PAPA: SPIEGA LIBERTA' RELIGIOSA A PRESIDENTE EUROPARLAMENTO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 feb.
"L'impegno per la promozione della liberta' religiosa e la tutela delle minoranze cristiane nel mondo" sono stati i "temi di attualita'" che Benedetto XVI ha affrontato con il Presidente del Parlamento Europeo, Jerzy Buzek, ricevuto in udienza in Vaticano. Buzek ha incontrato anche il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato, e mons. Dominique Mamberti, responsabile dei Rapporti con gli Stati. "I colloqui - sottolinea una nota - si sono svolti in un clima di cordialita' ed hanno permesso un utile scambio di opinioni sulle relazioni fra la Chiesa cattolica, il Parlamento Europeo e le altre istituzioni europee, nonche' sul contributo che la Chiesa puo' offrire all'Unione".
Da parte sua, il presidente del Parlamento Europeo ha defintito "molto emozionante" l'incontro con il Papa.
"In questi difficili tempi di crisi - ha dichiarato al Servizio Informazione Religiosa - e' molto importante incontrare un uomo di profonda fede e grande intelligenza, anche per quello che in qualita' di Papa puo' fare per tutta la comunita' dei popoli, in Europa e anche al di fuori di essa". Tra i temi di attualita' trattati nel colloquio, Buzek ha aggiunto, rispetto al comunicato vaticano, "i recenti eventi in Nord Africa e Medio Oriente".
"Abbiamo espresso l'auspicio che essi portino alla democratizzazione, allo sviluppo della societa' civile e alla difesa dei diritti umani - ha aggiunto - ma oltre a cio' abbiamo sottolineato che e' molto importante lottare per i diritti delle minoranze religiose, in particolare quelli delle minoranze cristiane in queste parti del mondo, ma anche nel resto del mondo".
Del resto, "per la costruzione di una societa' autenticamente democratica e' ovunque essenziale la tutela della liberta' religiosa". Nel corso dell'incontro, ha concluso Buzek, "si e' parlato anche della prossima beatificazione di Giovanni Paolo II, di cui ricordiamo il discorso tenuto nel 1988 al Parlamento europeo di Strasburgo, durante il quale il Pontefice aveva affermato l'importanza che l'Europa respiri con due polmoni".
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lunedì 28 febbraio 2011
Il card. Canizares: Quanta routine e mediocrità, quanta banalizzazione e superficialità nella nostra vita! Quante messe celebrate senza attenzione!
Chiesa/ Vaticano: Quanta routine e mediocrità nella liturgia
Card. Canizares: Messe celebrate senza attenzione e disposizione
Città del Vaticano, 28 feb. (TMNews)
"E' necessario, a mio parere, riconoscere che la liturgia oggi non è 'l'anima', la fonte e la meta della vita di molti cristiani, fedeli e sacerdoti. Quanta routine e mediocrità, quanta banalizzazione e superficialità nella nostra vita! Quante messe celebrate senza attenzione o alle quali si partecipa senza una particolare disposizione. Da qui la nostra grande debolezza": lo ha affermato il cardinale prefetto della congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, Antonio Canizares Llovera, in un'intervista al settimanale spagnolo 'Vida Nueva' ripubblicata dall''Osservatore romano'. "E' oltremodo necessario far comprendere ai fedeli che la liturgia è, prima di tutto, opera di Dio e che nulla si può anteporre ad essa".
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Card. Canizares: Messe celebrate senza attenzione e disposizione
Città del Vaticano, 28 feb. (TMNews)
"E' necessario, a mio parere, riconoscere che la liturgia oggi non è 'l'anima', la fonte e la meta della vita di molti cristiani, fedeli e sacerdoti. Quanta routine e mediocrità, quanta banalizzazione e superficialità nella nostra vita! Quante messe celebrate senza attenzione o alle quali si partecipa senza una particolare disposizione. Da qui la nostra grande debolezza": lo ha affermato il cardinale prefetto della congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, Antonio Canizares Llovera, in un'intervista al settimanale spagnolo 'Vida Nueva' ripubblicata dall''Osservatore romano'. "E' oltremodo necessario far comprendere ai fedeli che la liturgia è, prima di tutto, opera di Dio e che nulla si può anteporre ad essa".
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Sulla questione dei bambini ebrei battezzati rispose Giovanni Maria Vian nel lontano 2004
Clicca qui per leggere l'articolo di Avvenire pubblicato il 30 dicembre 2004. Grazie a Paolo per la segnalazione via Facebook.
John Allen recensisce il libro di Franco. Nessun cenno alle responsabilità dei media?
Clicca qui per leggere il commento. Qui una traduzione sommaria.
Ne' Franco ne' Allen si spingono ad affrontare la vera questione: come mai i media hanno consapevolmente "coperto" i guai del Vaticano per decenni facendoli scoppiare solo con l'elezione di Benedetto XVI? Questa e' la domanda fondamentale alla quale, pero', nessuno sembra avere il coraggio di rispondere (salvo lodevoli eccezioni).
Ne' Franco ne' Allen si spingono ad affrontare la vera questione: come mai i media hanno consapevolmente "coperto" i guai del Vaticano per decenni facendoli scoppiare solo con l'elezione di Benedetto XVI? Questa e' la domanda fondamentale alla quale, pero', nessuno sembra avere il coraggio di rispondere (salvo lodevoli eccezioni).
Il discorso di Benedetto XVI sull'aborto. Per difendere la comune umanità (Lucetta Scaraffia)
Il discorso di Benedetto XVI sull'aborto
Per difendere la comune umanità
di LUCETTA SCARAFFIA
Il discorso di Benedetto XVI ai membri dell'Accademia per la vita non ha la caratteristica di un ragionamento interno - rivolto cioè a una istituzione pontificia i cui membri condividono per definizione il pensiero del Papa - e neppure di una sacrosanta ma generica affermazione del valore della vita in generale, come ideale da coltivare e difendere. È invece un concreto e circostanziato appello rivolto a tutti; in particolare in occidente, dove l'aborto è considerato un diritto e un segno di modernità che dovrebbe garantire la presenza e la libertà delle donne nelle società democratiche.
Il Papa infatti parla soprattutto alle donne, in particolare a quante hanno abortito, e parla di quel disagio tanto spesso celato, di quella sofferenza segreta che costituisce la sindrome post-abortiva. E la riconosce e la interpreta non dal punto di vista psicologico - senza evocare per queste donne sofferenti l'assistenza medica, ridotta magari a qualche antidepressivo - ma con il coraggio di nominare l'innominabile in una società secolarizzata come la nostra: la voce della coscienza. Definita secondo la tradizione cattolica non come un effetto di condizionamenti esterni o emozioni interne come molti preferiscono credere, ma proprio come voce che illumina l'essere umano sul bene e sul male, e quindi prova evidente del legame di ogni creatura con Dio.
Da una parte, una società che vuole fondare il diritto di cittadinanza delle donne sulla cancellazione di un nuovo essere umano; dall'altra, un Papa che ha il coraggio semplice e chiaro di ricordare che dentro ciascuno di noi c'è una voce che parla chiaramente, e che è difficile, anzi impossibile, farla tacere. Anche, se non soprattutto, quando l'aborto viene realizzato per "ragioni mediche", che buone non sono mai se vogliono cancellare la sofferenza cancellando la persona che soffre. E il Papa lo dice con chiarezza proprio nel momento in cui ricorda che solo all'interno della Chiesa le donne che hanno abortito possono trovare il perdono, e quindi la pace interiore.
La voce della coscienza - insiste Benedetto XVI - parla a tutti, non solo ai credenti, ed è una voce insopprimibile, anche se non la si vuole ascoltare perché la legalizzazione dell'aborto è all'origine di profonde modificazioni socio-culturali, identificate positivamente e acriticamente come aspetti di modernizzazione: non solo il posto delle donne nella società, ma anche le rappresentazioni della famiglia, le relazioni fra i generi, le modalità della vita sessuale e dell'affettività.
Ma chi osserva la trasformazione che ha segnato la legalizzazione dell'aborto nelle nostre società con occhio scientifico e onesto - come il sociologo francese Luc Boltanski (La condition fatale. Une sociologie de l'engendrement et de l'avortement, Paris, Gallimard, 2004) e pochissimi altri studiosi, dato il peso ideologico che opprime questo tema - si rende conto che con la legalizzazione dell'aborto viene riaperta la questione dell'appartenenza all'umanità. Questa avrebbe dovuto essere assicurata a tutti, e una volta per tutte, dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948: scritta per impedire che si ripetessero gli orrori del nazismo, sistema che aveva negato a molte persone la dignità di appartenenza al genere umano.
Oggi, invece, siamo di nuovo a discutere sulla possibilità di escludere dei potenziali esseri umani dal diritto di vivere: secondo Boltanski, la situazione attuale somiglia infatti a quella di duemila anni fa, quando venne messo in questione dal cristianesimo nascente il carattere inevitabile e naturale della schiavitù, cioè dell'esistenza di esseri con uno statuto di umanità ineguale.
Si è così riaperta la questione antropologica a proposito dei diritti del feto - considerato un essere incerto sospeso fra esistenza e inesistenza - e questo ci costringe a riconoscere il carattere paradossale e, quindi, eminentemente fragile, della nostra idea di umanità, nella contraddizione che ci vede al tempo stesso esseri perfettamente rimpiazzabili ed esseri assolutamente singolari.
La preconferma da parte di Dio, che istituisce una parentela divina fra gli esseri umani, è l'unica condizione che accetta ogni nuovo concepito, attribuendogli uguale valore. Su questo concetto riposa l'idea, egualitaria, di comune umanità.
(©L'Osservatore Romano - 28 febbraio - 1 marzo 2011)
Per difendere la comune umanità
di LUCETTA SCARAFFIA
Il discorso di Benedetto XVI ai membri dell'Accademia per la vita non ha la caratteristica di un ragionamento interno - rivolto cioè a una istituzione pontificia i cui membri condividono per definizione il pensiero del Papa - e neppure di una sacrosanta ma generica affermazione del valore della vita in generale, come ideale da coltivare e difendere. È invece un concreto e circostanziato appello rivolto a tutti; in particolare in occidente, dove l'aborto è considerato un diritto e un segno di modernità che dovrebbe garantire la presenza e la libertà delle donne nelle società democratiche.
Il Papa infatti parla soprattutto alle donne, in particolare a quante hanno abortito, e parla di quel disagio tanto spesso celato, di quella sofferenza segreta che costituisce la sindrome post-abortiva. E la riconosce e la interpreta non dal punto di vista psicologico - senza evocare per queste donne sofferenti l'assistenza medica, ridotta magari a qualche antidepressivo - ma con il coraggio di nominare l'innominabile in una società secolarizzata come la nostra: la voce della coscienza. Definita secondo la tradizione cattolica non come un effetto di condizionamenti esterni o emozioni interne come molti preferiscono credere, ma proprio come voce che illumina l'essere umano sul bene e sul male, e quindi prova evidente del legame di ogni creatura con Dio.
Da una parte, una società che vuole fondare il diritto di cittadinanza delle donne sulla cancellazione di un nuovo essere umano; dall'altra, un Papa che ha il coraggio semplice e chiaro di ricordare che dentro ciascuno di noi c'è una voce che parla chiaramente, e che è difficile, anzi impossibile, farla tacere. Anche, se non soprattutto, quando l'aborto viene realizzato per "ragioni mediche", che buone non sono mai se vogliono cancellare la sofferenza cancellando la persona che soffre. E il Papa lo dice con chiarezza proprio nel momento in cui ricorda che solo all'interno della Chiesa le donne che hanno abortito possono trovare il perdono, e quindi la pace interiore.
La voce della coscienza - insiste Benedetto XVI - parla a tutti, non solo ai credenti, ed è una voce insopprimibile, anche se non la si vuole ascoltare perché la legalizzazione dell'aborto è all'origine di profonde modificazioni socio-culturali, identificate positivamente e acriticamente come aspetti di modernizzazione: non solo il posto delle donne nella società, ma anche le rappresentazioni della famiglia, le relazioni fra i generi, le modalità della vita sessuale e dell'affettività.
Ma chi osserva la trasformazione che ha segnato la legalizzazione dell'aborto nelle nostre società con occhio scientifico e onesto - come il sociologo francese Luc Boltanski (La condition fatale. Une sociologie de l'engendrement et de l'avortement, Paris, Gallimard, 2004) e pochissimi altri studiosi, dato il peso ideologico che opprime questo tema - si rende conto che con la legalizzazione dell'aborto viene riaperta la questione dell'appartenenza all'umanità. Questa avrebbe dovuto essere assicurata a tutti, e una volta per tutte, dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948: scritta per impedire che si ripetessero gli orrori del nazismo, sistema che aveva negato a molte persone la dignità di appartenenza al genere umano.
Oggi, invece, siamo di nuovo a discutere sulla possibilità di escludere dei potenziali esseri umani dal diritto di vivere: secondo Boltanski, la situazione attuale somiglia infatti a quella di duemila anni fa, quando venne messo in questione dal cristianesimo nascente il carattere inevitabile e naturale della schiavitù, cioè dell'esistenza di esseri con uno statuto di umanità ineguale.
Si è così riaperta la questione antropologica a proposito dei diritti del feto - considerato un essere incerto sospeso fra esistenza e inesistenza - e questo ci costringe a riconoscere il carattere paradossale e, quindi, eminentemente fragile, della nostra idea di umanità, nella contraddizione che ci vede al tempo stesso esseri perfettamente rimpiazzabili ed esseri assolutamente singolari.
La preconferma da parte di Dio, che istituisce una parentela divina fra gli esseri umani, è l'unica condizione che accetta ogni nuovo concepito, attribuendogli uguale valore. Su questo concetto riposa l'idea, egualitaria, di comune umanità.
(©L'Osservatore Romano - 28 febbraio - 1 marzo 2011)
Donata ad una parrocchia di Cracovia la talare che Papa Wojtyla indossava il giorno dell'attentato. E' stata conservata segretamente da Dziwisz (Izzo)
WOJTYLA: DONATA A PARROCCHIA CRACOVIA TALARE DELL'ATTENTATO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 feb.
Anche se la bara di Papa Wojtyla non sara' aperta in occasione della traslazione dalle Grotte Vaticane alla cappella di San Sebastiano, la nuova parrocchia di Cracovia che verra' intitolata al Beato Giovanni Paolo II subito dopo la cerimonia del primo maggio, avra' ugualmente una straordinaria reliquia: la talare che il Pontefice polacco indossava il 13 maggio 1981, conservata segretamente dall'allora segretario personale Stanislao Dziwisz.
La veste bianca macchiata di sangue sara' cosi' finalmente esposta alla venerazione dei fedeli. Notizia ufficiale della donazione della reliquia sara' data domani in una conferenza stampa sul tema "Il dono del Papa" organizzata da mons. Jarek Cielecki, direttore del Vatican Service News.
All'incontro, che si terra' alle 11,30 all'Istituto Maria Bambina, accanto al Colonnato di piazza San Pietro, interverra' anche il card. Giovanni Coppa, gia' nunzio itinerante per i Paesi dell'Est durante il Pontificato.
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 feb.
Anche se la bara di Papa Wojtyla non sara' aperta in occasione della traslazione dalle Grotte Vaticane alla cappella di San Sebastiano, la nuova parrocchia di Cracovia che verra' intitolata al Beato Giovanni Paolo II subito dopo la cerimonia del primo maggio, avra' ugualmente una straordinaria reliquia: la talare che il Pontefice polacco indossava il 13 maggio 1981, conservata segretamente dall'allora segretario personale Stanislao Dziwisz.
La veste bianca macchiata di sangue sara' cosi' finalmente esposta alla venerazione dei fedeli. Notizia ufficiale della donazione della reliquia sara' data domani in una conferenza stampa sul tema "Il dono del Papa" organizzata da mons. Jarek Cielecki, direttore del Vatican Service News.
All'incontro, che si terra' alle 11,30 all'Istituto Maria Bambina, accanto al Colonnato di piazza San Pietro, interverra' anche il card. Giovanni Coppa, gia' nunzio itinerante per i Paesi dell'Est durante il Pontificato.
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"L'Occidente sostenga la primavera araba". E' l'appello che Sharzad Housmand, teologa musulmana di origine iraniana (R.V.)
Clicca qui per leggere la notizia ed ascoltare il servizio.
Il Papa: i media promuovano i valori spirituali, non la violenza. Matteo Ricci è stato un grande comunicatore (Izzo)
PAPA: MEDIA PROMUOVANO VALORI SPIRITO, NON VIOLENZA E CHIUSURE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 feb.
Solo "l'appello ai valori spirituali" permettera' di "promuovere una comunicazione veramente umana" in un mondo ancora dominato da "incomunicabilita' e violenza", che nella Bibbia sono le caratteristiche "di Caino".
Lo ricorda Benedetto XVI ai membri del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali.
"La comunicazione - spiega il Papa - al di la' di ogni facile entusiasmo o scetticismo, e' una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione", come insegna anche la Sacra Scrittura "con le figure di Abramo, Mose', Giobbe e i Profeti". Mai, invece, i media debbono indulgere, ha ammonito, "alla seduzione linguistica, come e' invece il caso del serpente".
Papa Ratzinger mette in guardia dai rischi che corrono oggi i media: la perdita dell'interiorita', la superficialita' nel vivere le relazioni, la fuga nell'emotivita', il prevalere dell'opinione piu' convincente rispetto al desiderio di verita'".
"Sono sotto gli occhi di tutti", osserva definendoli "la conseguenza di un'incapacita' di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni.
Ecco perche' la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie e' urgente". E dunque con il discorso di oggi esorta i credenti a impegnarsi nel mondo dei media, "aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non e' capace da sola di intravedere e rappresentare".
"La cultura digitale - rileva il Pontefice nel suo discorso - pone nuove sfide alla nostra capacita' di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesu' stesso nell'annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell'ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e cosi' via".
Oggi, sottolinea, "siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore
significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all'uomo contemporaneo".
Parlando ai membri del dicastero vaticano competente sui media, Benedetto XVI si sofferma poi sul fatto che "la comunicazione ai tempi dei nuovi media comporta una relazione sempre piu' stretta e ordinaria tra l'uomo e le macchine, dai computer ai telefoni cellulari, per citare solo i piu' comuni". "Gia' Paolo VI - conclude - indicava una pista di riflessione" in merito, domandandosi se nella civilta' delle macchine lo spirito non sia diventato "prigioniero della materia".
© Copyright (AGI)
PAPA: MATTEO RICCI E' STATO GRANDE COMUNICATORE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 feb.
La figura di padre Matteo Ricci, "protagonista dell'annuncio del Vangelo in Cina nell'era moderna", e' stata evocata oggi dal Papa nel discorso al Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.
Per Benedetto il missionario gesuita "del quale abbiamo celebrato il IV centenario della morte", puo' essere annoverato, infatti, tra "i comunicatori". "Nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha - infatti - considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto cio' che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verita' di Cristo".
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Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 feb.
Solo "l'appello ai valori spirituali" permettera' di "promuovere una comunicazione veramente umana" in un mondo ancora dominato da "incomunicabilita' e violenza", che nella Bibbia sono le caratteristiche "di Caino".
Lo ricorda Benedetto XVI ai membri del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali.
"La comunicazione - spiega il Papa - al di la' di ogni facile entusiasmo o scetticismo, e' una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione", come insegna anche la Sacra Scrittura "con le figure di Abramo, Mose', Giobbe e i Profeti". Mai, invece, i media debbono indulgere, ha ammonito, "alla seduzione linguistica, come e' invece il caso del serpente".
Papa Ratzinger mette in guardia dai rischi che corrono oggi i media: la perdita dell'interiorita', la superficialita' nel vivere le relazioni, la fuga nell'emotivita', il prevalere dell'opinione piu' convincente rispetto al desiderio di verita'".
"Sono sotto gli occhi di tutti", osserva definendoli "la conseguenza di un'incapacita' di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni.
Ecco perche' la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie e' urgente". E dunque con il discorso di oggi esorta i credenti a impegnarsi nel mondo dei media, "aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non e' capace da sola di intravedere e rappresentare".
"La cultura digitale - rileva il Pontefice nel suo discorso - pone nuove sfide alla nostra capacita' di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesu' stesso nell'annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell'ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e cosi' via".
Oggi, sottolinea, "siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore
significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all'uomo contemporaneo".
Parlando ai membri del dicastero vaticano competente sui media, Benedetto XVI si sofferma poi sul fatto che "la comunicazione ai tempi dei nuovi media comporta una relazione sempre piu' stretta e ordinaria tra l'uomo e le macchine, dai computer ai telefoni cellulari, per citare solo i piu' comuni". "Gia' Paolo VI - conclude - indicava una pista di riflessione" in merito, domandandosi se nella civilta' delle macchine lo spirito non sia diventato "prigioniero della materia".
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PAPA: MATTEO RICCI E' STATO GRANDE COMUNICATORE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 feb.
La figura di padre Matteo Ricci, "protagonista dell'annuncio del Vangelo in Cina nell'era moderna", e' stata evocata oggi dal Papa nel discorso al Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.
Per Benedetto il missionario gesuita "del quale abbiamo celebrato il IV centenario della morte", puo' essere annoverato, infatti, tra "i comunicatori". "Nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha - infatti - considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto cio' che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verita' di Cristo".
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Di Segni si lamenta: Da Papa Benedetto XVI "non c'è stata alcuna risposta decisiva" sui bambini ebrei battezzati. Domanda: queste richieste sono state avanzate prima del 19 aprile 2005, sotto altri Pontificati?
Sulla questione dei bambini ebrei battezzati rispose Giovanni Maria Vian nel lontano 2004
Il "caso" dei bambini ebrei salvati: un articolo del Prof. Matteo Luigi Napolitano del 18 gennaio 2005
Risposta al rabbino Di Segni: la Santa Sede ha sempre restituito alle loro famiglie di origine i bambini ebrei scampati all'Olocausto in istituzioni cattoliche e ha sempre ordinato di non battezzarli (Asca)
Su segnalazione di Alessia leggiamo e poi commentiamo:
Papa/ Rabbino Di Segni: Ora risposta su bambini ebrei battezzati
Richiesta su shoah in occasione di visita in sinagoga anno scorso
Da Papa Benedetto XVI "non c'è stata alcuna risposta decisiva" sulla vicenda dei "bambini scampati alla Shoah, nascosti in conventi, battezzati e mai restituiti a quello che rimaneva delle loro famiglie o comunità originarie, spesso lasciati ignari delle loro origini". Lo ha scritto il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo di Segni, che ha ricordato come una esplicita richiesta sul tema sia stata fatta a Ratzinger in occasione della sua visita alla sinagoga di Roma dell'anno scorso. "Conoscere le proprie origini è un diritto su cui si discute molto", ha scritto il rabbino in un contributo per il notiziario quotidiano dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. "Un figlio adottato potrebbe voler conoscere chi erano i suoi veri genitori; una persona concepita con procedure 'medicalmente assistite' potrebbe voler sapere chi era il suo padre biologico o la madre che ha offerto l'ovulo o l'utero. Qualche volta gli interessati ignorano del tutto di essere figli di genitori diversi da quelli che li hanno cresciuti; altre volte lo sospettano o ne sono consapevoli, ma non desiderano affatto fare delle ricerche. Si prospettano drammi, crisi di identità, equilibri da distruggere e ricostruire. Ma pensiamo a un'altra eventualità - ha scritto Di Segni - quella dei bambini scampati alla Shoah, nascosti in conventi, battezzati e mai restituiti a quello che rimaneva delle loro famiglie o comunità originarie, spesso lasciati ignari delle loro origini. Certo per loro, ormai settantenni, sarebbe un trauma mettere in discussione la loro storia; al qualcuno non gliene importerebbe niente, ad altri sì. Se sono donne, i loro figli sarebbero inconsapevolmente ebrei. Per noi è importante che questa verità venga a galla, anche se sempre più lontana. Perché dietro c'è una storia di violenza (la persecuzione) su cui si è sovrapposto un atto di solidarietà (il rifugio) trasformato in un'altra violenza, seppure differente (la negazione dell'identità). Fa impressione il fatto che la Chiesa, salvo rare eccezioni (un caso è quello del giovane prete Wojtyla) abbia spesso rifiutato di collaborare seriamente su questo punto; a 13 mesi dalla nuova richiesta fatta a papa Benedetto XVI (in occasione della sua visita alla Sinagoga di Roma) non c'è stata alcuna risposta decisiva", ha concluso il rabbino Di Segni. "Talvolta nascondere a qualcuno le sue vere origini può essere un atto di misericordia; ma nel caso dei bambini ebrei battezzati la reticenza e il silenzio sono solo il segno dell'incapacità di rapportarsi all'ebraismo in modi non conflittuali".
© Copyright TMNews
Anche Di Segni cede alla contrapposizione fra Papi tanto cara ai media? Beh, poco importa...
Personalmente ho una curiosita': tutte queste richieste o, per essere precisi, sonore pretese venivano avanzate prima dell'elezione di Benedetto XVI?
Sono sei anni che leggiamo di inviti pressanti ad aprire archivi, rivelare nomi, favorire documenti...tutto cio' avveniva anche in passato?
La guerra e' finita nel 1945 e tali richieste potevano essere indirizzate a Pacelli, a Roncalli, a Montini, a Luciani ed a Wojtyla. Lo si e' fatto o si e' atteso Ratzinger?
E' un po' come la preghiera' del Venerdi' Santo, che ha attraversato indenne i pontificati di Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II per poi diventare scandalosa sotto Benedetto XVI?
R.
Il "caso" dei bambini ebrei salvati: un articolo del Prof. Matteo Luigi Napolitano del 18 gennaio 2005
Risposta al rabbino Di Segni: la Santa Sede ha sempre restituito alle loro famiglie di origine i bambini ebrei scampati all'Olocausto in istituzioni cattoliche e ha sempre ordinato di non battezzarli (Asca)
Su segnalazione di Alessia leggiamo e poi commentiamo:
Papa/ Rabbino Di Segni: Ora risposta su bambini ebrei battezzati
Richiesta su shoah in occasione di visita in sinagoga anno scorso
Da Papa Benedetto XVI "non c'è stata alcuna risposta decisiva" sulla vicenda dei "bambini scampati alla Shoah, nascosti in conventi, battezzati e mai restituiti a quello che rimaneva delle loro famiglie o comunità originarie, spesso lasciati ignari delle loro origini". Lo ha scritto il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo di Segni, che ha ricordato come una esplicita richiesta sul tema sia stata fatta a Ratzinger in occasione della sua visita alla sinagoga di Roma dell'anno scorso. "Conoscere le proprie origini è un diritto su cui si discute molto", ha scritto il rabbino in un contributo per il notiziario quotidiano dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. "Un figlio adottato potrebbe voler conoscere chi erano i suoi veri genitori; una persona concepita con procedure 'medicalmente assistite' potrebbe voler sapere chi era il suo padre biologico o la madre che ha offerto l'ovulo o l'utero. Qualche volta gli interessati ignorano del tutto di essere figli di genitori diversi da quelli che li hanno cresciuti; altre volte lo sospettano o ne sono consapevoli, ma non desiderano affatto fare delle ricerche. Si prospettano drammi, crisi di identità, equilibri da distruggere e ricostruire. Ma pensiamo a un'altra eventualità - ha scritto Di Segni - quella dei bambini scampati alla Shoah, nascosti in conventi, battezzati e mai restituiti a quello che rimaneva delle loro famiglie o comunità originarie, spesso lasciati ignari delle loro origini. Certo per loro, ormai settantenni, sarebbe un trauma mettere in discussione la loro storia; al qualcuno non gliene importerebbe niente, ad altri sì. Se sono donne, i loro figli sarebbero inconsapevolmente ebrei. Per noi è importante che questa verità venga a galla, anche se sempre più lontana. Perché dietro c'è una storia di violenza (la persecuzione) su cui si è sovrapposto un atto di solidarietà (il rifugio) trasformato in un'altra violenza, seppure differente (la negazione dell'identità). Fa impressione il fatto che la Chiesa, salvo rare eccezioni (un caso è quello del giovane prete Wojtyla) abbia spesso rifiutato di collaborare seriamente su questo punto; a 13 mesi dalla nuova richiesta fatta a papa Benedetto XVI (in occasione della sua visita alla Sinagoga di Roma) non c'è stata alcuna risposta decisiva", ha concluso il rabbino Di Segni. "Talvolta nascondere a qualcuno le sue vere origini può essere un atto di misericordia; ma nel caso dei bambini ebrei battezzati la reticenza e il silenzio sono solo il segno dell'incapacità di rapportarsi all'ebraismo in modi non conflittuali".
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Anche Di Segni cede alla contrapposizione fra Papi tanto cara ai media? Beh, poco importa...
Personalmente ho una curiosita': tutte queste richieste o, per essere precisi, sonore pretese venivano avanzate prima dell'elezione di Benedetto XVI?
Sono sei anni che leggiamo di inviti pressanti ad aprire archivi, rivelare nomi, favorire documenti...tutto cio' avveniva anche in passato?
La guerra e' finita nel 1945 e tali richieste potevano essere indirizzate a Pacelli, a Roncalli, a Montini, a Luciani ed a Wojtyla. Lo si e' fatto o si e' atteso Ratzinger?
E' un po' come la preghiera' del Venerdi' Santo, che ha attraversato indenne i pontificati di Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II per poi diventare scandalosa sotto Benedetto XVI?
R.
Card. Antonio Cañizares Llovera: Solo la liturgia ci pone dinanzi a Dio stesso (estratto dell'intervista rilasciata a "Vida Nueva")
LA SACRA LITURGIA: LO SPECIALE DEL BLOG
Il testo integrale dell'intervista al card. Antonio Cañizares Llovera è consultabile qui. Qui una traduzione sommaria.
Il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti Antonio Cañizares Llovera
Solo la liturgia ci pone dinanzi a Dio stesso
Pubblichiamo un ampio estratto dell'intervista che il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti, Antonio Cañizares Llovera, ha rilasciato al settimanale Vida Nueva.
di Antonio Pelayo
Lei è a Roma già da abbastanza tempo per fare un bilancio personale di questo periodo.
Sono stati due anni intensi, molto intensi; com'è ovvio, nella mia vita e nel mio agire personale al servizio totale della Chiesa c'è stato un grande cambiamento. Quanti fatti, quante esperienze nuove e significative, quante esperienze vissute di fede, profondamente ecclesiali, sono accadute in questi anni! Una tappa molto ricca in tutti i sensi, un tempo di grazia, un vero passaggio di Dio nella mia vita; solo Dio lo sa. Questo è il primo e principale aspetto.
Il bilancio, la valutazione di questi anni? Lo lascio nelle mani di Dio e della Chiesa. Comunque, con sguardo sereno e obiettivo, vedo questo tempo come un cammino aperto di speranza, con non pochi progetti che meritano tutta l'attenzione e la dedizione, volti tutti e nel loro insieme a promuovere un deciso e ampio movimento per ravvivare il genuino significato e lo spirito della liturgia nella Chiesa. Questo è ciò che mi è stato chiesto. E, con l'aiuto di Dio e gli altri aiuti di cui abbiamo tanto bisogno e che non mancano mai, stiamo cercando di portarlo a compimento.
La Curia l'ha delusa? La definirebbe un organismo necessario, efficace, rispettoso delle Chiese particolari?
Perché doveva deludermi se proprio presso di essa, senza volerlo né pretenderlo, mi hanno chiamato a lavorare come operaio nella vigna del Signore? Deludermi, in cosa, visto che non ho posto alcuna condizione, non ho chiesto nulla e nessun «salario»? Molto semplicemente, il mio inserimento nei lavori della Curia romana per collaborare con il Santo Padre e aiutarlo nella missione che mi ha affidato al servizio della Chiesa universale si sta dimostrando per me un dono di Dio. Qui si sentono e si vivono con un'intensità particolare la realtà e il mistero della Chiesa, la presenza del Signore in essa, le gioie, le speranze, le pene e le sofferenze dell'umanità intera; qui si allarga la visione ecclesiale e di fede. È vero che questo inserimento nella Curia è stato, in qualche modo, una novità nella mia vita di pastore. La mia esistenza ha assunto una direzione nuova e inattesa, ho vissuto l'esperienza innegabile di una certa spoliazione, e indubbiamente sento la mancanza del lavoro pastorale diretto e in trincea, per fare una similitudine con la lotta sempre inerente alla fede e alla missione. Dal di dentro si vedono l'importanza e il grande servizio che la Curia romana presta alle Chiese particolari, il lavoro ingente e silenzioso che si porta avanti, l'estrema cura che si pone nel rispondere alle loro richieste e necessità, l'enorme lavoro che si svolge. La Curia è necessaria, imprescindibile direi, come servizio di comunione e animazione. Sicuramente si potrebbero e si dovrebbero rinnovare varie cose per renderla più agile, rapida, «pastorale» e creare maggiore interazione e fecondità reciproca fra i suoi dicasteri e tra noi che in essa lavoriamo. Forse alcuni pensano che dovrebbe essere più energica e animare maggiormente, in un certo senso come il grande motore della Chiesa. Credo che lo sia e che possa e debba esserlo ancora di più, senza soffocare nulla.
C'è un regresso in materia liturgica? Quali sono le chiavi della «riforma della riforma»?
Non so se possiamo parlare di regresso, perché prima bisognerebbe sapere se c'è stato o no un avanzamento, o in quali punti e in quali aspetti c'è stato un progresso. È possibile che, in alcune occasioni e casi soggettivi, sia stato considerato o visto come un progresso ciò che in realtà non lo era, o non lo era abbastanza, o che non si fondava sulle basi su cui si sarebbe dovuto fondare. Nessuno può mettere in dubbio che il concilio Vaticano II abbia posto la sacra liturgia, con la Parola di Dio, al centro della vita e della missione della Chiesa. È molto significativo, nel linguaggio degli eventi attraverso i quali Dio parla, il fatto che la costituzione Sacrosanctum concilium sia stata il primo testo approvato; è innegabile, inoltre, che da quel momento si sia prodotto un grande rinnovamento liturgico.
Ora, si può affermare che tutto quello che è stato fatto e si fa è il rinnovamento voluto dal Concilio? Il rinnovamento voluto e promosso veramente dal Concilio è penetrato in modo sufficiente ed è giunto agli aspetti essenziali della vita e della missione del Popolo di Dio? Si può chiamare rinnovamento conciliare e sviluppo tutto ciò che è venuto dopo? Dobbiamo essere umili e sinceri: il principale e grande invito del Concilio a far sì che la liturgia fosse la fonte e la meta, il vertice di tutta la vita cristiana, si sta realizzando nella coscienza di tutti, sacerdoti e laici o, al contrario, si è ancora lontani da ciò? Il popolo di Dio, fedeli e pastori, vive veramente della liturgia, la liturgia è al centro della nostra vita? Gli insegnamenti conciliari sono stati impartiti e assimilati, si è restati fedeli a essi, sono stati interpretati correttamente nella linea della continuità che il Papa chiede?
Le mie non sono domande retoriche e oggi è particolarmente necessario porsele. Le risposte non sempre ricondurranno alla stessa origine: il Concilio.
Per questo le chiavi per la cosiddetta «riforma della riforma» sulle quali verteva la sua domanda non sono altro che quelle date dal concilio Vaticano II nella Sacrosanctum concilium e dal successivo magistero dei Papi, che indicano e interpretano in modo autentico i loro insegnamenti secondo una «ermeneutica della continuità».
Questa è la nostra situazione attuale. Aggiungo che viviamo in una situazione drammatica caratterizzata dal dimenticarsi di Dio e dal vivere come se Dio non esistesse. Tutto ciò, com'è evidente e tangibile, sta avendo conseguenze gravissime. Solo la vita liturgica posta al centro di tutto, solo un rinnovamento liturgico profondo, solo il ridare alla liturgia, e in particolare all'Eucaristia, il posto che le corrisponde nella vita della Chiesa, dei sacerdoti e dei fedeli, così come la Chiesa l'intende, l'orienta e la regola, fedelmente alla sua natura e alla tradizione, potrà ricondurci veramente a Dio, porre Dio quale centro, fondamento, senso e meta di tutto, e rendere così possibile un'umanità nuova, fatta di uomini e donne nuovi che adorano Dio, aprire cammini di speranza e illuminare il mondo con la luce e la bellezza della carità che nasce dalla liturgia. La liturgia ci pone dinanzi a Dio stesso, all'azione di Dio, al suo amore; potremo promuovere un'urgente e nuova evangelizzazione solo se la liturgia riacquisterà il posto che le compete nella vita di tutti i cristiani. È necessario, a mio parere, riconoscere che la liturgia oggi non è «l'anima», la fonte e la meta della vita di molti cristiani, fedeli e sacerdoti. Quanta routine e mediocrità, quanta banalizzazione e superficialità nella nostra vita! Quante messe celebrate senza attenzione o alle quali si partecipa senza una particolare disposizione. Da qui la nostra grande debolezza. È oltremodo necessario far comprendere ai fedeli che la liturgia è, prima di tutto, opera di Dio e che nulla si può anteporre ad essa. Solo Dio, la «rivoluzione di Dio», Dio al centro di tutti, potrà rinnovare e cambiare il mondo.
Si parla molto di una ristrutturazione del dicastero che lei presiede, il quale perderebbe tutto ciò che corrisponde alla disciplina dei sacramenti. Cosa ci può dire al riguardo?
Fra i progetti più immediati, nel quadro della risposta che la Congregazione deve dare alle sfide presenti, abbiamo quello della ristrutturazione del dicastero, che include, per esempio, la creazione di una sezione nuova per la musica e l'arte sacre al servizio della liturgia. Un altro aspetto di questa stessa ristrutturazione riguarda il trasferimento a un altro organismo della Santa Sede dell'«ufficio matrimoniale» per i casi di matrimonio rato e non consumato; anni fa è già passata al clero la dispensa dagli obblighi sacerdotali.
Si dice, come lei ha ricordato, che non si occuperà più dei sacramenti o che non sarà più di nostra competenza l'aspetto della «disciplina» dei sacramenti. Entrambe le cose sono impossibili, poiché liturgia e sacramenti sono uniti, sono la stessa cosa. Inoltre, la disciplina appartiene allo stesso nucleo dei sacramenti e della liturgia; la liturgia comporta sempre una regola, un regolamento, anche canonico, e questo è un aspetto che si deve curare e seguire con grande attenzione. In ultima analisi, si tratta del ius divinum, che è in gioco nella disciplina dei sacramenti. Ci sono norme da osservare, una legge da rispettare -- quella di Dio -- e anche abusi da correggere. Per questo, in nessun modo può scomparire dalla Congregazione la «disciplina dei sacramenti», che al contrario, verrà rafforzata. D'altro canto tutto ciò permetterà di dedicare e di concentrare la maggior parte dei non pochi sforzi e lavori necessari su tutto ciò che è in grado d'intensificare il movimento liturgico, ancora vivo, quale opera dello Spirito Santo, del concilio Vaticano II.
Benedetto XVI sta per compiere 84 anni e da quasi sei anni è a capo della Chiesa. Le chiedo di definire il suo maggiore contributo alla Chiesa.
Lei mi chiede di «definire» e ciò è impossibile. Sarebbe un'insolenza da parte mia. «Definire» è sempre ridurre.
E una personalità così ricca e un'opera così immensa e grandiosa come quella che il Papa sta portando avanti io non saprei «definirla» senza mutilarla e impoverirla. In ogni modo, osando molto, le dico che è il «Papa dell'essenziale», e che «l'essenziale», come ci ha detto nell'omelia della santa messa con la quale ha iniziato ufficialmente il suo Pontificato, è «fare la volontà di Dio», essere testimone di Dio e di ciò che Dio vuole, fare quello che Egli vuole, e la sua voce è molto chiara. È il Papa che sta ponendo Dio al centro di tutto, che ci ricorda permanentemente Dio, e la centralità di Dio, che ha un volto umano, il suo Figlio Unigenito, Gesù Cristo, che è Amore, e che la sua «passione» è l'uomo, totalmente inseparabile da Dio. È questo il punto più importante, sempre, e soprattutto in questo momento.
È a partire da tutto ciò che intendo il suo pontificato. Per esempio le sue tre encicliche, le sue esortazioni apostoliche, il suo massimo interesse e la sua attenzione per la liturgia e l'Eucaristia, per la Parola di Dio, il suo appello costante alla purificazione della Chiesa, alla conversione degli stessi cristiani nel significato radicale in cui egli la intende, il suo lavoro instancabile a favore dell'unità, e la sua difesa, superiore a qualsiasi altra, della verità e della ragione, e pertanto della libertà vera di ogni uomo.
In questo momento quali sono le maggiori preoccupazioni circa il futuro della Chiesa in Spagna?
L'ho detto molte volte e in diverse occasioni: la mia preoccupazione più grande è che gli uomini credano, perché credere o non credere non è la stessa cosa. Il problema principale della Spagna, che è alla base della situazione così grave che sta attraversando, come se si stesse dissanguando e svenando, ha la sua radice nel dimenticarsi di Dio, nel pretendere di vivere come se Dio non esistesse, e al margine di Dio, nella laicizzazione così grande e radicale voluta da alcune correnti o nella secolarizzazione interna della Chiesa stessa, nel dimenticarsi, da parte della Spagna, della sua identità e delle sue radici e del suo ricco apporto alla Chiesa e al mondo. Per questo la Chiesa in Spagna dovrebbe rileggere e meditare tutto ciò che il Papa ci ha detto nel suo recente viaggio nel nostro Paese e meditare nuovamente lo stesso magistero dei vescovi spagnoli, tanto ricco e suggestivo; per esempio, la loro istruzione del 2006, Orientaciones morales, o anche La verdad os hará libres, oppure Testigos del Dios vivo, per vedere che la grande sfida che abbiamo dinanzi è una nuova, pressante e coraggiosa evangelizzazione, un deciso rinnovamento di una nuova pastorale per l'«iniziazione cristiana», per fare cristiani.
In questo si riassume tutto, è tutto il suo futuro, le sue azioni improrogabili. Il Papa, in fondo, ci ha detto la stessa cosa che Giovanni Paolo II disse da Santiago all'Europa: «Spagna, sii te stessa». Con la ricchezza, la forza della tua fede, la capacità di evangelizzare e di creare cultura che questa fede e queste radici profondamente cristiane comportano.
Una grande sfida per la Chiesa in Spagna è quella di riacquistare il vigore di una fede vissuta capace di edificare un'umanità nuova, di avere più fiducia in se stessa, di non avere paura, di essere libera, di vivere in profonda unità, di rinnovare il tessuto della società, rinnovando contemporaneamente il tessuto delle nostre comunità. L'incoraggiamento e il vigore dei sacerdoti, le vocazioni sacerdotali, le vocazioni religiose, l'iniziazione cristiana, la presenza dei fedeli cristiani nella vita pubblica, non malgrado la loro fede ma proprio per la loro fede, la pastorale della santità, il rafforzamento dell'unità e della comunione: sono queste le sfide che abbiamo dinanzi a noi. Motivo di grande speranza è la Giornata mondiale della gioventù, un dono di Dio alla Chiesa in Spagna in questo momento. Il grande mandato è quello che ci ha lasciato Giovanni Paolo II nel suo ultimo viaggio nella nostra patria: «Spagna evangelizzata, Spagna evangelizzatrice. Questo è il tuo cammino».
La Chiesa spagnola le sembra preparata ad affrontare queste sfide?
Naturalmente sì. La Chiesa in Spagna ha una grande vitalità che, a volte, noi spagnoli non sappiamo riconoscere e apprezzare in modo adeguato. Siamo fatti così; dal di fuori si apprezza e si valorizza di più e meglio la forza interiore della Chiesa in Spagna, manifestata nella sua ripetutamente provata fedeltà al Vangelo, nella sua ineguagliabile attività evangelizzatrice e nella sua vasta presenza missionaria, in tante iniziative, in tante prese di posizione, in tanti impegni apostolici, nella sua grande storia, che, malgrado le lacune e gli errori umani, è degna di ammirazione e di stima. Questa storia dovrebbe fungere da ispirazione e stimolo nell'offrire l'esempio per andare avanti e migliorare il futuro. Ritengo necessario ravvivare la fiducia nelle capacità della Chiesa in Spagna; non sono altro che quelle di Gesù Cristo presente in essa, il gran novero di santi e di martiri che riempiono la sua storia, le famiglie che hanno ancora principi e fondamenti cristiani, la ricchezza nascosta e la forza così straordinaria della vita contemplativa, la religiosità popolare, il suo ricco e vivo patrimonio culturale e sociale cristiano, il suo senso profondamente mariano, la scuola cattolica e le università della Chiesa… I timori e i complessi ci possono soffocare.
È il momento della fede e della fiducia; è il momento della verità e dell'essere liberi con la libertà di chi si appoggia a Dio; è il momento della speranza che non delude; il momento di vivere e di annunciare la sua grande e unica ricchezza, Gesù Cristo: questa non si può dimenticare, né tacere, né lasciar morire. Dobbiamo ricordarci, in questo preciso momento storico, delle incisive parole di Papa Giovanni Paolo II al suo arrivo all'aeroporto di Barajas nel suo primo viaggio: «Occorre che i cattolici spagnoli sappiano recuperare il vigore pieno dello spirito, il coraggio di una fede vissuta, la lucidità evangelica illuminata dall'amore profondo per il fratello». È questa la preparazione di cui si ha bisogno.
La stampa in generale, e quella che si occupa più specificatamente dell'informazione religiosa, è distratta da altri temi?
Alcuni sembrano essere distratti, non sanno o non vogliono sapere. I problemi di fondo spesso non sono laddove li segnalano. Per esempio, il problema non consiste nel fatto che il Governo detti questa o quella legge, o che faccia un gesto, dica una parola o abbia una reazione piuttosto che un altra. Non si gioca tutto sullo scacchiere della politica, né la Chiesa entra in tale gioco, né si può vedere tutto in chiave politica, e neppure ridurre tutto a una semplice interpretazione politica della presenza e delle relazioni della Chiesa con il mondo, con l'uomo di oggi. E neppure giudicare ogni cosa secondo lo schema conservatori o progressisti, moderni o estranei alla modernità che regna in questo ambiente. Non consiste neanche nelle questioni di «politica ecclesiastica» o nei commenti «clericali da sacrestia» che recano tanto danno e non costruiscono né seminano alcunché. No. Ciò non è entrare in quello che la Chiesa è e in quello che essa può e deve offrire alle persone e al nostro Paese. Riconosco che mi piacerebbe trovare una visione più ampia e aperta, più incentrata su ciò che è veramente importante, più profonda e approfondita delle questioni vere, che sono quelle che edificano e offrono un contributo.
L'episcopato spagnolo è diviso?
No, decisamente no. Grazie a Dio non è un episcopato monocromatico e neppure omogeneo. Ci sono pareri diversi e normali preferenze. Non si può però concludere che ci sia divisione. Nulla e nessuno, né dentro né fuori, dovrebbe attenuare o indebolire questa unione nella diversità. Tutto ciò che rafforza l'unità è fondamentale per una nuova evangelizzazione e per un futuro di speranza. Se prima ho detto «Spagna evangelizzata, Spagna evangelizzatrice, questo è il tuo cammino», ora aggiungo che è possibile percorrere questo cammino solo con una forte unità dell'episcopato. Credo che tutti ne siamo consapevoli.
(©L'Osservatore Romano - 28 febbraio - 1 marzo 2011)
Il testo integrale dell'intervista al card. Antonio Cañizares Llovera è consultabile qui. Qui una traduzione sommaria.
Il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti Antonio Cañizares Llovera
Solo la liturgia ci pone dinanzi a Dio stesso
Pubblichiamo un ampio estratto dell'intervista che il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti, Antonio Cañizares Llovera, ha rilasciato al settimanale Vida Nueva.
di Antonio Pelayo
Lei è a Roma già da abbastanza tempo per fare un bilancio personale di questo periodo.
Sono stati due anni intensi, molto intensi; com'è ovvio, nella mia vita e nel mio agire personale al servizio totale della Chiesa c'è stato un grande cambiamento. Quanti fatti, quante esperienze nuove e significative, quante esperienze vissute di fede, profondamente ecclesiali, sono accadute in questi anni! Una tappa molto ricca in tutti i sensi, un tempo di grazia, un vero passaggio di Dio nella mia vita; solo Dio lo sa. Questo è il primo e principale aspetto.
Il bilancio, la valutazione di questi anni? Lo lascio nelle mani di Dio e della Chiesa. Comunque, con sguardo sereno e obiettivo, vedo questo tempo come un cammino aperto di speranza, con non pochi progetti che meritano tutta l'attenzione e la dedizione, volti tutti e nel loro insieme a promuovere un deciso e ampio movimento per ravvivare il genuino significato e lo spirito della liturgia nella Chiesa. Questo è ciò che mi è stato chiesto. E, con l'aiuto di Dio e gli altri aiuti di cui abbiamo tanto bisogno e che non mancano mai, stiamo cercando di portarlo a compimento.
La Curia l'ha delusa? La definirebbe un organismo necessario, efficace, rispettoso delle Chiese particolari?
Perché doveva deludermi se proprio presso di essa, senza volerlo né pretenderlo, mi hanno chiamato a lavorare come operaio nella vigna del Signore? Deludermi, in cosa, visto che non ho posto alcuna condizione, non ho chiesto nulla e nessun «salario»? Molto semplicemente, il mio inserimento nei lavori della Curia romana per collaborare con il Santo Padre e aiutarlo nella missione che mi ha affidato al servizio della Chiesa universale si sta dimostrando per me un dono di Dio. Qui si sentono e si vivono con un'intensità particolare la realtà e il mistero della Chiesa, la presenza del Signore in essa, le gioie, le speranze, le pene e le sofferenze dell'umanità intera; qui si allarga la visione ecclesiale e di fede. È vero che questo inserimento nella Curia è stato, in qualche modo, una novità nella mia vita di pastore. La mia esistenza ha assunto una direzione nuova e inattesa, ho vissuto l'esperienza innegabile di una certa spoliazione, e indubbiamente sento la mancanza del lavoro pastorale diretto e in trincea, per fare una similitudine con la lotta sempre inerente alla fede e alla missione. Dal di dentro si vedono l'importanza e il grande servizio che la Curia romana presta alle Chiese particolari, il lavoro ingente e silenzioso che si porta avanti, l'estrema cura che si pone nel rispondere alle loro richieste e necessità, l'enorme lavoro che si svolge. La Curia è necessaria, imprescindibile direi, come servizio di comunione e animazione. Sicuramente si potrebbero e si dovrebbero rinnovare varie cose per renderla più agile, rapida, «pastorale» e creare maggiore interazione e fecondità reciproca fra i suoi dicasteri e tra noi che in essa lavoriamo. Forse alcuni pensano che dovrebbe essere più energica e animare maggiormente, in un certo senso come il grande motore della Chiesa. Credo che lo sia e che possa e debba esserlo ancora di più, senza soffocare nulla.
C'è un regresso in materia liturgica? Quali sono le chiavi della «riforma della riforma»?
Non so se possiamo parlare di regresso, perché prima bisognerebbe sapere se c'è stato o no un avanzamento, o in quali punti e in quali aspetti c'è stato un progresso. È possibile che, in alcune occasioni e casi soggettivi, sia stato considerato o visto come un progresso ciò che in realtà non lo era, o non lo era abbastanza, o che non si fondava sulle basi su cui si sarebbe dovuto fondare. Nessuno può mettere in dubbio che il concilio Vaticano II abbia posto la sacra liturgia, con la Parola di Dio, al centro della vita e della missione della Chiesa. È molto significativo, nel linguaggio degli eventi attraverso i quali Dio parla, il fatto che la costituzione Sacrosanctum concilium sia stata il primo testo approvato; è innegabile, inoltre, che da quel momento si sia prodotto un grande rinnovamento liturgico.
Ora, si può affermare che tutto quello che è stato fatto e si fa è il rinnovamento voluto dal Concilio? Il rinnovamento voluto e promosso veramente dal Concilio è penetrato in modo sufficiente ed è giunto agli aspetti essenziali della vita e della missione del Popolo di Dio? Si può chiamare rinnovamento conciliare e sviluppo tutto ciò che è venuto dopo? Dobbiamo essere umili e sinceri: il principale e grande invito del Concilio a far sì che la liturgia fosse la fonte e la meta, il vertice di tutta la vita cristiana, si sta realizzando nella coscienza di tutti, sacerdoti e laici o, al contrario, si è ancora lontani da ciò? Il popolo di Dio, fedeli e pastori, vive veramente della liturgia, la liturgia è al centro della nostra vita? Gli insegnamenti conciliari sono stati impartiti e assimilati, si è restati fedeli a essi, sono stati interpretati correttamente nella linea della continuità che il Papa chiede?
Le mie non sono domande retoriche e oggi è particolarmente necessario porsele. Le risposte non sempre ricondurranno alla stessa origine: il Concilio.
Per questo le chiavi per la cosiddetta «riforma della riforma» sulle quali verteva la sua domanda non sono altro che quelle date dal concilio Vaticano II nella Sacrosanctum concilium e dal successivo magistero dei Papi, che indicano e interpretano in modo autentico i loro insegnamenti secondo una «ermeneutica della continuità».
Questa è la nostra situazione attuale. Aggiungo che viviamo in una situazione drammatica caratterizzata dal dimenticarsi di Dio e dal vivere come se Dio non esistesse. Tutto ciò, com'è evidente e tangibile, sta avendo conseguenze gravissime. Solo la vita liturgica posta al centro di tutto, solo un rinnovamento liturgico profondo, solo il ridare alla liturgia, e in particolare all'Eucaristia, il posto che le corrisponde nella vita della Chiesa, dei sacerdoti e dei fedeli, così come la Chiesa l'intende, l'orienta e la regola, fedelmente alla sua natura e alla tradizione, potrà ricondurci veramente a Dio, porre Dio quale centro, fondamento, senso e meta di tutto, e rendere così possibile un'umanità nuova, fatta di uomini e donne nuovi che adorano Dio, aprire cammini di speranza e illuminare il mondo con la luce e la bellezza della carità che nasce dalla liturgia. La liturgia ci pone dinanzi a Dio stesso, all'azione di Dio, al suo amore; potremo promuovere un'urgente e nuova evangelizzazione solo se la liturgia riacquisterà il posto che le compete nella vita di tutti i cristiani. È necessario, a mio parere, riconoscere che la liturgia oggi non è «l'anima», la fonte e la meta della vita di molti cristiani, fedeli e sacerdoti. Quanta routine e mediocrità, quanta banalizzazione e superficialità nella nostra vita! Quante messe celebrate senza attenzione o alle quali si partecipa senza una particolare disposizione. Da qui la nostra grande debolezza. È oltremodo necessario far comprendere ai fedeli che la liturgia è, prima di tutto, opera di Dio e che nulla si può anteporre ad essa. Solo Dio, la «rivoluzione di Dio», Dio al centro di tutti, potrà rinnovare e cambiare il mondo.
Si parla molto di una ristrutturazione del dicastero che lei presiede, il quale perderebbe tutto ciò che corrisponde alla disciplina dei sacramenti. Cosa ci può dire al riguardo?
Fra i progetti più immediati, nel quadro della risposta che la Congregazione deve dare alle sfide presenti, abbiamo quello della ristrutturazione del dicastero, che include, per esempio, la creazione di una sezione nuova per la musica e l'arte sacre al servizio della liturgia. Un altro aspetto di questa stessa ristrutturazione riguarda il trasferimento a un altro organismo della Santa Sede dell'«ufficio matrimoniale» per i casi di matrimonio rato e non consumato; anni fa è già passata al clero la dispensa dagli obblighi sacerdotali.
Si dice, come lei ha ricordato, che non si occuperà più dei sacramenti o che non sarà più di nostra competenza l'aspetto della «disciplina» dei sacramenti. Entrambe le cose sono impossibili, poiché liturgia e sacramenti sono uniti, sono la stessa cosa. Inoltre, la disciplina appartiene allo stesso nucleo dei sacramenti e della liturgia; la liturgia comporta sempre una regola, un regolamento, anche canonico, e questo è un aspetto che si deve curare e seguire con grande attenzione. In ultima analisi, si tratta del ius divinum, che è in gioco nella disciplina dei sacramenti. Ci sono norme da osservare, una legge da rispettare -- quella di Dio -- e anche abusi da correggere. Per questo, in nessun modo può scomparire dalla Congregazione la «disciplina dei sacramenti», che al contrario, verrà rafforzata. D'altro canto tutto ciò permetterà di dedicare e di concentrare la maggior parte dei non pochi sforzi e lavori necessari su tutto ciò che è in grado d'intensificare il movimento liturgico, ancora vivo, quale opera dello Spirito Santo, del concilio Vaticano II.
Benedetto XVI sta per compiere 84 anni e da quasi sei anni è a capo della Chiesa. Le chiedo di definire il suo maggiore contributo alla Chiesa.
Lei mi chiede di «definire» e ciò è impossibile. Sarebbe un'insolenza da parte mia. «Definire» è sempre ridurre.
E una personalità così ricca e un'opera così immensa e grandiosa come quella che il Papa sta portando avanti io non saprei «definirla» senza mutilarla e impoverirla. In ogni modo, osando molto, le dico che è il «Papa dell'essenziale», e che «l'essenziale», come ci ha detto nell'omelia della santa messa con la quale ha iniziato ufficialmente il suo Pontificato, è «fare la volontà di Dio», essere testimone di Dio e di ciò che Dio vuole, fare quello che Egli vuole, e la sua voce è molto chiara. È il Papa che sta ponendo Dio al centro di tutto, che ci ricorda permanentemente Dio, e la centralità di Dio, che ha un volto umano, il suo Figlio Unigenito, Gesù Cristo, che è Amore, e che la sua «passione» è l'uomo, totalmente inseparabile da Dio. È questo il punto più importante, sempre, e soprattutto in questo momento.
È a partire da tutto ciò che intendo il suo pontificato. Per esempio le sue tre encicliche, le sue esortazioni apostoliche, il suo massimo interesse e la sua attenzione per la liturgia e l'Eucaristia, per la Parola di Dio, il suo appello costante alla purificazione della Chiesa, alla conversione degli stessi cristiani nel significato radicale in cui egli la intende, il suo lavoro instancabile a favore dell'unità, e la sua difesa, superiore a qualsiasi altra, della verità e della ragione, e pertanto della libertà vera di ogni uomo.
In questo momento quali sono le maggiori preoccupazioni circa il futuro della Chiesa in Spagna?
L'ho detto molte volte e in diverse occasioni: la mia preoccupazione più grande è che gli uomini credano, perché credere o non credere non è la stessa cosa. Il problema principale della Spagna, che è alla base della situazione così grave che sta attraversando, come se si stesse dissanguando e svenando, ha la sua radice nel dimenticarsi di Dio, nel pretendere di vivere come se Dio non esistesse, e al margine di Dio, nella laicizzazione così grande e radicale voluta da alcune correnti o nella secolarizzazione interna della Chiesa stessa, nel dimenticarsi, da parte della Spagna, della sua identità e delle sue radici e del suo ricco apporto alla Chiesa e al mondo. Per questo la Chiesa in Spagna dovrebbe rileggere e meditare tutto ciò che il Papa ci ha detto nel suo recente viaggio nel nostro Paese e meditare nuovamente lo stesso magistero dei vescovi spagnoli, tanto ricco e suggestivo; per esempio, la loro istruzione del 2006, Orientaciones morales, o anche La verdad os hará libres, oppure Testigos del Dios vivo, per vedere che la grande sfida che abbiamo dinanzi è una nuova, pressante e coraggiosa evangelizzazione, un deciso rinnovamento di una nuova pastorale per l'«iniziazione cristiana», per fare cristiani.
In questo si riassume tutto, è tutto il suo futuro, le sue azioni improrogabili. Il Papa, in fondo, ci ha detto la stessa cosa che Giovanni Paolo II disse da Santiago all'Europa: «Spagna, sii te stessa». Con la ricchezza, la forza della tua fede, la capacità di evangelizzare e di creare cultura che questa fede e queste radici profondamente cristiane comportano.
Una grande sfida per la Chiesa in Spagna è quella di riacquistare il vigore di una fede vissuta capace di edificare un'umanità nuova, di avere più fiducia in se stessa, di non avere paura, di essere libera, di vivere in profonda unità, di rinnovare il tessuto della società, rinnovando contemporaneamente il tessuto delle nostre comunità. L'incoraggiamento e il vigore dei sacerdoti, le vocazioni sacerdotali, le vocazioni religiose, l'iniziazione cristiana, la presenza dei fedeli cristiani nella vita pubblica, non malgrado la loro fede ma proprio per la loro fede, la pastorale della santità, il rafforzamento dell'unità e della comunione: sono queste le sfide che abbiamo dinanzi a noi. Motivo di grande speranza è la Giornata mondiale della gioventù, un dono di Dio alla Chiesa in Spagna in questo momento. Il grande mandato è quello che ci ha lasciato Giovanni Paolo II nel suo ultimo viaggio nella nostra patria: «Spagna evangelizzata, Spagna evangelizzatrice. Questo è il tuo cammino».
La Chiesa spagnola le sembra preparata ad affrontare queste sfide?
Naturalmente sì. La Chiesa in Spagna ha una grande vitalità che, a volte, noi spagnoli non sappiamo riconoscere e apprezzare in modo adeguato. Siamo fatti così; dal di fuori si apprezza e si valorizza di più e meglio la forza interiore della Chiesa in Spagna, manifestata nella sua ripetutamente provata fedeltà al Vangelo, nella sua ineguagliabile attività evangelizzatrice e nella sua vasta presenza missionaria, in tante iniziative, in tante prese di posizione, in tanti impegni apostolici, nella sua grande storia, che, malgrado le lacune e gli errori umani, è degna di ammirazione e di stima. Questa storia dovrebbe fungere da ispirazione e stimolo nell'offrire l'esempio per andare avanti e migliorare il futuro. Ritengo necessario ravvivare la fiducia nelle capacità della Chiesa in Spagna; non sono altro che quelle di Gesù Cristo presente in essa, il gran novero di santi e di martiri che riempiono la sua storia, le famiglie che hanno ancora principi e fondamenti cristiani, la ricchezza nascosta e la forza così straordinaria della vita contemplativa, la religiosità popolare, il suo ricco e vivo patrimonio culturale e sociale cristiano, il suo senso profondamente mariano, la scuola cattolica e le università della Chiesa… I timori e i complessi ci possono soffocare.
È il momento della fede e della fiducia; è il momento della verità e dell'essere liberi con la libertà di chi si appoggia a Dio; è il momento della speranza che non delude; il momento di vivere e di annunciare la sua grande e unica ricchezza, Gesù Cristo: questa non si può dimenticare, né tacere, né lasciar morire. Dobbiamo ricordarci, in questo preciso momento storico, delle incisive parole di Papa Giovanni Paolo II al suo arrivo all'aeroporto di Barajas nel suo primo viaggio: «Occorre che i cattolici spagnoli sappiano recuperare il vigore pieno dello spirito, il coraggio di una fede vissuta, la lucidità evangelica illuminata dall'amore profondo per il fratello». È questa la preparazione di cui si ha bisogno.
La stampa in generale, e quella che si occupa più specificatamente dell'informazione religiosa, è distratta da altri temi?
Alcuni sembrano essere distratti, non sanno o non vogliono sapere. I problemi di fondo spesso non sono laddove li segnalano. Per esempio, il problema non consiste nel fatto che il Governo detti questa o quella legge, o che faccia un gesto, dica una parola o abbia una reazione piuttosto che un altra. Non si gioca tutto sullo scacchiere della politica, né la Chiesa entra in tale gioco, né si può vedere tutto in chiave politica, e neppure ridurre tutto a una semplice interpretazione politica della presenza e delle relazioni della Chiesa con il mondo, con l'uomo di oggi. E neppure giudicare ogni cosa secondo lo schema conservatori o progressisti, moderni o estranei alla modernità che regna in questo ambiente. Non consiste neanche nelle questioni di «politica ecclesiastica» o nei commenti «clericali da sacrestia» che recano tanto danno e non costruiscono né seminano alcunché. No. Ciò non è entrare in quello che la Chiesa è e in quello che essa può e deve offrire alle persone e al nostro Paese. Riconosco che mi piacerebbe trovare una visione più ampia e aperta, più incentrata su ciò che è veramente importante, più profonda e approfondita delle questioni vere, che sono quelle che edificano e offrono un contributo.
L'episcopato spagnolo è diviso?
No, decisamente no. Grazie a Dio non è un episcopato monocromatico e neppure omogeneo. Ci sono pareri diversi e normali preferenze. Non si può però concludere che ci sia divisione. Nulla e nessuno, né dentro né fuori, dovrebbe attenuare o indebolire questa unione nella diversità. Tutto ciò che rafforza l'unità è fondamentale per una nuova evangelizzazione e per un futuro di speranza. Se prima ho detto «Spagna evangelizzata, Spagna evangelizzatrice, questo è il tuo cammino», ora aggiungo che è possibile percorrere questo cammino solo con una forte unità dell'episcopato. Credo che tutti ne siamo consapevoli.
(©L'Osservatore Romano - 28 febbraio - 1 marzo 2011)
Il presidente del Parlamento europeo commenta il suo incontro con il Papa: “Una visita molto emozionante” (Sir)
SANTA SEDE-UE: BUZEK (PARLAMENTO UE), “MINORANZE CRISTIANE” E “LIBERTA’ RELIGIOSA”
“Una visita molto emozionante”: Jerzy Buzek, presidente del Parlamento europeo, commenta a caldo con i giornalisti che lo hanno atteso in piazza Sant’Uffizio l’udienza privata svoltasi questa mattina con Benedetto XVI.
“In questi difficili tempi di crisi – afferma – è molto importante incontrare un uomo di profonda fede e grande intelligenza, anche per quello che in qualità di Papa può fare per tutta la comunità dei popoli, in Europa e anche al di fuori di essa”. Tra i temi di attualità trattati nel colloquio, riferisce il presidente dell’Europarlamento, “i recenti eventi in Nord Africa e Medio Oriente”. “Abbiamo espresso l’auspicio che essi portino alla democratizzazione, allo sviluppo della società civile e alla difesa dei diritti umani – dichiara -, ma oltre a ciò abbiamo sottolineato che è molto importante lottare per i diritti delle minoranze religiose, in particolare quelli delle minoranze cristiane in queste parti del mondo, ma anche nel resto del mondo”. Del resto, “per la costruzione di una società autenticamente democratica è ovunque essenziale la tutela della libertà religiosa”. Nel corso dell’incontro, prosegue Buzek, “si è parlato anche della prossima beatificazione di Giovanni Paolo II, di cui ricordiamo il discorso tenuto nel 1988 al Parlamento europeo di Strasburgo, durante il quale il Pontefice aveva affermato l’importanza che l’Europa respiri con due polmoni”.
“Ora – osserva Buzek - nell’Unione europea finalmente respiriamo con due polmoni, ma è importante rammentarlo una volta in più”. Ricordando l’invito già rivolto a Benedetto XVI a tenere un discorso presso l’assise di Strasburgo, il presidente dell’Europarlamento sottolinea l’importanza del Trattato di Lisbona e dell’articolo 17 sul “dialogo istituzionale tra rappresentanti delle istituzioni Ue e rappresentanti delle Chiese e delle organizzazioni religiose”. “Ritengo – osserva - che il lungo colloquio con il Papa e il successivo con il segretario di Stato potrebbero essere molto utili da molti punti di vista, anche per guardare all’Europa di oggi da diverse prospettive”. “Il movimento Solidarnosc e la Polonia – ha quindi dichiarato ai giornalisti polacchi – sono stati molto importanti per dare al cristianesimo e all’Europa di oggi il suo volto. Del resto la solidarietà è alla base del cristianesimo”. Un altro punto toccato durante l’udienza, ha concluso, è “la secolarizzazione del continente”, tema che anche Buzek ritiene “importante” e “preoccupante”.
© Copyright Sir
“Una visita molto emozionante”: Jerzy Buzek, presidente del Parlamento europeo, commenta a caldo con i giornalisti che lo hanno atteso in piazza Sant’Uffizio l’udienza privata svoltasi questa mattina con Benedetto XVI.
“In questi difficili tempi di crisi – afferma – è molto importante incontrare un uomo di profonda fede e grande intelligenza, anche per quello che in qualità di Papa può fare per tutta la comunità dei popoli, in Europa e anche al di fuori di essa”. Tra i temi di attualità trattati nel colloquio, riferisce il presidente dell’Europarlamento, “i recenti eventi in Nord Africa e Medio Oriente”. “Abbiamo espresso l’auspicio che essi portino alla democratizzazione, allo sviluppo della società civile e alla difesa dei diritti umani – dichiara -, ma oltre a ciò abbiamo sottolineato che è molto importante lottare per i diritti delle minoranze religiose, in particolare quelli delle minoranze cristiane in queste parti del mondo, ma anche nel resto del mondo”. Del resto, “per la costruzione di una società autenticamente democratica è ovunque essenziale la tutela della libertà religiosa”. Nel corso dell’incontro, prosegue Buzek, “si è parlato anche della prossima beatificazione di Giovanni Paolo II, di cui ricordiamo il discorso tenuto nel 1988 al Parlamento europeo di Strasburgo, durante il quale il Pontefice aveva affermato l’importanza che l’Europa respiri con due polmoni”.
“Ora – osserva Buzek - nell’Unione europea finalmente respiriamo con due polmoni, ma è importante rammentarlo una volta in più”. Ricordando l’invito già rivolto a Benedetto XVI a tenere un discorso presso l’assise di Strasburgo, il presidente dell’Europarlamento sottolinea l’importanza del Trattato di Lisbona e dell’articolo 17 sul “dialogo istituzionale tra rappresentanti delle istituzioni Ue e rappresentanti delle Chiese e delle organizzazioni religiose”. “Ritengo – osserva - che il lungo colloquio con il Papa e il successivo con il segretario di Stato potrebbero essere molto utili da molti punti di vista, anche per guardare all’Europa di oggi da diverse prospettive”. “Il movimento Solidarnosc e la Polonia – ha quindi dichiarato ai giornalisti polacchi – sono stati molto importanti per dare al cristianesimo e all’Europa di oggi il suo volto. Del resto la solidarietà è alla base del cristianesimo”. Un altro punto toccato durante l’udienza, ha concluso, è “la secolarizzazione del continente”, tema che anche Buzek ritiene “importante” e “preoccupante”.
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Il Papa chiede di pregare per un maggior riconoscimento della donna. Intenzioni affidate a marzo all'Apostolato della Preghiera (Zenit)
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Il Papa: la Chiesa di fronte alla sfida di scoprire il modo di parlare di Dio nel linguaggio digitale (AsiaNews)
VATICANO
Papa: la Chiesa di fronte alla sfida di scoprire il modo di parlare di Dio nel linguaggio digitale
““Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo”. L’esemio di Matteo Ricci.
Città del Vaticano (AsiaNews)
“Scoprire” simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo, immerso in una “linguaggio” digitale che orienta “verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà”, nel quale si ha “una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica” e c’è il rischio che l’opinione prevalga sulla verità.
E’ un mondo al quale Benedetto XVI invita a guardare senza preconcetti, positivi o negativi, per portarvi l’annuncio del Vangelo con lo stile che fu di Matteo Ricci che “nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo”.
Un modello che il Papa ha proposto ai partecipanti alla lenaria del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, convocata a Roma da oggi a giovedì 3 marzo sul tema "Linguaggio e comunicazione", ai quali Benedetto XVI ha offerto una riflessione sul linguaggio, da intendere non “un semplice rivestimento intercambiabile e provvisorio di concetti, ma il contesto vivente e pulsante nel quale i pensieri, le inquietudini e i progetti degli uomini nascono alla coscienza e vengono plasmati in gesti, simboli e parole”.
I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale “orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali”. Nella comunicazione digitale,, poi, “la tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità. Le dinamiche proprie delle «reti partecipative», richiedono inoltre che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo: diventano «testimoni» di ciò che dà senso alla loro esistenza. I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni. Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente”.
Perché “se i nuovi linguaggi hanno un impatto sul modo di pensare e di vivere, ciò riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione”.
“Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo. È l’impegno di aiutare quanti hanno responsabilità nella Chiesa ad essere in grado di capire, interpretare e parlare il «nuovo linguaggio» dei media in funzione pastorale (cfr Aetatis novae, 2), in dialogo con il mondo contemporaneo, domandandosi: quali sfide il cosiddetto «pensiero digitale» pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?”.
“È proprio l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione”.
© Copyright AsiaNews
Papa: la Chiesa di fronte alla sfida di scoprire il modo di parlare di Dio nel linguaggio digitale
““Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo”. L’esemio di Matteo Ricci.
Città del Vaticano (AsiaNews)
“Scoprire” simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo, immerso in una “linguaggio” digitale che orienta “verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà”, nel quale si ha “una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica” e c’è il rischio che l’opinione prevalga sulla verità.
E’ un mondo al quale Benedetto XVI invita a guardare senza preconcetti, positivi o negativi, per portarvi l’annuncio del Vangelo con lo stile che fu di Matteo Ricci che “nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo”.
Un modello che il Papa ha proposto ai partecipanti alla lenaria del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, convocata a Roma da oggi a giovedì 3 marzo sul tema "Linguaggio e comunicazione", ai quali Benedetto XVI ha offerto una riflessione sul linguaggio, da intendere non “un semplice rivestimento intercambiabile e provvisorio di concetti, ma il contesto vivente e pulsante nel quale i pensieri, le inquietudini e i progetti degli uomini nascono alla coscienza e vengono plasmati in gesti, simboli e parole”.
I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale “orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali”. Nella comunicazione digitale,, poi, “la tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità. Le dinamiche proprie delle «reti partecipative», richiedono inoltre che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo: diventano «testimoni» di ciò che dà senso alla loro esistenza. I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni. Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente”.
Perché “se i nuovi linguaggi hanno un impatto sul modo di pensare e di vivere, ciò riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione”.
“Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo. È l’impegno di aiutare quanti hanno responsabilità nella Chiesa ad essere in grado di capire, interpretare e parlare il «nuovo linguaggio» dei media in funzione pastorale (cfr Aetatis novae, 2), in dialogo con il mondo contemporaneo, domandandosi: quali sfide il cosiddetto «pensiero digitale» pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?”.
“È proprio l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione”.
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Una corsa a due per la diocesi di Milano (Vecchi)
Su segnalazione di Gemma ed Eufemia leggiamo:
Le «primarie» per l'arcivescovo
Una corsa a due per Milano
Gian Guido Vecchi
Alla fine deciderà il Papa e solo lui, con buona pace delle «consultazioni» ormai concluse e delle «terne» di candidati. Certo, formalmente è sempre così. Ma nel caso della diocesi più vasta d'Europa, per la cattedra di Ambrogio, lo è più che mai nella sostanza: per tutte le nomine decisive del suo pontificato, dal segretario di Stato Tarcisio Bertone al prefetto per la congregazione dei vescovi Marc Ouellet, Joseph Ratzinger ha sempre scelto uomini che conosceva bene e a lui affini.
Il 14 marzo il cardinale Dionigi Tettamanzi compirà 77 anni e dopo due anni di proroga Benedetto XVI accoglierà la rinuncia che l'arcivescovo presentò appena compiuti i 75 anni, l'età canonica della pensione. In Vaticano si pensa che la nomina del successore potrebbe arrivare entro l'estate, tra giugno e luglio: Tettamanzi rimarrebbe «amministratore apostolico» fino all'ingresso in città del nuovo arcivescovo, a settembre. Il meccanismo che precede la nomina di una diocesi cardinalizia è assai complesso, ma stavolta relativamente importante.
È cominciato con le lettere che il nunzio in Italia, Giuseppe Bertello, ha spedito all'inizio del mese a vescovi lombardi, cardinali e personalità anche laiche dei movimenti e della Chiesa italiana per sondare gli umori. Finite le «consultazioni», il nunzio raccoglierà tutti i pareri e le «terne» espresse e presenterà nelle prossime settimane una relazione alla congregazione dei vescovi che ne discuterà prima che il prefetto si presenti al Papa con tre nomi in ordine di preferenza. Il Papa sentirà anche il Segretario di Stato. E poi prenderà la sua decisione, da solo.
Resta memorabile il caso del 1979, quando Giovanni Paolo II valutò la terna, la scartò e scelse chi non si aspettava nessuno, tantomeno il diretto interessato: un grande biblista gesuita rettore della Gregoriana, padre Carlo Maria Martini. Milano è Milano, per di più si avvicinano l'incontro mondiale delle famiglie con il Papa nel 2012, i 1.700 anni dall'Editto di Costantino nel 2013 e l'Expo del 2015. Ci vogliono autorevolezza e profilo internazionale.
E i nomi più ripetuti, Oltretevere come a Milano, sono due: il cardinale Gianfranco Ravasi, «ministro» vaticano della Cultura, e il patriarca di Venezia Angelo Scola. Benedetto XVI li stima entrambi. In particolare, si ritiene che Ravasi, già prefetto dell'Ambrosiana, arriverà a raccogliere il maggior numero di preferenze, conosce molto bene Milano e nella Chiesa ambrosiana viene percepito in maggiore continuità al passato.
D'altra parte è il cardinale Angelo Scola la personalità più vicina a Ratzinger: si conoscono da quarant'anni, il Papa lo consulta spesso. Un dettaglio non va trascurato: e riguarda la celebre rivista di teologia «Communio» , fondata nel ' 72 da un gruppo di grandi teologi come Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac e lo stesso Ratzinger. Tra coloro che contribuirono a fondarla c'era pure Scola. E del gruppo di «Communio» fa parte anche il cardinale Ouellet, il prefetto che discuterà le candidature con il Papa.
«Contro» l'ipotesi Scola si dice giochino due fattori. Il primo è che venga da Cl, anche se da anni il cardinale ha acquisito un profilo che va oltre l'appartenenza: essere un discepolo di don Giussani in una città e in una regione dove i ciellini sono già così influenti sarebbe un problema? «Il Papa non si fa condizionare da queste considerazioni», si ripete in Vaticano, e del resto fu il cardinale Ratzinger a celebrare in Duomo i funerali di don Giussani.
Il secondo riguarda il fatto che sia Patriarca, una posizione già di massimo prestigio: le uniche diocesi al mondo che nel Novecento abbiano dato due Papi alla Chiesa sono proprio Milano (Pio XI, Paolo VI) e Venezia (Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I), e in Vaticano già ci furono perplessità per il passaggio di Tettamanzi da Genova a Milano. Da questo punto di vista, la sostituzione di Ravasi alla Cultura (già si parla del domenicano Jean-Louis Bruguès) sarebbe meno problematica.
Benedetto XVI valuterà pro e contro. Altri nomi sono stati fatti, da Gianni Ambrosio (vescovo di Piacenza) a Francesco Beschi (Bergamo) o Luciano Monari (Brescia). E ancora personalità note a livello internazionale come il padre Custode di Terrasanta Pierbattista Pizzaballa, il vescovo teologo Bruno Forte o monsignor Aldo Giordano, osservatore della Santa Sede al Consiglio d'Europa.
Non si sa mai, Martini docet. Quando il biblista gli confessò d'essere abituato a parlare solo a pochi studenti, Wojtyla sorrise: «Non tema: sarà la gente a venirle incontro» .
© Copyright Corriere della sera, 28 febbraio 2011
Le «primarie» per l'arcivescovo
Una corsa a due per Milano
Gian Guido Vecchi
Alla fine deciderà il Papa e solo lui, con buona pace delle «consultazioni» ormai concluse e delle «terne» di candidati. Certo, formalmente è sempre così. Ma nel caso della diocesi più vasta d'Europa, per la cattedra di Ambrogio, lo è più che mai nella sostanza: per tutte le nomine decisive del suo pontificato, dal segretario di Stato Tarcisio Bertone al prefetto per la congregazione dei vescovi Marc Ouellet, Joseph Ratzinger ha sempre scelto uomini che conosceva bene e a lui affini.
Il 14 marzo il cardinale Dionigi Tettamanzi compirà 77 anni e dopo due anni di proroga Benedetto XVI accoglierà la rinuncia che l'arcivescovo presentò appena compiuti i 75 anni, l'età canonica della pensione. In Vaticano si pensa che la nomina del successore potrebbe arrivare entro l'estate, tra giugno e luglio: Tettamanzi rimarrebbe «amministratore apostolico» fino all'ingresso in città del nuovo arcivescovo, a settembre. Il meccanismo che precede la nomina di una diocesi cardinalizia è assai complesso, ma stavolta relativamente importante.
È cominciato con le lettere che il nunzio in Italia, Giuseppe Bertello, ha spedito all'inizio del mese a vescovi lombardi, cardinali e personalità anche laiche dei movimenti e della Chiesa italiana per sondare gli umori. Finite le «consultazioni», il nunzio raccoglierà tutti i pareri e le «terne» espresse e presenterà nelle prossime settimane una relazione alla congregazione dei vescovi che ne discuterà prima che il prefetto si presenti al Papa con tre nomi in ordine di preferenza. Il Papa sentirà anche il Segretario di Stato. E poi prenderà la sua decisione, da solo.
Resta memorabile il caso del 1979, quando Giovanni Paolo II valutò la terna, la scartò e scelse chi non si aspettava nessuno, tantomeno il diretto interessato: un grande biblista gesuita rettore della Gregoriana, padre Carlo Maria Martini. Milano è Milano, per di più si avvicinano l'incontro mondiale delle famiglie con il Papa nel 2012, i 1.700 anni dall'Editto di Costantino nel 2013 e l'Expo del 2015. Ci vogliono autorevolezza e profilo internazionale.
E i nomi più ripetuti, Oltretevere come a Milano, sono due: il cardinale Gianfranco Ravasi, «ministro» vaticano della Cultura, e il patriarca di Venezia Angelo Scola. Benedetto XVI li stima entrambi. In particolare, si ritiene che Ravasi, già prefetto dell'Ambrosiana, arriverà a raccogliere il maggior numero di preferenze, conosce molto bene Milano e nella Chiesa ambrosiana viene percepito in maggiore continuità al passato.
D'altra parte è il cardinale Angelo Scola la personalità più vicina a Ratzinger: si conoscono da quarant'anni, il Papa lo consulta spesso. Un dettaglio non va trascurato: e riguarda la celebre rivista di teologia «Communio» , fondata nel ' 72 da un gruppo di grandi teologi come Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac e lo stesso Ratzinger. Tra coloro che contribuirono a fondarla c'era pure Scola. E del gruppo di «Communio» fa parte anche il cardinale Ouellet, il prefetto che discuterà le candidature con il Papa.
«Contro» l'ipotesi Scola si dice giochino due fattori. Il primo è che venga da Cl, anche se da anni il cardinale ha acquisito un profilo che va oltre l'appartenenza: essere un discepolo di don Giussani in una città e in una regione dove i ciellini sono già così influenti sarebbe un problema? «Il Papa non si fa condizionare da queste considerazioni», si ripete in Vaticano, e del resto fu il cardinale Ratzinger a celebrare in Duomo i funerali di don Giussani.
Il secondo riguarda il fatto che sia Patriarca, una posizione già di massimo prestigio: le uniche diocesi al mondo che nel Novecento abbiano dato due Papi alla Chiesa sono proprio Milano (Pio XI, Paolo VI) e Venezia (Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I), e in Vaticano già ci furono perplessità per il passaggio di Tettamanzi da Genova a Milano. Da questo punto di vista, la sostituzione di Ravasi alla Cultura (già si parla del domenicano Jean-Louis Bruguès) sarebbe meno problematica.
Benedetto XVI valuterà pro e contro. Altri nomi sono stati fatti, da Gianni Ambrosio (vescovo di Piacenza) a Francesco Beschi (Bergamo) o Luciano Monari (Brescia). E ancora personalità note a livello internazionale come il padre Custode di Terrasanta Pierbattista Pizzaballa, il vescovo teologo Bruno Forte o monsignor Aldo Giordano, osservatore della Santa Sede al Consiglio d'Europa.
Non si sa mai, Martini docet. Quando il biblista gli confessò d'essere abituato a parlare solo a pochi studenti, Wojtyla sorrise: «Non tema: sarà la gente a venirle incontro» .
© Copyright Corriere della sera, 28 febbraio 2011
Mons. Celli: Comunicare nell’era digitale senza dimenticare l’uomo (R.V.)
Mons. Celli: Comunicare nell’era digitale senza dimenticare l’uomo
Nella plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali si parlerà in particolare degli spunti offerti dal Papa nel suo Messaggio per la 45.ma Giornata mondiale dedicata ai mass media, intitolato “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”. Philippa Hitchen ne ha parlato col presidente del Dicastero vaticano per le Comunicazioni sociali, mons. Claudio Maria Celli:
R. - Credo che questo nuovo messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del 2011 sia in linea con i messaggi degli scorsi anni. Il Santo Padre ci invita nuovamente a riflettere su cosa significa oggi comunicare: non è solamente un problema di tecnologia ma, ancora una volta, è preso in considerazione l’aspetto umano e l’invito è che l’uomo, nella comunicazione, sia sempre più se stesso. L’invito è che l’uomo sia autentico, perché è l’unica maniera per far sì che una comunicazione non sia solamente una trasmissione d’informazioni, ma sia veramente una comunicazione tra esseri umani. E’ andare proprio alla radice del fatto comunicativo, cioè questo prendere consapevolezza che è un passaggio da uomo a uomo, da donna a donna, da un uomo ad una moltitudine di uomini. Questo è molto importante, perché esige che l’uomo sia sempre attento a ciò che lo guida, come a ciò che lo ispira, proprio nel rapporto con gli altri. Direi che il Papa, quest’anno, ha poi sottolineato anche cosa vuol dire avere uno stile cristiano nel mondo della comunicazione, che non è soltanto un parlare di tematiche religiose, ma è anche come l’uomo, che ha nel suo cuore il messaggio evangelico, - e quindi vive in comunione con il Signore Gesù - affronta il rapporto con gli altri.
D. - Eppure rimane una sfida sempre più grande far sentire questa voce, questo messaggio di autenticità in questo grande mondo di Internet…
R. - E’ verissimo. Ecco perché, a volte - anche l’anno scorso se lei ricorda -, il Papa ci ha invitato ad essere presenti in questo “Cortile dei gentili”, questo spazio nel mondo cibernetico dove gli uomini possono anche incontrare la parola di verità. Direi che questa è anche la grande missione della Chiesa. Ricorderà che l’anno scorso parlavamo di una pastorale nel mondo digitale. Pastorale che non è altro che far sì che la parola di Dio possa risuonare anche in questi ambiti, che sembrerebbero a prima vista non umani o così freddi. Il Papa, l’anno scorso, diceva proprio a noi: “Fate sì che il mondo del web, il cyber-spazio, possa diventare veramente un possibile Cortile dei gentili, dove gli uomini si ritrovano”. Si ritrovano nel rispetto, ma si ritrovano anche con un’autenticità. Ecco perché il Papa, quest’anno, ci parla anche di annuncio, di proclamazione. Una proclamazione, però, che va vissuta - come dice il Papa in questo messaggio - con discrezione e rispetto. Quindi non è solamente un’imposizione o un annuncio commerciale, ma è una comunicazione di vita, una comunicazione che va dal cuore di un uomo al cuore di un altro uomo o dal cuore di una donna ad un’altra donna, ma vissuto con questa discrezione e con questo rispetto. Credo che queste parole del Papa invitino tutti noi a prendere consapevolezza della forma in cui si deve essere presenti nel mondo di oggi, quello della comunicazione, e vedere come a questa nostra presenza sappiamo dare le strutture portanti di un dialogo che si fa veramente rispetto per l’altro. Lei ricorderà che il Papa, in un suo discorso al mondo della cultura in Portogallo, lo scorso maggio, prendeva consapevolezza che dobbiamo dialogare con le verità degli altri, ma in questo senso, però, senza dimenticare di essere annunciatori di questa verità che abbiamo ricevuto. Nel contesto nazionale, però, nel mio contesto umano di oggi, devo avere la consapevolezza che sono chiamato a saper dialogare con le verità degli altri e far presente questa verità che ho ricevuto e che tengo nel mio cuore, testimoniarla ma con toni di discrezione e di rispetto per gli altri. Questo è un cammino che certamente esige da tutti noi un ripensamento ed una verifica. (vv)
© Copyright Radio Vaticana
Nella plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali si parlerà in particolare degli spunti offerti dal Papa nel suo Messaggio per la 45.ma Giornata mondiale dedicata ai mass media, intitolato “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”. Philippa Hitchen ne ha parlato col presidente del Dicastero vaticano per le Comunicazioni sociali, mons. Claudio Maria Celli:
R. - Credo che questo nuovo messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del 2011 sia in linea con i messaggi degli scorsi anni. Il Santo Padre ci invita nuovamente a riflettere su cosa significa oggi comunicare: non è solamente un problema di tecnologia ma, ancora una volta, è preso in considerazione l’aspetto umano e l’invito è che l’uomo, nella comunicazione, sia sempre più se stesso. L’invito è che l’uomo sia autentico, perché è l’unica maniera per far sì che una comunicazione non sia solamente una trasmissione d’informazioni, ma sia veramente una comunicazione tra esseri umani. E’ andare proprio alla radice del fatto comunicativo, cioè questo prendere consapevolezza che è un passaggio da uomo a uomo, da donna a donna, da un uomo ad una moltitudine di uomini. Questo è molto importante, perché esige che l’uomo sia sempre attento a ciò che lo guida, come a ciò che lo ispira, proprio nel rapporto con gli altri. Direi che il Papa, quest’anno, ha poi sottolineato anche cosa vuol dire avere uno stile cristiano nel mondo della comunicazione, che non è soltanto un parlare di tematiche religiose, ma è anche come l’uomo, che ha nel suo cuore il messaggio evangelico, - e quindi vive in comunione con il Signore Gesù - affronta il rapporto con gli altri.
D. - Eppure rimane una sfida sempre più grande far sentire questa voce, questo messaggio di autenticità in questo grande mondo di Internet…
R. - E’ verissimo. Ecco perché, a volte - anche l’anno scorso se lei ricorda -, il Papa ci ha invitato ad essere presenti in questo “Cortile dei gentili”, questo spazio nel mondo cibernetico dove gli uomini possono anche incontrare la parola di verità. Direi che questa è anche la grande missione della Chiesa. Ricorderà che l’anno scorso parlavamo di una pastorale nel mondo digitale. Pastorale che non è altro che far sì che la parola di Dio possa risuonare anche in questi ambiti, che sembrerebbero a prima vista non umani o così freddi. Il Papa, l’anno scorso, diceva proprio a noi: “Fate sì che il mondo del web, il cyber-spazio, possa diventare veramente un possibile Cortile dei gentili, dove gli uomini si ritrovano”. Si ritrovano nel rispetto, ma si ritrovano anche con un’autenticità. Ecco perché il Papa, quest’anno, ci parla anche di annuncio, di proclamazione. Una proclamazione, però, che va vissuta - come dice il Papa in questo messaggio - con discrezione e rispetto. Quindi non è solamente un’imposizione o un annuncio commerciale, ma è una comunicazione di vita, una comunicazione che va dal cuore di un uomo al cuore di un altro uomo o dal cuore di una donna ad un’altra donna, ma vissuto con questa discrezione e con questo rispetto. Credo che queste parole del Papa invitino tutti noi a prendere consapevolezza della forma in cui si deve essere presenti nel mondo di oggi, quello della comunicazione, e vedere come a questa nostra presenza sappiamo dare le strutture portanti di un dialogo che si fa veramente rispetto per l’altro. Lei ricorderà che il Papa, in un suo discorso al mondo della cultura in Portogallo, lo scorso maggio, prendeva consapevolezza che dobbiamo dialogare con le verità degli altri, ma in questo senso, però, senza dimenticare di essere annunciatori di questa verità che abbiamo ricevuto. Nel contesto nazionale, però, nel mio contesto umano di oggi, devo avere la consapevolezza che sono chiamato a saper dialogare con le verità degli altri e far presente questa verità che ho ricevuto e che tengo nel mio cuore, testimoniarla ma con toni di discrezione e di rispetto per gli altri. Questo è un cammino che certamente esige da tutti noi un ripensamento ed una verifica. (vv)
© Copyright Radio Vaticana
Libertà religiosa e tutela delle minoranze cristiane al centro del colloquio tra il Papa e il presidente del Parlamento europeo
Libertà religiosa e tutela delle minoranze cristiane al centro del colloquio tra il Papa e il presidente del Parlamento europeo
Stamani, il Papa ha ricevuto in Vaticano il presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, che poi si è incontrato con il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, e con mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. “I colloqui, svoltisi in un clima di cordialità – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - hanno permesso un utile scambio di opinioni sulle relazioni fra la Chiesa cattolica, il Parlamento europeo e le altre istituzioni europee, nonché sul contributo che la Chiesa può offrire all’Unione. Nel corso dell’incontro ci si è soffermati anche su temi di attualità quali l’impegno per la promozione della libertà religiosa e la tutela delle minoranze cristiane nel mondo”.
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COMUNICATO DELLA SALA STAMPA: UDIENZA AL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO, 28.02.2011
Oggi, lunedì 28 febbraio 2011, il Presidente del Parlamento Europeo, On. Jerzy Buzek, è stato ricevuto in Udienza da Sua Santità Benedetto XVI e, successivamente, si è incontrato con Sua Eminenza il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, che era accompagnato da Sua Eccellenza Mons. Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporti con gli Stati.
I colloqui, svoltisi in un clima di cordialità, hanno permesso un utile scambio di opinioni sulle relazioni fra la Chiesa cattolica, il Parlamento Europeo e le altre istituzioni europee, nonché sul contributo che la Chiesa può offrire all’Unione.
Nel corso dell’incontro ci si è soffermati anche su temi di attualità quali l’impegno per la promozione della libertà religiosa e la tutela delle minoranze cristiane nel mondo.
Bollettino Ufficiale Santa Sede
Stamani, il Papa ha ricevuto in Vaticano il presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, che poi si è incontrato con il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, e con mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. “I colloqui, svoltisi in un clima di cordialità – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - hanno permesso un utile scambio di opinioni sulle relazioni fra la Chiesa cattolica, il Parlamento europeo e le altre istituzioni europee, nonché sul contributo che la Chiesa può offrire all’Unione. Nel corso dell’incontro ci si è soffermati anche su temi di attualità quali l’impegno per la promozione della libertà religiosa e la tutela delle minoranze cristiane nel mondo”.
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COMUNICATO DELLA SALA STAMPA: UDIENZA AL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO, 28.02.2011
Oggi, lunedì 28 febbraio 2011, il Presidente del Parlamento Europeo, On. Jerzy Buzek, è stato ricevuto in Udienza da Sua Santità Benedetto XVI e, successivamente, si è incontrato con Sua Eminenza il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, che era accompagnato da Sua Eccellenza Mons. Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporti con gli Stati.
I colloqui, svoltisi in un clima di cordialità, hanno permesso un utile scambio di opinioni sulle relazioni fra la Chiesa cattolica, il Parlamento Europeo e le altre istituzioni europee, nonché sul contributo che la Chiesa può offrire all’Unione.
Nel corso dell’incontro ci si è soffermati anche su temi di attualità quali l’impegno per la promozione della libertà religiosa e la tutela delle minoranze cristiane nel mondo.
Bollettino Ufficiale Santa Sede
Il Papa: La riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente (Sir)
BENEDETTO XVI: “LE SFIDE” DELLA “CULTURA DIGITALE”
“La riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente”.
È quanto ha ribadito oggi Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali.
Il Papa ha sottolineato l’importanza del “lavoro che svolge il Pontificio Consiglio nell’approfondire la ‘cultura digitale’, stimolando e sostenendo la riflessione per una maggiore consapevolezza circa le sfide che attendono la comunità ecclesiale e civile. Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo”. Il Pontefice ha ricordato che “la cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo”.
Per Benedetto XVI, “è l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione”. Per questo, “la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino. Il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare”. In conclusione il Pontefice ha ricordato la figura di padre Matteo Ricci, “del quale abbiamo celebrato il IV centenario della morte”: “Nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo”.
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“La riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente”.
È quanto ha ribadito oggi Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali.
Il Papa ha sottolineato l’importanza del “lavoro che svolge il Pontificio Consiglio nell’approfondire la ‘cultura digitale’, stimolando e sostenendo la riflessione per una maggiore consapevolezza circa le sfide che attendono la comunità ecclesiale e civile. Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo”. Il Pontefice ha ricordato che “la cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo”.
Per Benedetto XVI, “è l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione”. Per questo, “la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino. Il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare”. In conclusione il Pontefice ha ricordato la figura di padre Matteo Ricci, “del quale abbiamo celebrato il IV centenario della morte”: “Nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo”.
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Il Papa: Il contributo dei credenti potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media
Papa/ Chiesa non ostile a nuovi media, ma comunicazione sia umana
Non seguire esempio violento di Caino ma dialogo di Abramo e Mosè
Città del Vaticano, 28 feb. (TMNews)
"La comunicazione ai tempi dei 'nuovi media' comporta una relazione sempre più stretta e ordinaria tra l'uomo e le macchine, dai computer ai telefoni cellulari, per citare solo i più comuni. Quali saranno gli effetti di questa relazione costante?". Se lo è chiesto il Papa in un'udienza concessa i partecipanti alla plenaria del Pontificio consiglio delle Comunicazioni sociali.
"Già il Papa Paolo VI - ha ricordato Benedetto XVI - riferendosi ai primi progetti di automazione dell'analisi linguistica del testo biblico, indicava una pista di riflessione quando si chiedeva: 'Non è cotesto sforzo di infondere in strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali, che è nobilitato ed innalzato ad un servizio, che tocca il sacro? E' lo spirito che è fatto prigioniero della materia, o non è forse la materia, già domata e obbligata ad eseguire leggi dello spirito, che offre allo spirito stesso un sublime ossequio?'".
"E' proprio l'appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana", ha detto ancora il Papa: "Al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione. Per questo la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino. Il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare".
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Non seguire esempio violento di Caino ma dialogo di Abramo e Mosè
Città del Vaticano, 28 feb. (TMNews)
"La comunicazione ai tempi dei 'nuovi media' comporta una relazione sempre più stretta e ordinaria tra l'uomo e le macchine, dai computer ai telefoni cellulari, per citare solo i più comuni. Quali saranno gli effetti di questa relazione costante?". Se lo è chiesto il Papa in un'udienza concessa i partecipanti alla plenaria del Pontificio consiglio delle Comunicazioni sociali.
"Già il Papa Paolo VI - ha ricordato Benedetto XVI - riferendosi ai primi progetti di automazione dell'analisi linguistica del testo biblico, indicava una pista di riflessione quando si chiedeva: 'Non è cotesto sforzo di infondere in strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali, che è nobilitato ed innalzato ad un servizio, che tocca il sacro? E' lo spirito che è fatto prigioniero della materia, o non è forse la materia, già domata e obbligata ad eseguire leggi dello spirito, che offre allo spirito stesso un sublime ossequio?'".
"E' proprio l'appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana", ha detto ancora il Papa: "Al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione. Per questo la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino. Il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare".
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Benedetto XVI: la Chiesa impari i linguaggi dei nuovi media per innestare il Vangelo nella cultura digitale (Radio Vaticana)
Benedetto XVI: la Chiesa impari i linguaggi dei nuovi media per innestare il Vangelo nella cultura digitale
Studiare con accuratezza i linguaggi della moderna cultura digitale, per aiutare la missione evangelizzatrice della Chiesa a trasfondere in queste nuove modalità espressive i contenuti della fede cristiana. È la sostanza del discorso che Benedetto XVI ha rivolto questa mattina ai membri che partecipano – da oggi a giovedì prossimo – alla plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Un linguaggio “emotivo”, esposto al rischio costante della banalità. Di contro, un linguaggio ricco di simboli, da migliaia di anni al servizio del trascendente. Cos’hanno in comune la comunicazione digitale con quella della Bibbia? Poco, apparentemente, se non fosse che per la Chiesa non esiste linguaggio nuovo che non possa essere compreso e utilizzato per annunciare il messaggio di sempre, quello del Vangelo. Benedetto XVI ha scandagliato le implicazioni di questo confronto, tornando su un tema toccato spesso negli ultimi anni: quello delle nuove tecnologie e dei cambiamenti che esse inducono nel modo di comunicare, al punto da ormai aver configurato “una vasta trasformazione culturale”. Le reti web, ha affermato il Papa, sono la dimostrazione di come “inedite opportunità” stiano delineando un “nuovo modo di apprendere e di pensare”, di “stabilire relazioni e costruire comunione”. Ma, ha osservato, esserne consapevoli non basta. L’analisi deve essere spinta più a fondo:
“I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano, tra l’altro, una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali. La tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità”.
Essere “in rete”, ha proseguito Benedetto XVI, richiede che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. E dunque, a questo livello di interconnessione le persone non si limitano scambiare solo delle informazioni, ma “stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo”. Una dinamica che, per il Papa, non è esente da punti deboli:
“I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni. Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente”.
Qui, ha asserito il Pontefice, si innesta il lavoro che deve compiere la Chiesa e in particolare il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. “Approfondire la cultura digitale” e quindi “aiutare quanti hanno responsabilità nella Chiesa” a “capire, interpretare e parlare il ‘nuovo linguaggio’ dei media in funzione pastorale”. Ben sapendo che nemmeno la dimensione spirituale della persona è estranea al mondo della comunicazione:
“La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo”.
Benedetto XVI ha ribadito che la “relazione sempre più stretta e ordinaria tra l’uomo e le macchine”, siano esser computer o telefoni cellulari, può trovare nella ricchezza espressiva della fede e nei “valori spirituali” una dimensione ancor più ampia di quella già sconfinata che sembrerebbe garantire la tecnologia. Ciò seppe dimostrarlo, quattro secoli fa, il gesuita padre Matteo Ricci, il grande apostolo della Cina, riuscendo a cogliere “tutto ciò che di positivo si trovava” nella tradizione di quel popolo, e di “animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo”. E altrettanto sono chiamati a fare i credenti di oggi, che nel mondo dei media, ha concluso il Pontefice, possono contribuire ad aprire “orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare”:
“Al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione. Per questo la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino.”
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Studiare con accuratezza i linguaggi della moderna cultura digitale, per aiutare la missione evangelizzatrice della Chiesa a trasfondere in queste nuove modalità espressive i contenuti della fede cristiana. È la sostanza del discorso che Benedetto XVI ha rivolto questa mattina ai membri che partecipano – da oggi a giovedì prossimo – alla plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Un linguaggio “emotivo”, esposto al rischio costante della banalità. Di contro, un linguaggio ricco di simboli, da migliaia di anni al servizio del trascendente. Cos’hanno in comune la comunicazione digitale con quella della Bibbia? Poco, apparentemente, se non fosse che per la Chiesa non esiste linguaggio nuovo che non possa essere compreso e utilizzato per annunciare il messaggio di sempre, quello del Vangelo. Benedetto XVI ha scandagliato le implicazioni di questo confronto, tornando su un tema toccato spesso negli ultimi anni: quello delle nuove tecnologie e dei cambiamenti che esse inducono nel modo di comunicare, al punto da ormai aver configurato “una vasta trasformazione culturale”. Le reti web, ha affermato il Papa, sono la dimostrazione di come “inedite opportunità” stiano delineando un “nuovo modo di apprendere e di pensare”, di “stabilire relazioni e costruire comunione”. Ma, ha osservato, esserne consapevoli non basta. L’analisi deve essere spinta più a fondo:
“I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano, tra l’altro, una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali. La tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità”.
Essere “in rete”, ha proseguito Benedetto XVI, richiede che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. E dunque, a questo livello di interconnessione le persone non si limitano scambiare solo delle informazioni, ma “stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo”. Una dinamica che, per il Papa, non è esente da punti deboli:
“I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni. Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente”.
Qui, ha asserito il Pontefice, si innesta il lavoro che deve compiere la Chiesa e in particolare il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. “Approfondire la cultura digitale” e quindi “aiutare quanti hanno responsabilità nella Chiesa” a “capire, interpretare e parlare il ‘nuovo linguaggio’ dei media in funzione pastorale”. Ben sapendo che nemmeno la dimensione spirituale della persona è estranea al mondo della comunicazione:
“La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo”.
Benedetto XVI ha ribadito che la “relazione sempre più stretta e ordinaria tra l’uomo e le macchine”, siano esser computer o telefoni cellulari, può trovare nella ricchezza espressiva della fede e nei “valori spirituali” una dimensione ancor più ampia di quella già sconfinata che sembrerebbe garantire la tecnologia. Ciò seppe dimostrarlo, quattro secoli fa, il gesuita padre Matteo Ricci, il grande apostolo della Cina, riuscendo a cogliere “tutto ciò che di positivo si trovava” nella tradizione di quel popolo, e di “animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo”. E altrettanto sono chiamati a fare i credenti di oggi, che nel mondo dei media, ha concluso il Pontefice, possono contribuire ad aprire “orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare”:
“Al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione. Per questo la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino.”
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Sergio Luzzatto: dagli attacchi a Padre Pio a quelli al "crocifisso di stato"
Clicca qui per leggere l'articolo segnalatoci da Alessia.
Card. Sarah: Credo che ci sarebbe bisogno di una rivoluzione, pacifica s'intende, all'interno dell'Onu (Izzo)
ONU: CARD. SARAH, CI VORREBBE RIVOLUZIONE AL PALAZZO DI VETRO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 27 feb.
"Credo che ci sarebbe bisogno di una rivoluzione, pacifica s'intende, all'interno dell'Onu", in modo che "i piccoli Paesi, quelli che contano di meno perche' piu' poveri, ma che sono comunque la maggioranza", possano "farsi rispettare di piu', imporre la propria presenza, imporre la propria dignita'".
Lo afferma il card. Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, per il quale "e' il momento di mettere la parola fine a tutte le forme di ingiustizia internazionale", una realta' basata sulla differenza tra paesi ricchi e paesi poveri che "purtroppo, si manifesta anche all'interno dell'Onu".
All'interno dei singoli paesi, per il porporato guineiano, occorre invece "sottolineare con insistenza che l'autorita', il potere, sono un servizio per promuovere il bene comune. E su questa strada principalmente si deve muovere ogni buona azione di governo. Le istituzioni internazionali dovrebbero appoggiare la promulgazione di leggi economiche e commerciali che non favoriscano solo la politica dei piu' ricchi, dei piu' potenti.
Cosi' facendo si creano piu' poverta', piu' instabilita' sociale, piu' violenza, piu' guerre. L'interdipendenza di oggi richiede la collaborazione di tutti per porre fine a queste strutture di ingiustizia Quello che sta accadendo oggi in tante parti del mondo e' proprio il frutto dell'ingiustizia che regna.
La povera gente comincia a ribellarsi a questi sistemi economici, finanziari e commerciali che alimentano i ricchi e affamano i poveri". Oggi, denuncia il card. Sarah nell'intervista rilasciata nei giorni scorsi all'Osservatore Romano, "contrastare le strutture d'ingiustizia e' una cosa "molto difficile da realizzare.
Personalmente, spiega il cardinale, "credo che la strada principale da percorrere, se non l'unica, sia quella della formazione dell'uomo, o meglio, della formazione del cuore dell'uomo". Secondo il presidente del dicastero vaticano, del resto, "solo con un cuore rinnovato, aperto allo Spirito, si puo' superare l'ingiustizia del mondo. Se manca la presenza di Dio nel cuore dell'uomo, tutto il male e' possibile. Dunque e' possibile anche che i ricchi diventino sempre piu' ricchi e i poveri sempre piu' poveri". "Noi - conclude - puntiamo molto sulla formazione perche' quando l'uomo avra' nel suo cuore l'occhio di Dio, riuscira' anche a vedere il bisogno del suo fratello.
A Czstochowa, con i responsabili diocesani della carita' di tutta l'Europa, e abbiamo proprio cercato di far capire l'importanza della formazione del cuore, del far riscoprire a tutti la presenza dell'occhio di Dio nel nostro cuore".
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 27 feb.
"Credo che ci sarebbe bisogno di una rivoluzione, pacifica s'intende, all'interno dell'Onu", in modo che "i piccoli Paesi, quelli che contano di meno perche' piu' poveri, ma che sono comunque la maggioranza", possano "farsi rispettare di piu', imporre la propria presenza, imporre la propria dignita'".
Lo afferma il card. Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, per il quale "e' il momento di mettere la parola fine a tutte le forme di ingiustizia internazionale", una realta' basata sulla differenza tra paesi ricchi e paesi poveri che "purtroppo, si manifesta anche all'interno dell'Onu".
All'interno dei singoli paesi, per il porporato guineiano, occorre invece "sottolineare con insistenza che l'autorita', il potere, sono un servizio per promuovere il bene comune. E su questa strada principalmente si deve muovere ogni buona azione di governo. Le istituzioni internazionali dovrebbero appoggiare la promulgazione di leggi economiche e commerciali che non favoriscano solo la politica dei piu' ricchi, dei piu' potenti.
Cosi' facendo si creano piu' poverta', piu' instabilita' sociale, piu' violenza, piu' guerre. L'interdipendenza di oggi richiede la collaborazione di tutti per porre fine a queste strutture di ingiustizia Quello che sta accadendo oggi in tante parti del mondo e' proprio il frutto dell'ingiustizia che regna.
La povera gente comincia a ribellarsi a questi sistemi economici, finanziari e commerciali che alimentano i ricchi e affamano i poveri". Oggi, denuncia il card. Sarah nell'intervista rilasciata nei giorni scorsi all'Osservatore Romano, "contrastare le strutture d'ingiustizia e' una cosa "molto difficile da realizzare.
Personalmente, spiega il cardinale, "credo che la strada principale da percorrere, se non l'unica, sia quella della formazione dell'uomo, o meglio, della formazione del cuore dell'uomo". Secondo il presidente del dicastero vaticano, del resto, "solo con un cuore rinnovato, aperto allo Spirito, si puo' superare l'ingiustizia del mondo. Se manca la presenza di Dio nel cuore dell'uomo, tutto il male e' possibile. Dunque e' possibile anche che i ricchi diventino sempre piu' ricchi e i poveri sempre piu' poveri". "Noi - conclude - puntiamo molto sulla formazione perche' quando l'uomo avra' nel suo cuore l'occhio di Dio, riuscira' anche a vedere il bisogno del suo fratello.
A Czstochowa, con i responsabili diocesani della carita' di tutta l'Europa, e abbiamo proprio cercato di far capire l'importanza della formazione del cuore, del far riscoprire a tutti la presenza dell'occhio di Dio nel nostro cuore".
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La coscienza si ribella. Un severo monito del Papa agli uomini che "spesso lasciano sole le donne incinte" (Sir)
La coscienza si ribella
Un severo monito agli uomini che "spesso lasciano sole le donne incinte"
"Il grave disagio psichico sperimentato frequentemente dalle donne che hanno fatto ricorso all’aborto volontario rivela la voce insopprimibile della coscienza morale, e la ferita gravissima che essa subisce ogniqualvolta l’azione umana tradisce l’innata vocazione al bene dell’essere umano, che essa testimonia. In questa riflessione sarebbe utile anche porre l’attenzione sulla coscienza, talvolta offuscata, dei padri dei bambini, che spesso lasciano sole le donne incinte".
Lo ha detto Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti alla XVII Assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita, che ha affrontato quest’anno due temi: "Le banche di cordone ombelicale" e "Il trauma post-aborto".
Discernere il bene e il male. È compito della coscienza morale, ha ricordato il Papa, "discernere il bene dal male nelle diverse situazioni dell’esistenza, affinché, sulla base di questo giudizio, l’essere umano possa liberamente orientarsi al bene. A quanti vorrebbero negare l’esistenza della coscienza morale nell’uomo, riducendo la sua voce al risultato di condizionamenti esterni o ad un fenomeno puramente emotivo, è importante ribadire che la qualità morale dell’agire umano non è un valore estrinseco oppure opzionale e non è neppure una prerogativa dei cristiani o dei credenti, ma accomuna ogni essere umano". "Nella coscienza morale – ha aggiunto - Dio parla a ciascuno e invita a difendere la vita umana in ogni momento. In questo legame personale con il Creatore sta la dignità profonda della coscienza morale e la ragione della sua inviolabilità". Nella coscienza "l’uomo tutto intero - intelligenza, emotività, volontà - realizza la propria vocazione al bene, cosicché la scelta del bene o del male nelle situazioni concrete dell’esistenza finisce per segnare profondamente la persona umana in ogni espressione del suo essere". Tutto l’uomo, infatti, "rimane ferito quando il suo agire si svolge contrariamente al dettame della propria coscienza". Tuttavia, "anche quando l’uomo rifiuta la verità e il bene che il Creatore gli propone, Dio non lo abbandona, ma, proprio attraverso la voce della coscienza, continua a cercarlo e a parlargli, affinché riconosca l’errore e si apra alla Misericordia divina, capace di sanare qualsiasi ferita".
Il ruolo dei medici e della società. Secondo il Pontefice, "i medici, in particolare, non possono venire meno al grave compito di difendere dall’inganno la coscienza di molte donne che pensano di trovare nell’aborto la soluzione a difficoltà familiari, economiche, sociali, o a problemi di salute del loro bambino". Specialmente in quest’ultima situazione, "la donna viene spesso convinta, a volte dagli stessi medici, che l’aborto rappresenta non solo una scelta moralmente lecita, ma persino un doveroso atto ‘terapeutico’ per evitare sofferenze al bambino e alla sua famiglia, e un ‘ingiusto’ peso alla società. Su uno sfondo culturale caratterizzato dall’eclissi del senso della vita, in cui si è molto attenuata la comune percezione della gravità morale dell’aborto e di altre forme di attentati contro la vita umana, si richiede ai medici una speciale fortezza per continuare ad affermare che l’aborto non risolve nulla, ma uccide il bambino, distrugge la donna e acceca la coscienza del padre del bambino, rovinando, spesso, la vita famigliare". È necessario poi, per il Santo Padre, che "la società tutta si ponga a difesa del diritto alla vita del concepito e del vero bene della donna, che mai, in nessuna circostanza, potrà trovare realizzazione nella scelta dell’aborto". Parimenti sarà necessario "non far mancare gli aiuti necessari alle donne che, avendo purtroppo già fatto ricorso all’aborto, ne stanno ora sperimentando tutto il dramma morale ed esistenziale. Molteplici sono le iniziative, a livello diocesano o da parte di singoli enti di volontariato, che offrono sostegno psicologico e spirituale, per un recupero umano pieno. La solidarietà della comunità cristiana non può rinunciare a questo tipo di corresponsabilità".
Ricerche che promuovono il bene comune. La coscienza morale dei ricercatori e di tutta la società civile è implicata anche nell’utilizzo delle banche del cordone ombelicale, a scopo clinico e di ricerca. "La ricerca medico-scientifica – ha chiarito Benedetto XVI - è un valore, e dunque un impegno, non solo per i ricercatori, ma per l’intera comunità civile. Ne scaturisce il dovere di promozione di ricerche eticamente valide da parte delle istituzioni e il valore della solidarietà dei singoli nella partecipazione a ricerche volte a promuovere il bene comune". Questo valore, e la necessità di questa solidarietà, si evidenziano molto bene "nel caso dell’impiego delle cellule staminali provenienti dal cordone ombelicale. Si tratta di applicazioni cliniche importanti e di ricerche promettenti sul piano scientifico, ma che nella loro realizzazione molto dipendono dalla generosità nella donazione del sangue cordonale al momento del parto e dall’adeguamento delle strutture, per rendere attuativa la volontà di donazione da parte delle partorienti". Di qui l’invito a farsi "promotori di una vera e consapevole solidarietà umana e cristiana".
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Un severo monito agli uomini che "spesso lasciano sole le donne incinte"
"Il grave disagio psichico sperimentato frequentemente dalle donne che hanno fatto ricorso all’aborto volontario rivela la voce insopprimibile della coscienza morale, e la ferita gravissima che essa subisce ogniqualvolta l’azione umana tradisce l’innata vocazione al bene dell’essere umano, che essa testimonia. In questa riflessione sarebbe utile anche porre l’attenzione sulla coscienza, talvolta offuscata, dei padri dei bambini, che spesso lasciano sole le donne incinte".
Lo ha detto Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti alla XVII Assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita, che ha affrontato quest’anno due temi: "Le banche di cordone ombelicale" e "Il trauma post-aborto".
Discernere il bene e il male. È compito della coscienza morale, ha ricordato il Papa, "discernere il bene dal male nelle diverse situazioni dell’esistenza, affinché, sulla base di questo giudizio, l’essere umano possa liberamente orientarsi al bene. A quanti vorrebbero negare l’esistenza della coscienza morale nell’uomo, riducendo la sua voce al risultato di condizionamenti esterni o ad un fenomeno puramente emotivo, è importante ribadire che la qualità morale dell’agire umano non è un valore estrinseco oppure opzionale e non è neppure una prerogativa dei cristiani o dei credenti, ma accomuna ogni essere umano". "Nella coscienza morale – ha aggiunto - Dio parla a ciascuno e invita a difendere la vita umana in ogni momento. In questo legame personale con il Creatore sta la dignità profonda della coscienza morale e la ragione della sua inviolabilità". Nella coscienza "l’uomo tutto intero - intelligenza, emotività, volontà - realizza la propria vocazione al bene, cosicché la scelta del bene o del male nelle situazioni concrete dell’esistenza finisce per segnare profondamente la persona umana in ogni espressione del suo essere". Tutto l’uomo, infatti, "rimane ferito quando il suo agire si svolge contrariamente al dettame della propria coscienza". Tuttavia, "anche quando l’uomo rifiuta la verità e il bene che il Creatore gli propone, Dio non lo abbandona, ma, proprio attraverso la voce della coscienza, continua a cercarlo e a parlargli, affinché riconosca l’errore e si apra alla Misericordia divina, capace di sanare qualsiasi ferita".
Il ruolo dei medici e della società. Secondo il Pontefice, "i medici, in particolare, non possono venire meno al grave compito di difendere dall’inganno la coscienza di molte donne che pensano di trovare nell’aborto la soluzione a difficoltà familiari, economiche, sociali, o a problemi di salute del loro bambino". Specialmente in quest’ultima situazione, "la donna viene spesso convinta, a volte dagli stessi medici, che l’aborto rappresenta non solo una scelta moralmente lecita, ma persino un doveroso atto ‘terapeutico’ per evitare sofferenze al bambino e alla sua famiglia, e un ‘ingiusto’ peso alla società. Su uno sfondo culturale caratterizzato dall’eclissi del senso della vita, in cui si è molto attenuata la comune percezione della gravità morale dell’aborto e di altre forme di attentati contro la vita umana, si richiede ai medici una speciale fortezza per continuare ad affermare che l’aborto non risolve nulla, ma uccide il bambino, distrugge la donna e acceca la coscienza del padre del bambino, rovinando, spesso, la vita famigliare". È necessario poi, per il Santo Padre, che "la società tutta si ponga a difesa del diritto alla vita del concepito e del vero bene della donna, che mai, in nessuna circostanza, potrà trovare realizzazione nella scelta dell’aborto". Parimenti sarà necessario "non far mancare gli aiuti necessari alle donne che, avendo purtroppo già fatto ricorso all’aborto, ne stanno ora sperimentando tutto il dramma morale ed esistenziale. Molteplici sono le iniziative, a livello diocesano o da parte di singoli enti di volontariato, che offrono sostegno psicologico e spirituale, per un recupero umano pieno. La solidarietà della comunità cristiana non può rinunciare a questo tipo di corresponsabilità".
Ricerche che promuovono il bene comune. La coscienza morale dei ricercatori e di tutta la società civile è implicata anche nell’utilizzo delle banche del cordone ombelicale, a scopo clinico e di ricerca. "La ricerca medico-scientifica – ha chiarito Benedetto XVI - è un valore, e dunque un impegno, non solo per i ricercatori, ma per l’intera comunità civile. Ne scaturisce il dovere di promozione di ricerche eticamente valide da parte delle istituzioni e il valore della solidarietà dei singoli nella partecipazione a ricerche volte a promuovere il bene comune". Questo valore, e la necessità di questa solidarietà, si evidenziano molto bene "nel caso dell’impiego delle cellule staminali provenienti dal cordone ombelicale. Si tratta di applicazioni cliniche importanti e di ricerche promettenti sul piano scientifico, ma che nella loro realizzazione molto dipendono dalla generosità nella donazione del sangue cordonale al momento del parto e dall’adeguamento delle strutture, per rendere attuativa la volontà di donazione da parte delle partorienti". Di qui l’invito a farsi "promotori di una vera e consapevole solidarietà umana e cristiana".
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PAPA/ Così anche anche la scienza dimostra che l'aborto uccide la famiglia (Sussidiario)
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Un altro stile. Benedetto XVI sul rapporto dell'uomo con Dio e con la ricchezza (Sir)
Su segnalazione di Laura leggiamo:
Un altro stile
Benedetto XVI sul rapporto dell'uomo con Dio e con la ricchezza
Non fatalismo, ma assoluta fiducia nel Padre celeste. È quello che suggeriscono le letture di oggi, ha detto stamattina Benedetto XVI, quando si è affacciato alla finestra del suo studio nel Palazzo apostolico vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. Ma anche un invito “a vivere secondo uno stile più semplice e sobrio, nella quotidiana operosità e nel rispetto del creato”.
Fiducia in Dio. “Nella Liturgia odierna – ha detto il Papa – riecheggia una delle parole più toccanti della Sacra Scrittura. Lo Spirito Santo ce l’ha donata mediante la penna del cosiddetto ‘secondo Isaia’, il quale, per consolare Gerusalemme abbattuta dalle sventure, così si esprime: ‘Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai’”. “Questo invito alla fiducia nell’indefettibile amore di Dio – ha chiarito il Pontefice – viene accostato alla pagina, altrettanto suggestiva, del Vangelo di Matteo, in cui Gesù esorta i suoi discepoli a confidare nella provvidenza del Padre celeste, il quale nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, e conosce ogni nostra necessità. Così si esprime il Maestro: ‘Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno’”.
Il cuore in Cielo. “Di fronte alla situazione di tante persone, vicine e lontane, che vivono in miseria – ha affermato il Santo Padre -, questo discorso di Gesù potrebbe apparire poco realistico, se non evasivo. In realtà, il Signore vuole far capire con chiarezza che non si può servire a due padroni: Dio e la ricchezza”. “Chi crede in Dio, Padre pieno d’amore per i suoi figli – ha aggiunto -, mette al primo posto la ricerca del suo Regno, della sua volontà. E ciò è proprio il contrario del fatalismo o di un ingenuo irenismo. La fede nella Provvidenza, infatti, non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani”. Poi una precisazione di Benedetto XVI: “È chiaro che questo insegnamento di Gesù, pur rimanendo sempre vero e valido per tutti, viene praticato in modi diversi a seconda delle diverse vocazioni: un frate francescano potrà seguirlo in maniera più radicale, mentre un padre di famiglia dovrà tener conto dei propri doveri verso la moglie e i figli. In ogni caso, però, il cristiano si distingue per l’assoluta fiducia nel Padre celeste, come è stato per Gesù”. In realtà, “è proprio la relazione con Dio Padre che dà senso a tutta la vita di Cristo, alle sue parole, ai suoi gesti di salvezza, fino alla sua passione, morte e risurrezione. Gesù ci ha dimostrato che cosa significa vivere con i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del prossimo, e al tempo stesso tenendo sempre il cuore in Cielo, immerso nella misericordia di Dio”.
Stile di vita più sobrio. “Alla luce della Parola di Dio di questa domenica”, il Papa ha invitato “ad invocare la Vergine Maria con il titolo di Madre della divina Provvidenza. A lei affidiamo la nostra vita, il cammino della Chiesa, le vicende della storia. In particolare, invochiamo la sua intercessione perché tutti impariamo a vivere secondo uno stile più semplice e sobrio, nella quotidiana operosità e nel rispetto del creato, che Dio ha affidato alla nostra custodia”.
Saluti plurilingue. Nei saluti in varie lingue, il Pontefice ha ribadito, in francese: “Cercare il Regno di Dio ci libera dalla paura del domani e ci apre alla fiducia e alla speranza che non delude. Vi invito ad essere per chi vi è intorno testimoni dell’amore di Dio, più tenero di quello di una madre per il proprio figlio, e a pregare affinché la giustizia e il dialogo prevalgano sul profitto e la violenza”. In polacco, il Santo Padre ha ricordato che “la liturgia della domenica odierna ci invita ad avere fiducia nella Divina Provvidenza e ad affidarLe tutte le nostre angosce, difficoltà e preoccupazioni per il futuro: ‘Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta’. Non si spenga in noi questa fiducia e susciti in noi la prontezza ad aiutare coloro che la perdono a causa delle difficili esperienze di vita”. Rivolgendosi “con affetto” ai pellegrini di lingua italiana, ha salutato “in particolare la rappresentanza venuta in occasione della ‘Giornata per le malattie rare’, con una preghiera speciale e un augurio per la ricerca in questo campo. Saluto i fedeli provenienti da Moncalvo e Ivrea, da Giussano, Cologno al Serio, Modena, Rimini e Cervia, Incisa Valdarno, Foligno e Spello, dalla diocesi di Concordia-Pordenone e dalla parrocchia romana di Santa Francesca Cabrini; i Salesiani cooperatori di Latina, l’associazione culturale ‘L’Ottimista’, il gruppo ‘Arcobaleno’ di Modena, i ragazzi di Lodi e gli alunni della scuola ‘Don Carlo Costamagna’ di Busto Arsizio”.
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Un altro stile
Benedetto XVI sul rapporto dell'uomo con Dio e con la ricchezza
Non fatalismo, ma assoluta fiducia nel Padre celeste. È quello che suggeriscono le letture di oggi, ha detto stamattina Benedetto XVI, quando si è affacciato alla finestra del suo studio nel Palazzo apostolico vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. Ma anche un invito “a vivere secondo uno stile più semplice e sobrio, nella quotidiana operosità e nel rispetto del creato”.
Fiducia in Dio. “Nella Liturgia odierna – ha detto il Papa – riecheggia una delle parole più toccanti della Sacra Scrittura. Lo Spirito Santo ce l’ha donata mediante la penna del cosiddetto ‘secondo Isaia’, il quale, per consolare Gerusalemme abbattuta dalle sventure, così si esprime: ‘Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai’”. “Questo invito alla fiducia nell’indefettibile amore di Dio – ha chiarito il Pontefice – viene accostato alla pagina, altrettanto suggestiva, del Vangelo di Matteo, in cui Gesù esorta i suoi discepoli a confidare nella provvidenza del Padre celeste, il quale nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, e conosce ogni nostra necessità. Così si esprime il Maestro: ‘Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno’”.
Il cuore in Cielo. “Di fronte alla situazione di tante persone, vicine e lontane, che vivono in miseria – ha affermato il Santo Padre -, questo discorso di Gesù potrebbe apparire poco realistico, se non evasivo. In realtà, il Signore vuole far capire con chiarezza che non si può servire a due padroni: Dio e la ricchezza”. “Chi crede in Dio, Padre pieno d’amore per i suoi figli – ha aggiunto -, mette al primo posto la ricerca del suo Regno, della sua volontà. E ciò è proprio il contrario del fatalismo o di un ingenuo irenismo. La fede nella Provvidenza, infatti, non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani”. Poi una precisazione di Benedetto XVI: “È chiaro che questo insegnamento di Gesù, pur rimanendo sempre vero e valido per tutti, viene praticato in modi diversi a seconda delle diverse vocazioni: un frate francescano potrà seguirlo in maniera più radicale, mentre un padre di famiglia dovrà tener conto dei propri doveri verso la moglie e i figli. In ogni caso, però, il cristiano si distingue per l’assoluta fiducia nel Padre celeste, come è stato per Gesù”. In realtà, “è proprio la relazione con Dio Padre che dà senso a tutta la vita di Cristo, alle sue parole, ai suoi gesti di salvezza, fino alla sua passione, morte e risurrezione. Gesù ci ha dimostrato che cosa significa vivere con i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del prossimo, e al tempo stesso tenendo sempre il cuore in Cielo, immerso nella misericordia di Dio”.
Stile di vita più sobrio. “Alla luce della Parola di Dio di questa domenica”, il Papa ha invitato “ad invocare la Vergine Maria con il titolo di Madre della divina Provvidenza. A lei affidiamo la nostra vita, il cammino della Chiesa, le vicende della storia. In particolare, invochiamo la sua intercessione perché tutti impariamo a vivere secondo uno stile più semplice e sobrio, nella quotidiana operosità e nel rispetto del creato, che Dio ha affidato alla nostra custodia”.
Saluti plurilingue. Nei saluti in varie lingue, il Pontefice ha ribadito, in francese: “Cercare il Regno di Dio ci libera dalla paura del domani e ci apre alla fiducia e alla speranza che non delude. Vi invito ad essere per chi vi è intorno testimoni dell’amore di Dio, più tenero di quello di una madre per il proprio figlio, e a pregare affinché la giustizia e il dialogo prevalgano sul profitto e la violenza”. In polacco, il Santo Padre ha ricordato che “la liturgia della domenica odierna ci invita ad avere fiducia nella Divina Provvidenza e ad affidarLe tutte le nostre angosce, difficoltà e preoccupazioni per il futuro: ‘Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta’. Non si spenga in noi questa fiducia e susciti in noi la prontezza ad aiutare coloro che la perdono a causa delle difficili esperienze di vita”. Rivolgendosi “con affetto” ai pellegrini di lingua italiana, ha salutato “in particolare la rappresentanza venuta in occasione della ‘Giornata per le malattie rare’, con una preghiera speciale e un augurio per la ricerca in questo campo. Saluto i fedeli provenienti da Moncalvo e Ivrea, da Giussano, Cologno al Serio, Modena, Rimini e Cervia, Incisa Valdarno, Foligno e Spello, dalla diocesi di Concordia-Pordenone e dalla parrocchia romana di Santa Francesca Cabrini; i Salesiani cooperatori di Latina, l’associazione culturale ‘L’Ottimista’, il gruppo ‘Arcobaleno’ di Modena, i ragazzi di Lodi e gli alunni della scuola ‘Don Carlo Costamagna’ di Busto Arsizio”.
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Il nunzio in Argentina difende il Papa dagli antipapi. Senza un briciolo di diplomazia (Magister)
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Comunicare nell’era digitale senza dimenticare l’uomo: da domani plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali (R.V.)
Comunicare nell’era digitale senza dimenticare l’uomo: da domani plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali
Si apre domani a Roma la plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Durante i lavori si parlerà in particolare degli spunti offerti dal Papa nel suo Messaggio per la 45.ma Giornata mondiale dedicata ai mass media, intitolato “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”. Philippa Hitchen ne ha parlato col presidente del Dicastero vaticano per le Comunicazioni sociali, mons. Claudio Maria Celli:
R. - Credo che questo nuovo messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del 2011 sia in linea con i messaggi degli scorsi anni. Il Santo Padre ci invita nuovamente a riflettere su cosa significa oggi comunicare: non è solamente un problema di tecnologia ma, ancora una volta, è preso in considerazione l’aspetto umano e l’invito è che l’uomo, nella comunicazione, sia sempre più se stesso. L’invito è che l’uomo sia autentico, perché è l’unica maniera per far sì che una comunicazione non sia solamente una trasmissione d’informazioni, ma sia veramente una comunicazione tra esseri umani. E’ andare proprio alla radice del fatto comunicativo, cioè questo prendere consapevolezza che è un passaggio da uomo a uomo, da donna a donna, da un uomo ad una moltitudine di uomini. Questo è molto importante, perché esige che l’uomo sia sempre attento a ciò che lo guida, come a ciò che lo ispira, proprio nel rapporto con gli altri. Direi che il Papa, quest’anno, ha poi sottolineato anche cosa vuol dire avere uno stile cristiano nel mondo della comunicazione, che non è soltanto un parlare di tematiche religiose, ma è anche come l’uomo, che ha nel suo cuore il messaggio evangelico, - e quindi vive in comunione con il Signore Gesù - affronta il rapporto con gli altri.
D. - Eppure rimane una sfida sempre più grande far sentire questa voce, questo messaggio di autenticità in questo grande mondo di Internet…
R. - E’ verissimo. Ecco perché, a volte - anche l’anno scorso se lei ricorda -, il Papa ci ha invitato ad essere presenti in questo “Cortile dei gentili”, questo spazio nel mondo cibernetico dove gli uomini possono anche incontrare la parola di verità. Direi che questa è anche la grande missione della Chiesa. Ricorderà che l’anno scorso parlavamo di una pastorale nel mondo digitale. Pastorale che non è altro che far sì che la parola di Dio possa risuonare anche in questi ambiti, che sembrerebbero a prima vista non umani o così freddi. Il Papa, l’anno scorso, diceva proprio a noi: “Fate sì che il mondo del web, il cyber-spazio, possa diventare veramente un possibile Cortile dei gentili, dove gli uomini si ritrovano”. Si ritrovano nel rispetto, ma si ritrovano anche con un’autenticità. Ecco perché il Papa, quest’anno, ci parla anche di annuncio, di proclamazione. Una proclamazione, però, che va vissuta - come dice il Papa in questo messaggio - con discrezione e rispetto. Quindi non è solamente un’imposizione o un annuncio commerciale, ma è una comunicazione di vita, una comunicazione che va dal cuore di un uomo al cuore di un altro uomo o dal cuore di una donna ad un’altra donna, ma vissuto con questa discrezione e con questo rispetto. Credo che queste parole del Papa invitino tutti noi a prendere consapevolezza della forma in cui si deve essere presenti nel mondo di oggi, quello della comunicazione, e vedere come a questa nostra presenza sappiamo dare le strutture portanti di un dialogo che si fa veramente rispetto per l’altro. Lei ricorderà che il Papa, in un suo discorso al mondo della cultura in Portogallo, lo scorso maggio, prendeva consapevolezza che dobbiamo dialogare con le verità degli altri, ma in questo senso, però, senza dimenticare di essere annunciatori di questa verità che abbiamo ricevuto. Nel contesto nazionale, però, nel mio contesto umano di oggi, devo avere la consapevolezza che sono chiamato a saper dialogare con le verità degli altri e far presente questa verità che ho ricevuto e che tengo nel mio cuore, testimoniarla ma con toni di discrezione e di rispetto per gli altri. Questo è un cammino che certamente esige da tutti noi un ripensamento ed una verifica. (vv)
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Si apre domani a Roma la plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Durante i lavori si parlerà in particolare degli spunti offerti dal Papa nel suo Messaggio per la 45.ma Giornata mondiale dedicata ai mass media, intitolato “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”. Philippa Hitchen ne ha parlato col presidente del Dicastero vaticano per le Comunicazioni sociali, mons. Claudio Maria Celli:
R. - Credo che questo nuovo messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del 2011 sia in linea con i messaggi degli scorsi anni. Il Santo Padre ci invita nuovamente a riflettere su cosa significa oggi comunicare: non è solamente un problema di tecnologia ma, ancora una volta, è preso in considerazione l’aspetto umano e l’invito è che l’uomo, nella comunicazione, sia sempre più se stesso. L’invito è che l’uomo sia autentico, perché è l’unica maniera per far sì che una comunicazione non sia solamente una trasmissione d’informazioni, ma sia veramente una comunicazione tra esseri umani. E’ andare proprio alla radice del fatto comunicativo, cioè questo prendere consapevolezza che è un passaggio da uomo a uomo, da donna a donna, da un uomo ad una moltitudine di uomini. Questo è molto importante, perché esige che l’uomo sia sempre attento a ciò che lo guida, come a ciò che lo ispira, proprio nel rapporto con gli altri. Direi che il Papa, quest’anno, ha poi sottolineato anche cosa vuol dire avere uno stile cristiano nel mondo della comunicazione, che non è soltanto un parlare di tematiche religiose, ma è anche come l’uomo, che ha nel suo cuore il messaggio evangelico, - e quindi vive in comunione con il Signore Gesù - affronta il rapporto con gli altri.
D. - Eppure rimane una sfida sempre più grande far sentire questa voce, questo messaggio di autenticità in questo grande mondo di Internet…
R. - E’ verissimo. Ecco perché, a volte - anche l’anno scorso se lei ricorda -, il Papa ci ha invitato ad essere presenti in questo “Cortile dei gentili”, questo spazio nel mondo cibernetico dove gli uomini possono anche incontrare la parola di verità. Direi che questa è anche la grande missione della Chiesa. Ricorderà che l’anno scorso parlavamo di una pastorale nel mondo digitale. Pastorale che non è altro che far sì che la parola di Dio possa risuonare anche in questi ambiti, che sembrerebbero a prima vista non umani o così freddi. Il Papa, l’anno scorso, diceva proprio a noi: “Fate sì che il mondo del web, il cyber-spazio, possa diventare veramente un possibile Cortile dei gentili, dove gli uomini si ritrovano”. Si ritrovano nel rispetto, ma si ritrovano anche con un’autenticità. Ecco perché il Papa, quest’anno, ci parla anche di annuncio, di proclamazione. Una proclamazione, però, che va vissuta - come dice il Papa in questo messaggio - con discrezione e rispetto. Quindi non è solamente un’imposizione o un annuncio commerciale, ma è una comunicazione di vita, una comunicazione che va dal cuore di un uomo al cuore di un altro uomo o dal cuore di una donna ad un’altra donna, ma vissuto con questa discrezione e con questo rispetto. Credo che queste parole del Papa invitino tutti noi a prendere consapevolezza della forma in cui si deve essere presenti nel mondo di oggi, quello della comunicazione, e vedere come a questa nostra presenza sappiamo dare le strutture portanti di un dialogo che si fa veramente rispetto per l’altro. Lei ricorderà che il Papa, in un suo discorso al mondo della cultura in Portogallo, lo scorso maggio, prendeva consapevolezza che dobbiamo dialogare con le verità degli altri, ma in questo senso, però, senza dimenticare di essere annunciatori di questa verità che abbiamo ricevuto. Nel contesto nazionale, però, nel mio contesto umano di oggi, devo avere la consapevolezza che sono chiamato a saper dialogare con le verità degli altri e far presente questa verità che ho ricevuto e che tengo nel mio cuore, testimoniarla ma con toni di discrezione e di rispetto per gli altri. Questo è un cammino che certamente esige da tutti noi un ripensamento ed una verifica. (vv)
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Card. Ruini: La fede del popolo italiano stava grandemente a cuore a Giovanni Paolo II (Izzo)
WOJTYLA: RUINI, GLI STAVA A CUORE LA FEDE DEGLI ITALIANI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 27 feb.
"La fede del popolo italiano stava grandemente a cuore a Giovanni Paolo II".
Lo ha ricordato il card. Camillo Ruini in un'intervista trasmessa da Rai Uno in vista della beatificazione del prossimo primo maggio. L'ex presidente della Cei, intervenendo ad "A Sua Immagine", ha rivelato che erano unicamente spirituali le preoccupazioni del Pontefice polacco "durante la crisi vissuta dal nostro Paese nel '91-'92", che lo portarono a scrivere una lettera ai vescovi italiani e a indire "la Grande preghiera per l'Italia" del '94.
Alla trasmissione e' intervenuto oggi anche lo storico portavoce di Wojtyla, Joaquin Navarro Valls, il quale ha ricordato il rapporto di Giovanni Paolo II con i giovani. "Dopo una Giornata Mondiale della Gioventu' di Roma - ha rivelato Navarro - si chiese 'perche' i giovani vengono a trovare un vecchio?". Allora, ha raccontato Navarro, "io andai tra i ragazzi a chiedere perche' fossero venuti e mi risposero cosi': 'nessuno mi aveva detto quello che lui dice. Non so se potro' vivere tutta la mia vita a livello etico come lui me la propone. Ma lui vive quello che dice'".
"Credo - ha concluso il portavoce di Giovanni Paolo II - che il suo vero capolavoro sia essere stato quella persona che sa dire sempre di si' al Signore. Molte persone hanno cercato di incontrare il Papa e molte persone le ha incontrate. E tutti hanno constatato che ti lasciava l'immagine della verita', dell'assoluta coerenza che lo caratterizzava".
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Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 27 feb.
"La fede del popolo italiano stava grandemente a cuore a Giovanni Paolo II".
Lo ha ricordato il card. Camillo Ruini in un'intervista trasmessa da Rai Uno in vista della beatificazione del prossimo primo maggio. L'ex presidente della Cei, intervenendo ad "A Sua Immagine", ha rivelato che erano unicamente spirituali le preoccupazioni del Pontefice polacco "durante la crisi vissuta dal nostro Paese nel '91-'92", che lo portarono a scrivere una lettera ai vescovi italiani e a indire "la Grande preghiera per l'Italia" del '94.
Alla trasmissione e' intervenuto oggi anche lo storico portavoce di Wojtyla, Joaquin Navarro Valls, il quale ha ricordato il rapporto di Giovanni Paolo II con i giovani. "Dopo una Giornata Mondiale della Gioventu' di Roma - ha rivelato Navarro - si chiese 'perche' i giovani vengono a trovare un vecchio?". Allora, ha raccontato Navarro, "io andai tra i ragazzi a chiedere perche' fossero venuti e mi risposero cosi': 'nessuno mi aveva detto quello che lui dice. Non so se potro' vivere tutta la mia vita a livello etico come lui me la propone. Ma lui vive quello che dice'".
"Credo - ha concluso il portavoce di Giovanni Paolo II - che il suo vero capolavoro sia essere stato quella persona che sa dire sempre di si' al Signore. Molte persone hanno cercato di incontrare il Papa e molte persone le ha incontrate. E tutti hanno constatato che ti lasciava l'immagine della verita', dell'assoluta coerenza che lo caratterizzava".
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