Tra soprannomi e appellativi l'ingresso del cristianesimo nell'onomastica della tarda antichità
Alle origini di Benedictus
di Carlo Carletti
I mutamenti intervenuti nella mentalità, nelle abitudini, nella organizzazione e nella gestione degli spazi e delle strutture materiali, in seguito alla diffusione e al progressivo radicamento del cristianesimo nella società romana, si manifestano con intensità e ritmi anche sensibilmente diversificati. Se le esigenze della nuova fede condussero a trasformazioni decise e talvolta anche rapide nelle forme e nelle funzioni dell'edilizia sacra e delle strutture funerarie, nella scansione del tempo, nella presenza di nuovi temi e soggetti nella produzione figurativa, nella formazione di nuove forme espressive nella prassi epigrafica, questi stessi ritmi non intervennero in un ambito di stretta pertinenza individuale e familiare quale è quello dei nomi personali.
In questa direzione il percorso di progressiva «cristianizzazione» fu lentissimo e desultorio, protraendosi in un lungo periodo di gestazione. Tra il III secolo e l'inizio dell'altomedioevo la scelta dei nomi individuali rimase strettamente ancorata alla tradizione, che peraltro nel corso della tarda antichità si andava avviando a profonde trasformazioni, nelle quali l'incidenza dell'identità cristiana rimase sostanzialmente marginale, almeno fino alla seconda metà del iv secolo.
In tale contesto i cristiani usano indifferentemente un vastissimo repertorio onomastico, generalmente non identitario, che è quello di uso comune nella società romana: i gentilizi imperiali o di grande tradizione in funzione di cognomina (cioè «nomi personali») come Aurelius, Domitius, Flavius, Iulius, Marcius, Petronius, Valerius; i teoforici, cioè nomi derivati da quelli di divinità (Aphrodisius, Apollinaris, Dionysius, Eros, Heliodorus, Hermes, Iovinus, Martinus, Mercurius, Saturninus, Venerius) o da personaggi del mito (Romulus, Herculius); i cosidetti wish-names («nomi augurali») come Augurius, Euodius, Eutichius, Faustus, Felix/Felicitas, Fortunatus; quelli ripresi da grandi personaggi storici (in primo luogo Alexander, o Cato), quelli ancora desunti da qualità morali o fisiche (Callistus, Blandus, Celer), nonché la singolare categoria degli uncomplimentary names («nomi non-elogiativi») -- Agrios, Balbus, Kopros, Proiectus, Reiectus, Stercorius -- erroneamente ritenuti specificamente cristiani sulla base della bizzarra idea che fossero recepiti come presunti nomi di «umiliazione»: a essi in realtà la mentalità del tempo -- profondamente superstiziosa -- attribuiva un forte potere apotropaico, e in questa dimensione erano indifferentemente usati da cristiani e pagani.
È quasi superfluo rilevare che la documentazione di base per lo studio dell'onomastica antica risieda essenzialmente nella produzione epigrafica. A Roma la documentazione di sicura committenza cristiana raggiunge allo stato attuale circa 40.000 esemplari, dai quali si ricavano circa 65.000 nomi individuali. A riprova delle lentissime trasformazioni intervenute nella onomastica del mondo tardo antico, è un dato incontrovertibile che nel corso di quattro secoli (dal III al vi) non più del venti per cento dei nomi utilizzati possono considerarsi di conio cristiano.
Si è a lungo discusso sulle dinamiche e sulle motivazioni che condussero all'emergenza di nomi cristiani nella società tardoantica. Allo stato attuale della ricerca si sono individuati diversi percorsi di formazione, i cui primi esiti cominciano a intravvedersi sporadicamente -- soprattutto a Roma -- nel corso del III secolo come indicato in particolare dalle iscrizioni dell'Arenario della catacomba di Priscilla, che testimoniano già un uso discreto dei nomi apostolici Pietro e Paolo.
I dati di cui possiamo disporre indicano senza alcun dubbio nella devozione ai martiri il motore primo della nascita di una onomastica cristiana. Molti dei nomi divenuti nel tempo specificamente «identitari» erano diffusamente utilizzati nel mondo romano, ma ebbero particolare fortuna tra i cristiani perché corrispondenti a quelli dei più famosi e venerati «eroi della fede», come -- particolarmente a Roma -- Agnese, Ippolito, Sisto, Sebastiano, Lorenzo, oltre naturalmente a Pietro e Paolo, i cui nomi possono essere assunti come i prototipi di una nascente antroponimia cristiana.
Nel corso del iv secolo iniziarono a diffondersi alcuni nomi precedentemente ignoti o di uso sporadico, che traducevano in forme onomastiche principi fondanti della nuova fede: il più diffuso è sicuramente Anastasius (o Anastasia), il cui ovvio significato è puntualmente spiegato in un'elogio funerario della catacomba di Commodilla (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, ii, 6130) della seconda metà del iv secolo: «io Anastasia credo nella vita futura secondo quanto significato dal mio nome» (Anastasia secundum nomen credo futuram). E pienamente «identitari» si rivelano nomi -- sostanzialmente inediti nel mondo romano -- come Agape, Agapius, Innocentius, Martyrius.
Particolare fortuna ebbe poi una categoria omogenea di nomi come Redemptus, Renatus, Renovatus, Reparatus -- cosiddetti ex baptismate -- che proponevano con efficace espressività gli effetti sacramentali dell'iniziazione cristiana.
Anche nell'ambito delle comunità cristiane -- come già nella società romana in riferimento alle divinità del Pantheon -- entrò nell'uso corrente una articolata gamma di formazioni teoforiche costruite su Deus, Dominus, Theòs, Kùrios. Particolare fortuna ebbe Cyriacus (Cyriaca), che si può assumere come esemplificativo del fenomeno tipicamente cristiano dello «slittamento semantico» (mutamento di significato) intervenuto in un nome personale, come spiegato lucidamente da Iiro Kajanto, caposcuola indiscusso degli studi sull'onomastica romana: «Per i pagani l'aggettivo greco kuriakòs -- da cui deriva l'antroponimo Cyriacus -- indicava l'appartenenza al Signore nel senso di padrone e in tal senso era un nome tipicamente servile; per i cristiani invece aveva assunto il significato “identitario” di appartenente al Signore cioè a Dio». In questa stessa direzione si inserisce un teoforico come Theodulus, che riprende la diffusa tipologia formulare doùlos / doùle Theoù, servus Dei, servus Christi, ancilla Dei, ancilla Christi, nonché l'omogenea categoria di nomi bitematici costruiti su Christus, Deus, Theòs, che sviluppano formazioni indeclinabili come Adeodatus, Chistophorus, Deogratias, Deusdat, Deusdedit, Deusdona, Deushabet, Habetdeus, Theodulus, Dominicus, Quodvultdeus, Spesindeo: vere e proprie «espressioni onomastiche» (sentence-names), per le quali si è ipotizzato una origine africana come traduzione latina di precedenti nomi punici. Parlando di onomastica cristiana sul giornale quotidiano vaticano viene spontaneo il desiderio di accennare al nome del Papa, anche perché nella storia complessiva della onomastica cristiana il nome Benedictus costituisce un «caso» di notevole interesse in relazione alla sua origine e alla sua successiva diffusione. Nell'immaginario collettivo della nostra contemporaneità questo antroponimo è per lo più percepito come una formazione geneticamente cristiana, ma la sua storia indica senza ombra di dubbio un'origine e un percorso del tutto diversi.
Sia l'aggettivo benedictus sia l'antroponimo di derivazione Benedictus -- alla cui base c'è una tradizione semitica nel tipo Baruch, participio passato del verbo Barach (benedire) -- sono attestati dalla fine del ii secolo con una discreta diffusione socialmente trasversale, come indicano alcune testimonianze epigrafiche dei secoli ii e III, che ne attestano l'uso anche in ambito servile e libertino, oltre che naturalmente tra gli ingenui (nati liberi). Il nome Benedictus presuppone naturalmente l'aggettivo benedictus, largamente attestato nell'epigrafia funeraria romana come attributo personale nella sua articolata gamma semantica di «degno di lode», «benvoluto», «famoso», «celebre».
Non si tratta -- come in molti altri nomi latini -- della traduzione di un omologo greco, poiché il corrispettivo greco Eulogius è di uso molto più recente (non prima del III secolo) rispetto a Benedictus, che dunque può essere senz'altro assunto come un cognome di pura origine latina, e sicuramente pressoché esclusivo della città di Roma, dove trova il massimo di attestazioni. L'uso di questo nome fornì anche l'occasione per un gioco di parole, come si può leggere in un'iscrizione del III secolo nella quale una defunta -- di nome Benedetta -- è definita tale di nome e di fatto: i superstiti vollero ricordarla come «anima buona» e dunque «prediletta», che è quanto significato dal suo nome: d(is) M(anibus) / anima sancta / cata nomen / Benedicta (Corpus Inscriptionum Latinarum, vi, 13545), laddove è da osservare il calco latino del greco katà, corrispettivo del latino secundum.
In questo stesso ambito semantico si inserisce l'elogio rivolto a un defunto di nome Restituto: d(is) M(anibus) / Restituti / animulae / bonae et / benedictae / sit tibi terra levis (Corpus Inscriptionum Latinarum, vi, 25408).
In ambito cristiano, e soprattutto a Roma, in termini cronologici e di diffusione, l'aggettivo qualificativo benedictus sembra precedere nell'uso l'antroponimo di diretta derivazione, come indicato eloquentemente dalla documentazione epigrafica del cimitero anonimo di via Anapo (via Salaria nuova), rimasto attivo per circa un secolo, tra l'ultimo trentennio del III secolo e la fine del iv: qui si registra un'alta concentrazione dell'uso di benedictus come qualificativo personale associato al nome del defunto e mai inserito nella sequela degli epiteti abituali come carissimus, dulcissimus, obsequens e simili (Inscr. Christ., ix, 24641, 24642, 24658, 24660, 24677, 24680, 24704, 24705, 24710, 24721, 24722, 24725, 24739, 24745, 24753, 24767, 24789, 24793, 24796, 24810).
Questi testi -- generalmente molto succinti -- non consentono di chiarire il significato assunto da benedictus in questo come in altri contesti cimiteriali romani: quello tradizionale o quello identitario in senso cristiano? L'accezione cristiana appare però del tutto evidente almeno in tre casi: in un epitaffio del cimitero dei Giordani (Inscr. Christ., ix, 24357: Calledrome benedicta in Chr(isto) e, analogamente, in due iscrizioni della catacomba di via Anapo: la dedicatoria Anastasi/o filio benedicto (Inscr. Christ., ix, 24641) e l'acclamatoria Aureli Varro / dulcissime et desiderantis/sime coniux pax / tibi benedicte (Inscr. Christ., ix, 25010): nell'una e nell'altra non sembra casuale da un lato il legame tra la specificità del nome del defunto e il qualificativo benedictus, dall'altro il collegamento concettuale tra la formula irenica pax tibi e il congiunto benedicte.
Questa documentazione indica in definitiva che a Roma nel corso del iv secolo benedictus / Benedictus raggiunsero una discreta diffusione e contestualmente cominciarono ad assumere nella percezione comunitaria una connotazione «identitaria», già emergente nella catacomba di via Anapo, alla quale -- anche perché finora anonima -- potrebbe legittimamente attribuirsi la denominazione di «catacomba dei benedetti».
A Roma, in Italia, in Europa, un vigoroso e poi inarrestabile incremento dell'uso di Benedictus si avvia alla fine del mondo antico. La sua straordinaria fortuna si deve alla altrettanto straordinaria opera di Benedetto da Norcia (480-547), fondatore del monastero di Montecassino e promotore del monachesimo in Occidente. La sua immediata diffusione -- almeno nel corso dei secoli vi-VII -- rimase sostanzialmente circoscritta nell'ambito ecclesiastico: già in età protobenedettina si registra il suo uso nell'onomastica episcopale e naturalmente in quella monastica, a Roma con Papa Benedetto i (575-579) e in un'area di nuova conversione come l'Inghilterra con Benedetto Biscop (628-690) -- cinque volte pellegrino a Roma -- fondatore nella terra degli Angli dei monasteri di Wearmouth e Jarrow, naturalmente dedicati a san Pietro e san Paolo.
Successivamente, a partire dall'VIII e ix secolo, il nome Benedictus si diffonde rapidamente sia nell'onomastica maschile che in quella femminile, con particolare incidenza nell'area laziale e meridionale, dove risulta per frequenza al terzo posto dopo Iohannes e Petrus.
(©L'Osservatore Romano 12 agosto 2011)
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