La Chiesa e le istituzioni del Benin a quattro mesi dalla visita del Papa
Un popolo in attesa
di Egidio Picucci
Moins 140: è il titolo a due colonne con cui il 1˚ luglio scorso «La Croix du Bénin», il settimanale cattolico del Paese, fondato nel 1946, ha annunciato ai cattolici che fra 140 giorni (18-20 novembre) Papa Benedetto XVI visiterà il Paese. La mobilitazione per l'avvenimento è generale ed è stata presa in mano dal Governo, dalla nunziatura e dalla Conferenza episcopale del Benin (Ceb), che si stanno mobilitando secondo le rispettive competenze perché questa seconda visita del Pontefice al continente (la prima avvenne nel marzo del 2010, con brevi permanenze nel Camerun e in Angola) sia all'altezza della situazione.
La scelta del Benin per consegnare l'asortazione Apostolica del secondo Sinodo dell'Africa sul tema «La Chiesa africana al servizio della riconciliazione e della pace», non è casuale, perché la Chiesa locale sta ricordando due avvenimenti importanti: il centocinquantesimo anniversario dell'evangelizzazione, per il quale è stato indetto un anno giubilare, e il quarantesimo anno dall'inizio dei rapporti diplomatici tra il Governo e la Santa Sede, annunciati con un comunicato congiunto del 30 giugno 1971.
La Conferenza episcopale ha istituito un comitato che comprende varie commissioni per l'accoglienza di quanti arriveranno nel Paese per la visita del Papa; la loro sistemazione; i trasporti; la liturgia; le comunicazioni e, non ultima, la raccolta di fondi per un evento che passerà alla storia del Paese.
Per la privilegiata occasione la Ceb, anche attraverso il contributo delle parrocchie, disporrà l'apertura di un sito web per far seguire in tempo reale le cerimonie previste nei tre giorni di permanenza del Papa.
«La Croix» ha anche preparato uno studio sulla situazione religiosa del Paese insieme con i giornalisti cattolici, confrontandola a quella del Nord Africa ai primi secoli della Chiesa. «Come tra le varie cause della decadenza del cristianesimo di allora, si legge nello studio, c'è stato anche il persistente uso del latino nella liturgia, lingua che la gran parte delle popolazioni berbere del tempo non parlava più e che quindi non poteva avvicinarsi alla Parola di Dio, così potrebbe accadere per la nostra chiesa locale, visto che, dopo 150 anni di evangelizzazione, non esiste ancora una traduzione cattolica della Bibbia in nessuna delle nostre lingue. Non potrebbe derivare anche da questo il sincretismo religioso che prospera nel Paese; la decadenza dei costumi; la proliferazione delle sette, più pericolose delle eresie che sconvolsero il Nord Africa ai tempi di sant'Agostino?».
Nel Paese c'è, tuttavia, una profonda religiosità popolare che si traduce anche in una provvidenziale fioritura di Istituti religiosi locali (sette femminili e uno maschile, per un totale di 815 consacrati), in collaborazione con 74 congregazioni femminili e a 26 maschili impegnati nel territorio per una nuova evangelizzazione, soprattutto attraverso la scuola (il vescovo di Natitingou, monsignor Pascal N'Koué, ora Arcivescovo di Parakou, ne voleva una in ogni parrocchia); nell'impegno per una maggiore inculturazione, affidato particolarmente all'Institut Artisan de justice et de paix e all'Istituto Pontificio Giovanni Paolo II per il matrimonio e la famiglia.
La loro opera, unita a quella di altre istituzioni, come quella del Mouvement d'Apostolat des enfants du Bénin, fondato 61 anni fa per l'assistenza ai bambini (punto debole della società beninese, assieme a quello della condizione della donna), non è tuttavia sufficiente a purificare alcune espressioni religiose che non disdegnano evidenti riferimenti ad antichi culti locali (vodù); a tranquillizzare la gente di fronte al perseverante timore degli spiriti e dei malefìci, vera piaga nazionale da cui la Chiesa non riesce a liberare i battezzati: due milioni e mezzo (24 per cento della popolazione), distribuiti in dieci diocesi, rette tutte da vescovi locali, e 312 parrocchie, affidate a un clero giovane e numeroso, tanto che 224 sacerdoti lavorano all'estero.
«La visita del Papa -- ha detto un giornalista -- per tre giorni farà del Benin la Città del Vaticano africana. Il nostro Paese sarà sugli schermi di tutto il mondo. Soprattutto noi giornalisti cattolici, siamo chiamati a usare i mezzi di comunicazione in modo obiettivo e responsabile. Per noi sarebbe il più bel frutto della visita che attendiamo come una benedizione di Dio».
(©L'Osservatore Romano 20 luglio 2011)
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