Si apre la conferenza dell'Onu
Clima difficile a Durban
di PIERLUIGI NATALIA
La Conferenza sul clima a Durban, in Sud Africa, che si apre questo lunedì 28 per concludersi il 9 dicembre, è probabilmente l'ultima occasione utile per un vero accordo internazionale per la riduzione delle emissioni di gas nocivi responsabili del cosiddetto effetto serra. Nel 2012 termina il periodo degli impegni del Protocollo di Kyoto, al quale sono rimasti sostanzialmente estranei i Paesi principali responsabili delle emissioni, a partire da Stati Uniti, Russia e Cina, e ancora si aspetta un segnale chiaro circa le azioni che i Governi intendono intraprendere per sottrarre il pianeta a un degrado che già minaccia di diventare irreversibile. Questa XVII conferenza annuale (Cop17) dei Paesi firmatari della convenzione quadro dell'Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc), pone un bivio al quale non si danno alternative: o si rafforzano gli scarsi progressi compiuti alla Cop16 dell'anno scorso a Cancún, in Messico, oppure si lascia campo libero agli interessi nazionali a breve termine, con la prospettiva di arrivare a un riscaldamento del pianeta insostenibile. La speranza è che questa volta prevalga la determinazione politica e sociale sugli interessi della finanza, quegli stessi che hanno provocato l'attuale crisi economica globale. I precedenti immediati, appunto la Cop16 di Cancún e la Cop 15 del 2009 a Copenaghen, sono però poco incoraggianti. Finora si è assistito a trattative finanziarie, più che a scelte politiche strategiche per invertire la tendenza sui modelli di sviluppo responsabili del riscaldamento globale. Ci sono stati passaggi di denaro e di tecnologie tra nord e sud del mondo, ma non accordi giuridicamente vincolanti da far subentrare al Protocollo di Kyoto. Se la conferenza di Durban riuscirà a ricondurre alla realtà, a scoraggiare il ricorso a scappatoie, sarà anche un'importante opportunità per rilanciare l'economia verso un futuro più sostenibile, equo e sicuro. Per conseguire tale risultato, a Durban si dovrebbero sottoscrivere regole rigide sui tagli delle emissioni, stabilire fonti innovative di finanziamento, almeno prolungare il Protocollo di Kyoto e aprire la strada a un accordo globale legalmente vincolante sulle indicazioni dell'Unfccc.
La svolta potrebbe venire dalla Cina, che finora ha rifiutato di fissare per tutti i Paesi l'obiettivo minimo di emissioni globali. Diverse fonti sostengono infatti che il prossimo piano industriale cinese possa puntare decisamente sull'economia verde. Certezze in merito, comunque, non ce ne sono, così come sembra improbabile che gli attuali rapporti di forza interni possano consentire al presidente statunitense Barack Obama quei risultati che non conseguì a Copenaghen, quando era fresco vincitore del premio Nobel per la Pace. Finora, però, Obama ha potuto offrire più denaro per i Paesi poveri, ma non più impegno sulla riduzione delle emissioni.
Di fatto, saranno soprattutto Stati Uniti e Cina a decidere su una questione vitale per l'intero pianeta e soprattutto per i Paesi in via di sviluppo. Tutti gli studi internazionali confermano che l'Africa, le isole del Pacifico e l'Asia meridionale sono le zone del pianeta maggiormente minacciate dai cambiamenti climatici, mentre i principali responsabili dell'inquinamento saranno relativamente protetti dalle sue conseguenze, almeno nel breve periodo di uno o due decenni.
Nel sud del mondo i cambiamenti climatici già ora significano fame, distruzioni, epidemie provocate da malattie legate all'acqua inquinata. Studi concordi - basati su parametri differenti quali economia, istituzioni e gestione, sviluppo umano e salute, ecosistemi (gestione delle foreste, impatto umano sull'erosione del suolo), sicurezza dell'approvvigionamento delle risorse (acqua, prodotti alimentari, energia) e infine ripartizione della popolazione e infrastrutture - pongono ben 22 Paesi africani tra i 28 catalogati come a rischio estremo. Con la desertificazione e la siccità si stanno riducendo biodiversità e risorse di materie prime.
Quella sul clima per l'Africa è dunque una sfida enorme, una questione di sopravvivenza per milioni di persone. Contenere gli effetti dei cambiamenti climatici è un obiettivo vitale. Ed è soprattutto un obiettivo politico per il cui conseguimento occorre moltiplicare gli sforzi e superare le divisioni che penalizzano i popoli del continente. Per questo, è importante la decisione presa dall'Unione africana di parlare con una sola voce a Cancún, dove a rappresentare le istanze del continente sarà il presidente della Repubblica del Congo, Denis Sassou Nguesso.
(©L'Osservatore Romano 28-29 novembre 2011)
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