In Siria prosegue la repressione dell’esercito. Il commento alle parole del Papa del Patriarca greco melkita di Damasco e del nunzio apostolico
In Siria non si ferma la repressione. Dopo i duri scontri nel primo venerdì di protesta durante il Ramadan, oggi si registra l’intervento dei carri armati dell’esercito a Dayr az Zor, nell'est del Paese. Le vittime sono almeno 38. Diversi osservatori sottolineano che la mano dura del governo si accompagna alla concessione di “elezioni libere e trasparenti” entro la fine dell’anno, annunciate ieri dal ministro degli Esteri siriano. Ma la comunità internazionale aspetta la cessazione delle violenze per dare credito a queste aperture. Il servizio di Marco Guerra:
Le notizie che arrivano dagli attivisti siriani tratteggiano l’ennesima giornata di sangue. Otto civili sarebbero stati uccisi nella provincia di Homs, mentre è ancora in corso l’operazione con i carri armati iniziata all’alba a Dayr az Zor, nell'est del Paese. Testimoni riferiscono di un bombardamento sulla città e rastrellamenti con le truppe corazzate a seguito dei quali sono scoppiati diversi scontri. Notizie che, se confermate, testimoniano la linea del governo che accompagna l’apertura alle riforme al pugno duro contro il dissenso. Solo ieri, infatti, il Ministro degli Esteri aveva annunciato agli ambasciatori accreditati che entro la fine dell'anno si svolgeranno "libere e trasparenti elezioni", che daranno "vita a un parlamento pluralista", secondo i principi indicati negli ultimi decreti sul multipartitismo e sulla nuova legge elettorale. Di tono opposto le parole usate oggi dal presidente Assad, secondo il quale "è un dovere agire contro i fuorilegge" che bloccano le strade e terrorizzano la popolazione”. Il presidente, dunque, mostra fermezza nonostante il moltiplicarsi delle pressioni della comunità internazionale. Ieri il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, in un colloquio telefonico con Assad, ha chiesto di non ricorrere più ai militari per reprimere le proteste. Poco prima, il Consiglio di cooperazione del Golfo, che riunisce i Paesi della penisola araba, aveva per la prima volta preso ufficialmente le distanze dal governo di Damasco, invocando "la fine dello spargimento di sangue".
Come ha esortato il Papa all’Angelus, l’auspicio è che in Siria si ristabilisca quanto prima la pacifica convivenza. Su queste parole pronunciate dal Santo Padre si sofferma, al microfono di Marco Guerra, il patriarca greco melkita di Damasco, Gregorio III Lahham:
R. – Voglio veramente dire grazie al Papa per la sua sollecitudine e per il suo amore verso il Medio Oriente: ha convocato il Sinodo speciale per il Medio Oriente, tenutosi nel 2010, che si è rivelato per noi veramente una preparazione per affrontare la difficile situazione di questi mesi, di questo anno. Con il Santo Padre siamo anche noi in preghiera, in cenacolo, soprattutto in questo mese mariano in Oriente. Abbiamo invitato tutti i nostri cristiani a pregare nelle chiese ogni giorno per la pace e per la riconciliazione, anche con i nostri fratelli musulmani per affrontare insieme questa situazione.
D. – Quale è il suo appello in questo momento così difficile?
R. – Voglio, allo stesso tempo, con Sua Santità, con la sua voce così forte, richiamare l’Europa e pure l’America, perché facciano in modo di risolvere il conflitto israelo-palestinese, che aiuterebbe molto tutti i Paesi arabi, con Israele, ad avere un avvenire migliore. Credo che questa soluzione sia importante per noi.
D. – Quali i timori e le speranze della comunità cristiana?
R. – Non abbiamo paura dell’islam, abbiamo paura che subentri il caos come in Iraq. E vogliamo dire anche ai cittadini arabi – cristiani e musulmani – in questa situazione, sia in Libano che in Libia, che in Egitto, che in Oman e in Yemen: “Amatevi l’uno con l’altro”. Noi possiamo con l’amore di Dio per noi cristiani e musulmani superare questa crisi e questa situazione tragica del mondo arabo e continuare insieme - cristiani, musulmani e arabi - la via della pace, del progresso, della libertà e della democrazia.(ap)
Sull’appello del Papa per la Siria ascoltiamo anche il commento del nunzio apostolico nel Paese, mons. Mario Zenari, intervistato da Marco Guerra:
R. – Ricordo che è la seconda volta che il Santo Padre fa un appello accorato per la situazione in Siria. Questo fa vedere come al Papa stia a cuore questa area del mondo medio orientale. Ricordo che la Siria è chiamata, a ragione, “la culla del cristianesimo”. Dopo Gerusalemme, il cristianesimo ha preso terreno qui, in questa regione. Questa terra, nei primi sette secoli, ha dato ben sei Papi alla Chiesa. Occorre ricordare che la Siria è stata, ed è tuttora, un Paese esemplare dal punto di vista dell’armonia tra le varie confessioni religiose, per il rispetto mutuo tra la maggioranza musulmana e la minoranza cristiana. Noi vogliamo sperare che questo clima possa continuare e vogliamo pregare affinché si trovi il modo, anzitutto, di far cessare lo spargimento di sangue.
D. – Il Papa ha lanciato anche un appello alle autorità e alla popolazione, perché si ristabilisca la convivenza. L’apertura al multipartitismo, l’annuncio delle elezioni vanno in questa direzione?
R. – Naturalmente, occorre che questo sia fatto anche nel quadro di un dialogo nazionale, che, purtroppo, trova ancora degli intoppi. Vogliamo sperare che ci sia buona volontà. Il Papa giustamente incoraggia la buona volontà degli uni e degli altri. Occorre un supplemento di buona volontà da ambo le parti, delle autorità e dell’opposizione.
D. – Quale contributo può dare la comunità cristiana?
R. – L’apporto dei cristiani penso sia fondamentale. Più di un sacerdote mi ha fatto osservare che i cristiani hanno questa caratteristica: sono ponte fra le diverse etnie, un ponte per trovare una soluzione di riappacificazione e di concordia. (ap)
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1 commento:
"Non abbiamo paura dell’islam, abbiamo paura che subentri il caos come in Iraq." Capito??? Anche se non piace agli orianafallaciani in servizio permanente, il caos in MO l'hanno portato i nostri eterni mentori statunitensi non i cattivacci islamicacci che ora, chissà perchè, si ribellano (predisponendo per gli israeliani un bel motivo moralmente valido per attaccare il "male assolto siriano". Teniamoci saldi!
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