Come è stata raccontata negli anni sulla stampa internazionale
La vera Gmg? Prima o poi qualcuno ne parlerà
Andrea Possieri
Ma Emmanuel Le Roy Ladurie definì Giovanni Paolo II come il campione di un illuminismo cattolico che ha ridato purezza alla parola gioventù
Non è certamente la prima volta che lo svolgimento della Giornata mondiale della gioventù (Gmg) suscita manifestazioni di opposizione come quelle dei giorni scorsi a Madrid presso la Puerta del Sol. E non è neanche la prima volta che la Gmg viene derubricata a una sorta di «Woodstock cattolica» come ha lamentato, proprio su queste colonne (30 luglio 2011) monsignor Miguel Delgado Galindo, sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici. Qualcosa di simile era già accaduto anche a Denver nel 1993 e a Parigi nel 1997. Ed è proprio in queste due occasioni che l’incontro dei giovani con il Papa uscì fuori, per la prima volta, dalle anguste stanze delle notizie religiose per entrare ruvidamente e, spesso, grossolanamente, nelle prime pagine dei giornali «laici» di tutto il mondo.
Le prime quattro edizioni della Gmg, infatti, non attirarono particolari attenzioni sulla stampa e vennero relegate, di fatto, alla normale — anche se di normale c’era ben poco — opera evangelizzatrice del Papa. A partire dall’incontro di Częstochowa del 1991 si iniziò a delineare il canone di quello che sarebbe poi divenuto il racconto tradizionale delle Giornate mondiali della gioventù: i numeri dell’evento, le voci dei pellegrini intervistati, il resoconto delle parole del Pontefice e, soprattutto, l’aspetto «mondano» del raduno dei giovani, ovvero la «festa» e il «business».
A Częstochowa, scriveva Domenico del Rio su «la Repubblica» il 15 agosto, è «fiorente» il mercato della «paccottiglia religiosa» e «le cose più vendute sono una Madonna fosforescente e un busto di Cristo con incorporato un orologio». Tuttavia, secondo questa narrazione, che sembra descrivere lo svolgimento di un’allegra baldoria a metà strada tra una sagra paesana e un improvvisato rave party, il momento culminante dell’incontro è «la sera» quando «scoppia la festa», «si danza, si suona, si fa teatro», «i bar rimangono aperti tutta la notte» e la città diventa «anche il paradiso dei ladruncoli e dei borsaioli«.
Quella che sembrerebbe una strampalata parodia da operetta si tinge, però, di accese coloriture politiche nelle edizioni successive. Nell’agosto del 1993, dopo che a Kingston in Giamaica, prima tappa del suo viaggio nel continente americano, Giovanni Paolo II era stato «accolto» dai movimenti di liberazione religiosa come «un anti-Cristo» che voleva appoggiare i governanti locali «a danno della popolazione», a Denver venne «accolto» da alcuni gruppi di femministe che si erano riunite di fronte alla cattedrale dell’Immacolata Concezione per chiedere che la Chiesa cattolica ripulisse «la propria casa piuttosto che giudicare donne responsabili delle loro azioni e della loro fertilità».
D’altra parte, il tema del controllo delle nascite — accanto alla sempiterna «crisi della Chiesa» e alle accuse di pedofilia — fu uno degli argomenti ricorrenti nei resoconti dell’epoca. Il «New York Times» del 15 agosto 1993, ad esempio, prendendo spunto da quanto aveva detto il Papa alla veglia con i giovani, evocò immediatamente la polemica sui condom. Alan Cowell non esitò a evidenziare, infatti, la distanza tra le parole del Papa — che condannava i metodi artificiali di controllo delle nascite — e la vita reale negli Stati Uniti, dove, all’opposto, in molte scuole americane venivano distribuiti i condom per combattere la diffusione dell’Aids. Non solo. Il quotidiano americano rimarcò ostentatamente anche la distanza tra lo stile di vita dei cattolici americani e quanto veniva espresso dal magistero petrino.
Moltissimi dei 58 milioni di cattolici, scriveva Cowell, affermavano di non dar più attenzione alla «dottrina conservatrice» della Chiesa e a ciò che diceva il Papa sul tema della contraccezione. D’altronde, anche l’articolo scritto da Dirk Johnson e pubblicato dal «New York Times» il 16 agosto, in cui si descriveva la veglia al Cherry Creek State Park come un’accozzaglia di preghiere, canti, balli e acclamazioni, poteva lasciar intendere una notevole distanza tra le «severe» parole del Papa e lo stile di vita apparentemente più frivolo dei giovani pellegrini.
Questa narrazione degli eventi si riversò immediatamente anche sui giornali italiani che non tardarono a definire l’incontro di Denver come la «Woodstock dei cattolici» e la visita del Papa negli Stati Uniti come un grandissimo «business» in cui si vendevano «a prezzi stratosferici» sia le camere «con vista sul Pontefice» che «i modellini della Popemobile». D’altro canto, stigmatizzava Ennio Caretto su «la Repubblica» del 10 agosto 1993, gli organizzatori già pregustavano «un incasso di 150 milioni di dollari» che apparve all’inviato del quotidiano romano addirittura come «una seconda corsa all’oro dopo quella dello scorso secolo».
Questo racconto che mescolava assieme, disordinatamente e appassionatamente, sacro e profano, un ostentato vezzo intellettualistico contro le manifestazioni massive e un malcelato pregiudizio anticattolico, trovò la sua consacrazione nella Gmg di Parigi del 1997, dove la «Francia laica» accolse prima con ruvida ironia — quand’anche con accesa polemica laicista — le folle di Wojtyła, poi polemizzò con il Papa sull’aborto e, infine, rimase shoccata dalle dimensioni trabocchevoli del milione di pellegrini che invasero pacificamente Parigi.
I giornali dell’epoca non lesinarono critiche né all’ennesima «Woodstock cattolica» che assomigliava, ormai, a una «Kermesse Hollywodiana», a un «kolossal della fede» o a uno «show multimediale», né ai giovani pellegrini che vennero apostrofati come «nuovi crociati», «legionari fondamentalisti» o, addirittura, «rockettari della fede».
Al centro delle polemiche, però, si collocò, com’era ovvio, Papa Wojtyła. All’arrivo a Parigi del Papa, «Le Monde» pubblicò polemicamente, in prima pagina, una vignetta che mostrava un Pontefice che, dall’alto del Trocadero, l’area della laica monumentalità di Parigi, cercava con il binocolo la chiesa di Saint-Bernard, dalla quale erano stati cacciati, l’anno precedente, i «sans papiers» africani. Il «Nouvel Observateur», invece, in polemica con l’appello del Papa sulla difesa della vita e della dignità dell’embrione ritrasse in copertina Giovanni Paolo II che venne raffigurato accanto a una donna incinta e nuda.
Il settimanale «L’Evenement du jeudi» si spostò sul piano della polemica storico-politica e paragonò il Papa polacco a un fiero condottiero al comando di un esercito di legioni straniere integraliste che, attraverso una «nuova crociata», muoveva all’assalto della «Francia laica». Più scarno ed essenziale, infine, il periodico satirico, «Charlie Hebdo», che titolava: «La Ville Lumiere accoglie l’oscurantismo».
Se il sociologo Alain Touraine espresse un giudizio dissacrante sulle «folle del Papa» — che, a suo avviso, non erano così differenti da quelle che nello stesso momento «si radunavano a Memphis per l’anniversario della morte di Elvis Presley» — e un’opinione severa su quelle minoranze cattoliche «tradizionaliste» e «reazionarie» che difendevano la «civiltà cristiana come una setta», non tutti gli intellettuali laici sposarono questi giudizi trancianti. Ad esempio lo storico Emmanuel Le Roy Ladurie, allievo di Braudel, esponente della scuola delle «Annales», uomo di sinistra e docente al College de France, definì Giovanni Paolo II come il campione di un «illuminismo cattolico» che aveva «ridato purezza alla parola gioventù».
Un’opinione in controtendenza che ebbe una qualche eco anche in Italia, a Roma, durante la Gmg del 2000. Indro Montanelli, ad esempio, sulle colonne del «Corriere della Sera», si chiese se quella moltitudine di giovani cattolici assiepata nella spianata di Tor Vergata non rappresentasse «in realtà una rivolta, o almeno una protesta, contro un modo di vita dominato dall’ansia del nuovo, che a sera ha già reso decrepito tutto ciò che ha inventato al mattino». Anche Miriam Mafai espresse un giudizio positivo e vide in quei giovani «una devozione sincera, non bigotta» che si faceva «carico di uno spirito di solidarietà».
Nonostante ciò, furono moltissime le critiche che si levarono tra gli intellettuali di vario ordine e grado. Il filosofo Lucio Colletti, si dichiarò «esterrefatto» dai ragazzi di Tor Vergata, i quali, nelle interviste televisive, avevano messo in mostra «una grande confusione di idee» e un’attesa neppure «sempre messianica». Più problematico Sergio Romano, il quale, in un’intervista a «il Giornale» il 21 agosto, indicò «altri moventi» rispetto a quelli della fede per spiegare l’arrivo a Roma di 2 milioni di giovani. E se Lietta Tornabuoni su «La Stampa» si chiese polemicamente se fosse stato «opportuno dare in appalto la capitale di un Paese come fosse La Mecca», Rossana Rossanda sul «Manifesto» puntò invece l’indice contro l’«afasia dei laici». E naturalmente, anche in questo occasione, non mancarono i giornalisti che descrissero l’incontro del Papa con i giovani come una «Woodstock cattolica» che si svolgeva «in un pratone di borgata» e raccoglieva «le folle di quindici derby».
E se il malcelato scetticismo con il quale la «Suddeutsche Zeitung» e «Der Spiegel» prepararono l’arrivo di Benedetto XVI a Colonia nel 2005 — il Papa secondo i due giornali tedeschi avrebbe trovato «una terra scristianizzata» e sarebbe stato considerato come una sorta di «straniero in patria» — sarebbe stato mitigato dal tiepido ottimismo del quotidiano «Bild» che in quei giorni distribuì una spilla con scritto Wir sind Papst, ovvero «noi siamo il Papa», nulla ormai si sarebbe frapposta alla classica declinazione della Gmg come media event parafrasando l’espressione coniata da nel 1992 dai sociologi Katz e Dayan. Un’interpretazione, però, che risulta estremamente riduttiva per almeno due motivi.
Gli incontri della Giornata mondiale della gioventù — come ha ricordato Francesco Paolo Casavola nella prima pagina del «Messaggero» del 18 agosto — si riconnettono, seppur con molte novità, a una tradizione antichissima, quella del pellegrinaggio, che non ha nulla a che vedere con gli innumerevoli e variegati raduni di massa del Novecento. E poi, fatto decisivo troppo spesso dimenticato, la Gmg non si riassume soltanto nell’incontro con il Papa — che, ovviamente, rappresenta il suo momento culminante — ma è un percorso lungo, caratterizzato spesso da viaggi accidentati e faticosi, i cui tempi sono sempre dettati da momenti catechetici e dalla preghiera della tradizione cristiana (lodi, vespri e compieta) e che, in definitiva, ha un unico obiettivo: scoprire il senso della propria vita attraverso l’incontro con Cristo. Prima o poi qualcuno ne parlerà.
(©L'Osservatore Romano 20 agosto 2011)
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1 commento:
acqua di rose al confronto dei pesantissimi attacchi subiti da b-xvi in questi anni.
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