sabato 20 agosto 2011

La bella gioventù e un "nonno" speciale (Valli)

La bella gioventù

Aldo Maria Valli

Sono belli, bravi, ordinati, festosi ma non beceri, allegri ma non inconsapevoli, devoti ma non beghini. Hanno facce pulite, sguardi luminosi. Da dove escono questi ragazzi della Gmg 2011? Sarebbe facile rispondere che escono dalle parrocchie, dai diversi movimenti e gruppi religiosi, dalle mille espressioni dell’arcipelago cattolico giovanile. Ma la domanda richiede risposte più profonde.
Da quale mondo escono, da quale cultura, da quale formazione, da quali famiglie? Si parla tanto di frammentazione interiore, di pensiero debole, di povertà intellettuale, di apatia e di mammismo, e poi ti ritrovi a fare i conti con ragazzi del tutto diversi. Pregano molto, ma non rinunciano a pensare. Stanno in coda sotto il sole per confessarsi, ma non hanno i volti tirati dei penitenti di professione. Parlano di castità e fedeltà, ma non si comportano da bigotti e vedi che ragazzi e ragazze si tengono per mano e si baciano senza imbarazzi. Per chi vive la Gmg dal punto di vista dei mass media, e in particolare di quel medium invadente che è la televisione, colpisce poi la loro padronanza dell’obiettivo della telecamera.
Rispondono a tono a ogni domanda (e quelle di noi cronisti sono spesso davvero stupide), non si scompongono mai, possiedono i tempi televisivi, sanno fare sintesi, si muovo a loro agio, intuiscono di che cosa ha bisogno la macchina dell’informazione. Come fanno? Qui la risposta sembrerebbe più facile: sono cresciuti con la televisione, la conoscono, la respirano. Ma c’è di più. Dimostrano anche di conoscerla internamente e di saperla usare per quello che è.
Troppo belli per essere veri? Confesso che la domanda ogni tanto mi sfiora. Possibile che non abbiano inquietudini, che non vogliano protestare contro qualcuno, che non pensino alla loro gioventù come a un tempo di ribellione, di opposizione e di indisciplina rispetto all’autorità? Com’è che sorridono sempre e non lanciano imprecazioni? Poi però parli con loro (senza microfono) e scopri che le preoccupazioni ci sono, e ci sono anche le sofferenze; c’è a volte la malattia, c’è il senso di precarietà causato dalla mancanza di lavoro. Ma non c’è angoscia. C’è, al contrario, una profonda fiducia nell’uomo e nelle sue risorse, perché tutti vivono una fede che non è fondata su una teoria o su una filosofia.
Dicono di aver fatto l’incontro che ha cambiato la loro vita.
Un incontro che solo in parte si può spiegare con le parole, ma è di un’efficacia senza pari.
Dopo Madrid 2011, le interpretazioni sociologiche di questa gioventù non mancheranno. Nell’attesa, registro un’immagine che ho colto dalle parti del Paseo de la Castellana, vicino al centro stampa. Una ragazza accompagna una sua coetanea, tenendola impercettibilmente per il braccio e aiutandola a scendere alcuni scalini. La seconda ragazza è cieca, e quando la coppia raggiunge il marciapiede si ferma un istante. Deve lasciar passare un’altra coppia di ragazzi, anche loro in divisa da Gmg. Il primo procede con passo svelto e spinge una carrozzella sulla quale sta l’amico. Non so se questa scena spiega qualcosa. Forse sì, forse no. Però non riesco a dimenticarla. E poi mi capita di pensare spesso ai genitori di tutti questi ragazzi. Come hanno fatto a tirarli su così? E che cosa staranno pensando adesso? Saranno in pena per i figli, immersi in un avvenimento attorno al quale non manca qualche tensione, o saranno felici di saperli in compagnia del papa? Se questi ragazzi sono così come appaiono, un po’ di merito (o di colpa) sarà proprio dei genitori.
Ma chi sono questi quarantenni e cinquantenni che sono riusciti in un’operazione tanto ardita? Dove vivono? Anche qui torna un certo spaesamento. Tutta questa gente (i figli qui, i genitori a casa) sono reali, ma di solito dove stanno? E poi ci saranno i nonni. Nonni in molti casi ancora giovanili e in gamba. E un ruolo l’avranno avuto anche loro.
Un nonno, comunque, qui a Madrid c’è. Si chiama Benedetto XVI. L’età è quella giusta. E a volte lui parla proprio come tale. Giovanni Paolo II, specie quando era un papa giovane, usava toni più decisi. I giovani pendevano dalle sue labbra e Karol li irretiva con quel piglio risoluto, lo sguardo volitivo, i punti esclamativi alla fine delle frasi.
Benedetto no. Benedetto è dolce, soft. Mai mieloso, perché le cose le dice chiaramente e anche lui non fa sconti quanto a contenuti morali e dottrinali, però si comporta da nonno, con uno sguardo di comprensione. Il rapporto fra Benedetto e questi ragazzi è tenero.
Il papa sembra trovare in loro una ricarica che lo aiuta a superare gli affanni di un pontificato a ostacoli. Loro lo hanno adottato, senza lasciarsi condizionare dalle leggende nere sul Ratzinger duro e severo.
Si sostengono a vicenda, proprio come fanno nonni e nipoti. E camminano insieme. Dove vanno? Per capirlo, o almeno intuirlo, forse l’unica cosa da fare camminare un po’ con loro.

© Copyright Europa, 20 agosto 2011 consultabile online anche qui.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

la leggenda nero sono stati però i media a crearla.

Anonimo ha detto...

E sono sempre i media a preferire parlare dei "cattivi" ragazzi e a ignorare i ragazzi "normali" come quelli che sono alla GMG in questi giorni.
Alessia