giovedì 13 ottobre 2011

Appello dei vescovi arabi ed europei a sostegno dei cristiani in Egitto

Appello dei vescovi arabi ed europei a sostegno dei cristiani in Egitto

Dopo strage di domenica scorsa di oltre 20 - per alcune fonti oltre 30 - copto-ortodossi al Cairo, i vescovi europei e dei Paesi arabi hanno lanciato un appello alla comunità internazionale “a non lasciare soli i cristiani in Egitto”. Una richiesta di pace e libertà che fa eco alle parole del Papa pronunciate ieri all’udienza generale. Il servizio di Marco Guerra:

“Come vescovi europei vogliamo riaffermare la nostra vicinanza a tutti i cittadini d'Egitto e, in modo particolare, alla comunità cristiana copta colpita in questi giorni da una violenza assassina contro la pace, la convivenza tra le religioni, la libertà e la dignità umana”. Così il presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (Ccee), il cardinale Peter Erdò, in un accorato messaggio in cui si rivolge ai governi dei Paesi europei affinché prendano posizione in difesa di tutti coloro che “subiscono aggressioni per la loro appartenenza religiosa, etnica o sociale". Parole che arrivano a meno di 24 ore dall’appello lanciato a tutta la comunità internazionale dalla Conferenza dei vescovi latini dei Paesi arabi (Celra) riunita in questi giorni a Roma. Il segretario uscente della Celra, mons. Camillo Ballin, ha espresso grande preoccupazione per il clima rovente che rischia di spegnere anche le speranze suscitate dalla cosiddetta primavera araba. Timori che fanno eco a quanto detto ieri all’udienza generale dal Papa che ha stigmatizzato i tentativi di minare la coesistenza pacifica del popolo egiziano. “Una coesistenza - ha detto il Santo Padre - essenziale soprattutto in questo momento di transizione”. Intanto la giunta militare egiziana continua a negare le proprie responsabilità nella morte dei copti, ma le immagini che circolano in rete negli ultimi giorni hanno testimoniato la durezza della repressione, con i carri armati che in alcuni casi inseguivano i manifestanti.

L’Egitto sta dunque vivendo un momento delicato. Il Paese si sta preparando alle elezioni di novembre che dovrebbero segnare la svolta politica attesa da tutte le forze democratiche. Ma qual è oggi la situazione? Fabio Colagrande lo ha chiesto al padre gesuita egiziano Samir Khalil Samir, docente in vari istituti universitari ed esperto di questioni islamiche:

R. - In questo momento ci sono i partiti estremisti islamici, soprattutto i salafiti e in parte anche i “Fratelli musulmani”, che cercano di prendere il potere: per loro i cristiani non hanno diritto di costruire una chiesa come vogliono e come fanno i musulmani. Ma questo è insopportabile! Sono anni, anni e anni che la gente spera ed aspetta… Siamo un Paese a maggioranza musulmana e questo lo sappiamo ed è quindi normale che - ad esempio - il venerdì sia il giorno di riposo, ma dire che sei cristiano e non puoi far questo o non puoi avere un posto importante nel governo … questo non è accettabile! Ciò che si chiede è soltanto un po’ di democrazia, un po’ di uguaglianza fra tutti: questo era il movimento di Piazza Tahrir, di Piazza della Liberazione… Questa liberazione è ostacolata da tutte le forme di fanatismo. Da noi il fanatismo prende la forma religiosa islamica e che i musulmani stessi non vogliono. I giovani hanno detto chiaramente, durante questa rivoluzione della cosiddetta “primavera araba”: noi siamo tutti credenti, siamo musulmani e siamo cristiani, e non vogliamo allontanarci dalla religione; ma lasciateci viverla liberamente.

D. - C’è il pericolo concreto che oggi, dopo la “primavera araba”, la situazione in Egitto diventi insostenibile per la minoranza cristiana?

R. - Purtroppo c’è un po’ di sfiducia. Negli ultimi mesi già decine di migliaia di copti hanno lasciato il Paese per emigrare.

D. - Come possono le imminenti elezioni aiutare davvero la società egiziana a ritrovare, come auspicato dal Papa, una vera pace, basata sulla giustizia e sul rispetto della libertà e della dignità di ogni cittadino?

R. - Io ho speranza e, come dice San Paolo, dobbiamo sperare contro ogni speranza. Spero, però ci vorrà un po’ di tempo. La difficoltà è che da 40-50 anni non sappiamo più cosa sia la democrazia; da almeno 40 anni il movimento islamico ha preso forza, finanziato dall’estero, e spinge la gente ad essere fanatica… Noi abbiamo, però, la speranza che ce la faremo; ma sappiamo anche che questo costerà anni di lavoro, forse decenni… Chi non ce la fa più, dice: “preferisco andarmene”… Lo capisco, ma non è giusto! Io spero che lo spirito di Piazza della Liberazione, di Piazza Tahrir, spero che lo spirito di questa “primavera” - che è stata veramente una primavera - si mantenga e che prevalga sullo spirito del fanatismo. (mg)

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