L'agonia del Corno d'Africa e l'azione della Caritas. Beccegato: servono acqua, cibo e protezione per gli sfollati
L’Africa orientale è dunque in agonia per la peggiore siccità degli ultimi 60 anni che ha colpito in particolare la Somalia, ma anche Kenya, Etiopia e Gibuti. L’emergenza non è finita, mentre alcune zone sono ora devastate da piogge torrenziali che si abbattono sui campi profughi, ormai allo stremo. La Chiesa si è attivata fin da subito, attraverso l’invio dei primi aiuti economici e mediante il supporto delle tante associazioni presenti sul posto. Tra queste, la rete Caritas, che sta predisponendo un programma globale di aiuti d’urgenza per l’intero Corno d’Africa. Linda Giannattasio ha chiesto a Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale di Caritas Italiana, come si stia muovendo l’Associazione, ascoltiamo:
R. – La prima azione è quella concreta di venire incontro ai bisogni di queste popolazioni, sia dal punto di vista dei bisogni primari, che dei tanti problemi collegati a quanto sta accadendo. Quindi, non solo acqua e cibo, ma anche la parte sanitaria, l'assistenza alle persone nella loro rilocazione altrove: in alcuni punti si unisce il problema del cibo a quello della sicurezza, a quello dello spostamento di numerosissime persone. Il lavoro, quindi, è molto complesso e coinvolge più nazioni e la creazione di una rete tra le Caritas colpite da questo enorme problema senza precedenti nelle ultime decadi rende il tutto estremamente complesso ed estremamente delicato.
D. – Agli sforzi che state facendo sul posto si unisce anche Caritas Italiana, che da anni è impegnata nel Corno d’Africa in collaborazione con tutte le Chiese locali...
R. – Tradizionalmente, manteniamo un forte impegno nel Corno d’Africa, sia in Somalia – dove da più di 20 anni lavoriamo molto per quello che si può fare forse nel Paese più povero e più dimenticato al mondo – sia con la presenza di operatori, sia con finanziamenti e progettazione di interventi. I Paesi colpiti sono numerosi: il Gibuti, in particolare, dove abbiamo due volontari a fianco del vescovo, mons. Bertin; Kenya, Etiopia, dove anche abbiamo avuto e abbiamo operatori e volontari. C’è poi l’Eritrea, l’unico Paese oltre alla Somalia a non essere neanche nelle liste dell’Onu per lo sviluppo umano, perché non ci sono nemmeno i dati relativi alle povertà. Sono tutti Paesi molto problematici, proprio perché appena succede qualcosa di diverso e di grave, oltre ciò che già li aggrava, non hanno la capacità di rispondere ai bisogni della popolazione.
D. – Voi richiamate l’attenzione anche sul problema dei cambiamenti climatici e sul loro impatto negativo, in particolare sui più poveri...
R. – Sì, il tema del riscaldamento globale, il tema della produzione del cibo, che ha conosciuto negli ultimi anni numerosissime situazioni simili non solo in Africa, ma anche in Australia, anche nell’Asia centrale, anche nell’America Latina. In più c’è un altro fenomeno, che il Papa ha giustamente denunciato con grande forza, che è quello delle speculazioni sui prezzi del cibo. Questo problema è collegato anche a tutto quello che è successo nel Nord Africa. Ci sono, quindi, tutta una serie di fenomeni collegati fra loro, rispetto ai quali bisogna entrare nel dettaglio ed evitare che vadano poi a discapito di milioni di persone. (ap)
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