretando poi allegoricamente il numero quaranta, quale simbolo dell'Antico Testamento e del Nuovo Testamento, Bonaventura prosegue: "Camminare per quaranta giorni rinvigoriti da quel cibo significa progredire nella vita spirituale durante tutto il nostro tempo, in cui la nostra vita è guidata dal Nuovo e dall'Antico Testamento".
Il secondo frutto dell'Eucaristia consiste "nell'innalzare alla contemplazione": si dice infatti di Elia che "pervenne al monte di Dio". Ora, "a che cosa allude il termine "monte", se non all'elevazione della mente?". Bonaventura ne dà, quindi, l'illustrazione sullo sfondo della storia di Mosè, "occupato nell'azione", mentre pascolava il gregge; "vòlto a raccogliere nell'intimo del cuore tutti i suoi atti e le sue affezioni", quando condusse il gregge oltre il deserto; "con la mente elevata alle realtà celesti", una volta arrivato al monte di Dio; e quindi "con l'anima ormai dedita alla contemplazione", avuta in dono dopo l'apparizione del Signore. Un'apparizione "in una fiamma di fuoco", nota il Serafico, che prosegue: "Il fuoco ha il potere di riscaldare e di illuminare, a indicare che quando l'anima perviene alla grazia della contemplazione, l'intelletto vi attinge la luce della conoscenza e l'affetto l'incendio dell'amore".
In terzo luogo nell'Eucaristia si è preparati alla manifestazione di Dio, e qui torna la figura di Elia, che, giunto sull'Oreb, attende il passaggio del Signore, presente non nel "vento impetuoso e gagliardo che spacca i monti", o "nel terremoto" e non "nel fuoco", ma nel "sussurro di una brezza leggera".
Ma importa, per Bonaventura, passare oltre l'allegoria: se Dio si rivela in questo vento lieve, vuol dire che "egli non si trova nello spirito della superbia, o nell'agitazione dell'impazienza, o nel fuoco della cupidigia o della concupiscenza carnale, bensì nella quiete di una coscienza serena".
L'Eucaristia, infine, suscita il disprezzo del mondo e il desiderio dei beni del cielo. È l'effetto alluso dal gesto di Elia, che "si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna". "Appena, infatti, l'anima viene innalzata alla visione dell'immensa bellezza di Dio e della sua forza infinita, subito precipita nella propria pochezza, si copre il volto in profonda umiltà, esce dalla cupidigia del mondo e si ferma sulla soglia della caverna, cioè sospira all'eternità. La caverna rappresenta il corpo umano, mentre la soglia il desiderio di uscire".
Per Bonaventura esiste un intimo legame tra il sacramento dell'Eucaristia e l'esperienza di Dio: la comunione con il Corpo di Cristo infonde nell'anima le risorse spirituali per ascendere via via fino al vertice mistico dell'esistenza cristiana, ossia fino alla contemplazione, in cui si fondono la luce dell'intelletto e il fuoco della carità, lasciando ardente il desiderio della vita eterna.
È facile riconoscere in questo linguaggio eucaristico i temi, gli accenti e i termini suggestivi e tipici della teologia bonaventuriana, intesa come sapienza, che insieme comprende "la conoscenza e l'amore".

(©L'Osservatore Romano 15 luglio 2011)

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