martedì 9 agosto 2011

Siria e Libia, un piano Benedetto (Luigi Accattoli)

Siria e Libia, un piano Benedetto

di Luigi Accattoli

[09 agosto 2011]

C'è un insegnamento per la nostra politica in quello che ha detto domenica il Papa sulla Siria e sulla Libia?
Credo di sì e credo che gli insegnamenti da cavarne siano tre, uno sulla Siria e due sulla Libia. Per la Siria si tratta di agire - finchè si è in tempo - sia verso le autorità sia verso la popolazione per aiutarle a una qualche intesa verso una pacifica transizione a un assetto minimamente pluripartitico e democratico.
Per la Libia le indicazioni papali sono più puntuali come più significativo può essere il ruolo dell'Italia: far intendere in sede Nato che la via delle armi è risultata inefficace (ci avviciniamo al quinto mese dall'inizio dei bombardamenti) e che è necessaria una proposta formale di negoziato che coinvolga - anche qui -ambedue le parti in conflitto, cioè sia il regime sia gli insorti.
Né si dica che non ha senso rivolgersi - nei due casi - anche alla popolazione: la "primavera araba" ha chiarito che abbiamo a che fare con èlites insurrezionali attentissime all'opinione pubblica internazionale. Domenica Benedetto ha chiesto il "rilancio" di un "piano di pace"per la Libia da "cercare" - questa è stata la parola creativa che ha usato, perché in effetti un tale piano non esiste da nessuna parte - "attraverso il negoziato ed il dialogo costruttivo" prendendo atto che "la forza delle armi non ha risolto la situazione".
Per la Siria ha invitato "autorità e popolazione" a "ristabilire quanto prima la pacifica convivenza" in modo che si possa "rispondere adeguatamente alle legittime aspirazioni dei cittadini, nel rispetto della loro dignità e a beneficio della stabilità regionale". Sono richiami pragmatici e meglio rispondenti ai fatti rispetto alle affermaziomento opportuno. L'iniziativa armata era stata con tutta evidenza della Francia a gara con la Gran Bretagna e gli Usa. Andava forse lasciata a loro, con quel di più che essa aveva rispetto al testo del Consiglio di sicurezza. Rivendicando il ruolo della Nato - di cui facciamo parte - il nostro Paese si è inserito a pieno titolo in quell'iniziativa divenendone a ogni effetto corresponsabile, compresa un'oggettiva nostra adesione a quel "di più" rispetto alla copertura offerta dall'Onu.
Si tratta ora - io credo - di aiutare gli alleati a rendersi conto realisticamente della ni propagandistiche dei politici e delle diplomazie. Prendiamo come punto di riferimento l'urgenza di un negoziato per la Libia: ne parlano ormai tutti, ma avendo di mira - abitualmente - trattative clandestine, da condurre con emissari segreti e con finalità non dichiarate, mentre si spera che un giorno o l'altro un missile più fortunato faccia fuori Gheddafi. Forse l'Italia avrebbe potuto svolgere una diversa funzione nella crisi libica, coinvolgendosi di meno nell'impresa militare e riservandosi un ruolo mediatore da attuare al mostrada senza uscita per la quale ci si è messi e di stimolare a una ripresa di iniziativa negoziale. In qualche modo, come sollecita il Papa, si tratta di accettare il fatto che la via delle armi "non ha risolto la situazione" né pare possa risolverla. Andrebbe dunque recuperata quella razionalità strategica ispirata alla pace che è mancata all'inizio: si sarebbero dovute esplorare tutte le vie negoziali prima di mettere mano alle armi; ora si tratta, fallita la via delle armi, di costruire una via negoziale. Il tono pragmatico dell'appello papale è dovuto anche alla difficoltà di interpretazione dell'intero fenomeno della "primavera araba" che è ormai travalicata nell'estate senza chiarire affatto la propria indole e senza permettere una percezione significativa delle implicazioni che porta con sè. Fin dall'inizio è stato poi decisivo per l'atteggiamento vaticano il richiamo alla prudenza venuto dalle comunità cristiane sparse in quel mondo.
«L'operazione - ebbe a dire dell'intervento della Nato il vicario apostolico di Tripoli, Innocenzo Martinelli - è partita troppo in fretta, mentre sarebbe stato opportuno tentare ancora la via diplomatica. Spero in una resa, ma credo che Gheddafi non cederà».Va detto che in un primo momento la diplomazia vaticana almeno pubblicamente non aveva espresso contrarietà all'uso "breve e proporzionato" della forza in applicazione alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU del 17 marzo che aveva autorizzato l'imposizione di una no fly zone per la protezione dei civili. Il primo appello papale - che è del 20 marzo - sembra dare per necessaria l'iniziativa militare e insiste sulla "necessità di garantire l'incolumità e la sicurezza dei cittadini".
Ma già domenica 27 marzo le parole di Benedetto XVI riflettono la convinzione che si sia andati oltre il "principio di protezione" e chiedono "l'immediato avvio di un dialogo, che sospenda l'uso delle armi". Le parole dette dal Papa l'altro ieri - in particolare quelle sulla forza delle armi che "non ha risolto la situazione" - vanno lette sullo sfondo di quella precoce contrarietà ai bombardamenti, a soli dieci giorni dall'inizio. www.luigiaccattoli.it

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