giovedì 11 agosto 2011

Nuovi aiuti del Papa per le popolazioni del Corno d'Africa. Una solidarietà che non conosce soste (Ponzi)

Nuovi aiuti del Papa per le popolazioni del Corno d'Africa

Una solidarietà che non conosce soste

di Mario Ponzi

Un sostanzioso aiuto. Così monsignor Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum, ha definito la somma di denaro che il dicastero ha inviato giovedì mattina, 11 agosto, in alcune diocesi del Corno d'Africa a nome del Papa.
«È il segno -- dice il segretario in questa intervista rilasciata al nostro giornale -- della particolare attenzione con la quale Benedetto XVI segue la drammatica situazione della regione e della sua sollecitudine per le martoriate popolazioni». Un segnale forte anche per la comunità internazionale. È di questi giorni la notizia sulla convocazione di conferenze sotto varie denominazioni per studiare quali forme di intervento adottare. E questo è senz'altro positivo poiché testimonia «la presenza della comunità mondiale». Ma intanto la gente muore e dunque c'è bisogno di interventi immediati. Così come c'è bisogno di pianificare progetti di «sviluppo che possano garantire il futuro delle nuove generazioni» e allontanare per sempre «lo spettro della fame nel mondo».

L'emergenza nel Corno d'Africa non sembra aver fine. È proprio impossibile trovare soluzioni efficaci?

La situazione non ha ancora trovato una soluzione, anche perché oggettivamente è il risultato di una serie di problematiche, che si condizionano a vicenda. Da una parte c'è il problema della siccità, che ha ingenerato la carestia. Dall'altra il conflitto in Somalia che ha provocato l'esodo di migliaia di persone verso territori già provati. Ci sono rifugiati, che si muovono dalla propria patria verso Paesi vicini, e ci sono sfollati interni. Ci vorrà dunque molto tempo prima che un fenomeno di questo genere trovi soluzione. Parliamo in ogni caso di circa 4.500.000 di persone in necessità in Etiopia e di quasi 4 milioni in Kenya. Si devono aggiungere poi i numeri della Somalia e, anche se contenuti, di Gibuti.

È sufficiente quello che sta facendo la comunità internazionale?

Credo che la cosa più importante, al di là di quanto si sta facendo, sia non abbassare la guardia, soprattutto non farlo quando magari sarà finito l'effetto emotivo. Alcuni dei Paesi coinvolti trascinano da anni crisi umanitarie e politiche che hanno costretto all'azione le Nazioni Unite, le sue agenzie e anche alcuni governi. Anche attualmente la presenza della comunità internazionale è garantita, ma, lo ripeto mi sembra che l'attenzione debba essere tenuta desta, perché attualmente è la crisi finanziaria a occupare la maggior parte dell'informazione. Ma in questi Paesi, e in tanti altri nel mondo, c'è gente che muore di fame e nel terzo millennio è inammissibile.

Qual è l'azione della Chiesa per aiutare queste popolazioni?

Il Papa è stato tra i primi a sottolineare la gravità della situazione nell'Angelus del 17 luglio scorso. Ha ribadito la necessità di intervenire per difendere e sostenere una popolazione tanto provata. Dopo un primo aiuto per la Somalia, in questi giorni viene inviato un aiuto a suo nome tramite Cor Unum a 5 diocesi del Kenya e a 6 diocesi dell'Etiopia che stanno affrontando l'emergenza umanitaria con i pochi mezzi che hanno a disposizione. In proposito è bene dire che l'azione delle istituzioni della Chiesa in questa crisi si colloca a diversi livelli. Quello più diretto è l'accoglienza e il sostegno alla popolazione per le sue necessità immediate. Questo lavoro è svolto in particolare in via diretta dalle diocesi e dalle comunità locali, nonostante l'esiguità dei loro mezzi. Ma voglio sottolineare come queste Chiese in Africa abbiano reagito immediatamente e generosamente ai diversi bisogni.

E per il futuro?

Ci sono dei programmi più articolati, elaborati da Caritas Internationalis in collaborazione con le maggiori Caritas. Sono in via di definizione e comportano un impegno economico di alcuni milioni di dollari. Poi ci sono gli interventi di tanti organismi cattolici di minori proporzioni, che sono tuttavia presenti nei luoghi dell'emergenza. Infine non dobbiamo dimenticare i tanti cattolici che offrono del loro denaro, ma anche la loro preghiera, per i loro fratelli in necessità nel Corno d'Africa. A noi giungono quotidianamente attestazioni di vicinanza verso chi sta soffrendo questa grave crisi.

Come giudica la gente l'impegno della Chiesa?

La presenza della Chiesa in queste regioni non si limita all'immediatezza dettata dall'emergenza o dai bisogni primari. La sua è una presenza permanente nel tempo. Sarà forse per questo che essa gode della fiducia della popolazione. E poi non si fa nulla senza la partecipazione dei destinatari stessi del sostegno. Normalmente infatti i nostri programmi di aiuto sono realizzati in collaborazione con le autorità civili.

Quali sono le esigenze primarie alle quali fa riferimento?

A parte le questioni sociali strutturali, direi che la priorità è sempre dettata dalle situazioni contingenti. Dai rapporti che ci arrivano, posso dire che in questa fase dobbiamo pensare all'essenziale: cibo, acqua, kit sanitari, accoglienza nei campi di raccolta e di assistenza. Restando ai Paesi del Corno d'Africa il bisogno primario è senza dubbio l'assistenza a chi soffre letteralmente per la fame provocata dalla carestia dovuta alla siccità. È il vero dramma da affrontare in questo momento per soccorrere la popolazione locale.

Quando secondo lei si potrà tirare un sospiro di sollievo?

Impossibile fare previsioni. Le posso solo dire che siamo fiduciosi che la collaborazione di tanti e l'attenzione delle autorità internazionali potranno contribuire ad alleviare tanta sofferenza. La Chiesa, come sempre, fa e continuerà a fare la sua parte in maniera attiva. Siamo nelle mani del Signore.

(©L'Osservatore Romano 12 agosto 2011)

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