lunedì 6 dicembre 2010

Dalla «Verbum Domini» consigli per una buona predicazione. Ma l'omelia non è una conferenza (Chino Biscontin)

Dalla «Verbum Domini» consigli per una buona predicazione

Ma l'omelia non è una conferenza

di Chino Biscontin

Vi sono dei predicatori che concepiscono il loro compito come se si trattasse di svolgere una breve lezione di esegesi, perciò si limitano a fornire le spiegazioni necessarie per la comprensione del senso letterale delle letture bibliche proclamate. Spesso aggiungono via via quella che può essere definita come una transcodifica, che consiste nel ridire il messaggio biblico mediante il linguaggio corrente.
Naturalmente l'omelia ha anche il compito di spiegare il senso letterale dei brani biblici, e più in generale quello di contribuire, insieme alla catechesi, a familiarizzare i fedeli con il linguaggio, gli eventi cardine, i concetti e i simboli portanti dell'universo biblico. Tuttavia essa non può limitarsi a questo. La sua natura esige che colui che predica indichi, in modo persuasivo, che ciò che le Scritture narrano e annunciano sta accadendo qui e ora, per questa assemblea di discepoli del Signore Gesù, popolo di Dio. L'omileta non può dunque limitarsi a interpretare i brani biblici, ma, attingendo luce da essi, deve offrire agli ascoltatori una interpretazione di fede di ciò che sta accadendo in questa celebrazione.
L'osservazione della predicazione corrente autorizza ad affermare che la sensibilità verso questo compito, che le è proprio e caratterizzante, non è ancora sufficientemente diffusa. Troppo spesso le omelie hanno la forma di una breve conferenza non contestualizzata nella celebrazione. Quanti predicatori manifestano la consapevolezza che quando parlano di Dio e di Gesù nell'omelia, lo fanno alla presenza di Dio e del Signore Gesù? Non si parla allo stesso modo di un presente o di un assente.
L'omileta non può limitarsi a mediare la comprensione dei contenuti dottrinali dei brani biblici; egli deve mediare anche la presenza del Parlante.
Essere servi della Parola di Dio significa anche e principalmente essere mediatori di una presenza e di un incontro. Lo si può desumere dal n. 11 della Verbum Domini, che richiama un importante passaggio della Deus caritas est, nel contesto di una affascinante «Cristologia della Parola»: «La Parola qui non si esprime innanzitutto in un discorso, in concetti o regole. Qui siamo posti di fronte alla persona stessa di Gesù. La sua storia unica e singolare è la Parola definitiva che Dio dice all'umanità. Da qui si capisce perché “all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”».
La liturgia della Parola, omelia compresa, costituisce una mediazione sacramentale della presenza di Dio e del Signore Gesù, del loro parlare all'assemblea qui e ora. Dalla viva consapevolezza di questo compito deriverebbe un maggior impegno nella preparazione dell'omelia e una sua qualità religiosamente alta, nei contenuti e nelle modalità, e di cui si avverte la necessità.
Collegato con questo primo problema, ve n'è un secondo. Mi sia permesso introdurlo proponendo un esperimento mentale. Immaginiamo di prendere in mano la Bibbia e di sfogliarla con il proposito di togliere da essa tutte le pagine che hanno a che fare con una narrazione. Che cosa ci resterà fra le mani, oltre alla copertina e qualche brano sapienziale? Ora proviamo a registrare la predicazione di un anno liturgico tenuta da un prete e a trascriverla su carta. Scorriamo i fogli così ottenuti e ripetiamo l'operazione, quella di togliere tutte le pagine che hanno a che fare con una narrazione. Che cosa ci resterà fra le mani? Con ogni probabilità quasi tutto! La evidente diversità di risultato è sintomo di qualcosa che non va nella nostra predicazione, se essa deve avere nelle Scritture il suo modello.
C'è un compito, anch'esso proprio dell'omelia, che si è soliti indicare con il termine «attualizzazione». Come ricorda anche la Proposizione n. 15: «L'omelia fa che la Parola proclamata si attualizzi: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Luca, 4, 21)». Anche questo compito non pare svolto in maniera soddisfacente nella predicazione abituale.
Perché nella Bibbia abbondano le narrazioni e nella predicazione esse sono così assenti? Perché coloro che ci hanno dato le Scritture erano coscienti di essere coinvolti in una storia santa nella quale Dio stesso agiva, mentre troppo spesso noi viviamo dentro la storia, anche quella umile delle nostre comunità cristiane, come se fosse una storia profana. Per questo la nostra predicazione ha familiarità con l'esposizione dottrinale e con la proposizione di precetti morali, ma non ha altrettanta familiarità con la testimonianza mediante narrazioni storico-salvifiche che ci vedono coinvolti e protagonisti. Solo se ritroveremo uno sguardo di fede che, istruito dalla luce della Bibbia, sappia discernere l'azione di Dio nelle nostre storie, la predicazione sarà in grado di operare una autentica attualizzazione, come è suo dovere.
Un terzo problema è costituito dall'attuale situazione di preparazione dei futuri predicatori. Nel passato l'itinerario della loro formazione prevedeva normalmente un insegnamento sulla predicazione. Con le riforme avvenute dopo il Vaticano ii, le materie del ciclo istituzionale sono state dilatate sia qualitativamente che quantitativamente. Ciò ha comportato delle scelte, tra le quali, quasi ovunque, quella di lasciar cadere il corso di oratoria sacra, o sacra eloquenza, come esso veniva chiamato. I motivi che spiegano questa scelta sono diversi; tra essi il fatto che quella materia non raramente era poco curata e dunque avvertita come poco utile, oppure il pregiudizio ingenuo in base al quale se qualcuno sa ciò che deve dire, sa anche come dirlo. Di fatto questa disciplina si è eclissata. Naturalmente gli insegnamenti del normale corso istituzionale rappresentano una preparazione indispensabile alla predicazione, ma oramai si avverte sempre di più la necessità di una disciplina specifica.
Al proposito va detto che la cura perché l'omelia sia frutto anche di una buona arte nel comunicare non è solo un problema che riguarda la forma della predicazione. Sulla base di una concezione sacramentale del ministero della predicazione, poiché alla parola umana viene chiesto di essere mediazione del parlare di Dio stesso, la parola umana deve essere adatta a una comunicazione vera ed efficace. È un discorso analogo a quanto si raccomanda in sacramentaria, dove lo scrupolo per la genuinità della «materia» custodisce la verità del segno e con ciò del sacramento stesso. Ritengo che la strutturazione di un corso di omiletica nella preparazione immediata al ministero dovrebbe avere la forma di un seminario, o laboratorio, durante il quale non solo si trasmetta la conoscenza teorica della natura dell'omelia, ma ci si adoperi a sviluppare anche l'abilità corrispondente nel cercare e dare forma adeguata ai contenuti della predicazione. Lo scopo dovrebbe essere quello di impostare fin dall'inizio una pratica della predicazione consapevole e riflettuta, che faccia maturare nei giovani omileti una buona esperienza. Successivamente, a partire da questa prima esperienza, nella formazione permanente dei predicatori si dovrebbero offrire corsi di verifica e di addestramento alla buona predicazione.

(©L'Osservatore Romano 5 dicembre 2010)

1 commento:

laura ha detto...

Vorrei sapere quanti sacerdoti abbiano letto tale esortazione equanti ne faranno tesoro. Le omelie che ascolto non fanno mai riferimento al magistero pontificio e mi chiedo a chi e per chi parli e scriva il Papa. La situazione è abbastanza pietosa. Dobbiamo convertirci tutti!!!!