Benedetto XVI: la Chiesa impari i linguaggi dei nuovi media per innestare il Vangelo nella cultura digitale
Studiare con accuratezza i linguaggi della moderna cultura digitale, per aiutare la missione evangelizzatrice della Chiesa a trasfondere in queste nuove modalità espressive i contenuti della fede cristiana. È la sostanza del discorso che Benedetto XVI ha rivolto questa mattina ai membri che partecipano – da oggi a giovedì prossimo – alla plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Un linguaggio “emotivo”, esposto al rischio costante della banalità. Di contro, un linguaggio ricco di simboli, da migliaia di anni al servizio del trascendente. Cos’hanno in comune la comunicazione digitale con quella della Bibbia? Poco, apparentemente, se non fosse che per la Chiesa non esiste linguaggio nuovo che non possa essere compreso e utilizzato per annunciare il messaggio di sempre, quello del Vangelo. Benedetto XVI ha scandagliato le implicazioni di questo confronto, tornando su un tema toccato spesso negli ultimi anni: quello delle nuove tecnologie e dei cambiamenti che esse inducono nel modo di comunicare, al punto da ormai aver configurato “una vasta trasformazione culturale”. Le reti web, ha affermato il Papa, sono la dimostrazione di come “inedite opportunità” stiano delineando un “nuovo modo di apprendere e di pensare”, di “stabilire relazioni e costruire comunione”. Ma, ha osservato, esserne consapevoli non basta. L’analisi deve essere spinta più a fondo:
“I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano, tra l’altro, una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali. La tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità”.
Essere “in rete”, ha proseguito Benedetto XVI, richiede che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. E dunque, a questo livello di interconnessione le persone non si limitano scambiare solo delle informazioni, ma “stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo”. Una dinamica che, per il Papa, non è esente da punti deboli:
“I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni. Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente”.
Qui, ha asserito il Pontefice, si innesta il lavoro che deve compiere la Chiesa e in particolare il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. “Approfondire la cultura digitale” e quindi “aiutare quanti hanno responsabilità nella Chiesa” a “capire, interpretare e parlare il ‘nuovo linguaggio’ dei media in funzione pastorale”. Ben sapendo che nemmeno la dimensione spirituale della persona è estranea al mondo della comunicazione:
“La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo”.
Benedetto XVI ha ribadito che la “relazione sempre più stretta e ordinaria tra l’uomo e le macchine”, siano esser computer o telefoni cellulari, può trovare nella ricchezza espressiva della fede e nei “valori spirituali” una dimensione ancor più ampia di quella già sconfinata che sembrerebbe garantire la tecnologia. Ciò seppe dimostrarlo, quattro secoli fa, il gesuita padre Matteo Ricci, il grande apostolo della Cina, riuscendo a cogliere “tutto ciò che di positivo si trovava” nella tradizione di quel popolo, e di “animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo”. E altrettanto sono chiamati a fare i credenti di oggi, che nel mondo dei media, ha concluso il Pontefice, possono contribuire ad aprire “orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare”:
“Al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione. Per questo la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino.”
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