VATICANO
Papa: anche davanti alle tentazioni, non abbandonare mai “la mano di Dio”
La figura di santa Caterina da Bologna, illustrata da Benedetto XVI all’udienza generale, spinge a impegnarsi per “per realizzare il progetto che Dio ha su ognuno di noi, perché solo lui sia la salda roccia su cui si edifica la nostra vita”.
Città del Vaticano (AsiaNews)
Nella vita “anche davanti alle tentazioni di cui tutti soffriamo”, non bisogna mai abbandonare “la mano di Dio”, “per realizzare il progetto che Dio ha su ognuno di noi, perché solo Lui sia la salda roccia su cui si edifica la nostra vita”. E’ l’insegnamento che viene dalla vita di santa Caterina da Bologna, la donna del Medio Evo la cui figura Benedetto XVI ha illustrato nell’ultima udienza generale del 2010.
La sua vita è “un forte invito a lasciarsi guidare sempre da Dio e a compiere quotidianamente la sua volontà, anche se è diversa dai nostri progetti, a confidare nella sua Provvidenza che mai ci lascia soli”. “In questa prospettiva santa Caterina parla con noi e la sua figura è molto moderna. Soffre di tentazioni e dubbi come noi, si sente abbandonata da Dio, vive il buio della fede, ma in tutte queste situazioni tiene sempre la mano del Signore e andando alla mano del Signore trova la via giusta, la via della luce, e così dice a noi: coraggio, non lasciare la mano del Signore”.
Questa “donna di vasta cultura, ma molto umile”, “generosa nel sacrificio, pronta a servire”, ha ricordato il Papa alle ottomila persone presenti nell’aula Paolo VI, in Vaticano, nasce nel 1413 in una famiglia patrizia ferrarese. Il padre è dottore in legge e pubblico lettore a Padova, al servizio di Niccolò III d'Este, che “benchè conduca una vita privata non esemplare”, cura la vita spirituale dei sudditi.
Nel 1424, all'età di 11 anni, Caterina entra alla corte estense come damigella di compagnia di Margherita d'Este. Riceve l'educazione del tempo: studia la musica, la pittura, la danza, impara il latino e a poetare e diventa esperta nell'arte della miniatura. Aveva però “una singolare modestia” e “lo spirito costantemente rivolto alle cose del Cielo”. “Caterina non sente gli effetti della vita di corte”. E nel 1426 lascia la corte e si unisce a un gruppo di giovani donne che facevano vita in comune, dedicandosi allo spirito. “Afferma che è entrata al servizio illuminata dalla grazia di Dio, impegnandosi a conquistare tutte le virtù che vedeva in altri, non per orgoglio, ma per conquistare maggiore favore davanti a Dio.
“Grandi e terribili sono le prove che subisce: tentazioni del demonio fino alla disperazione, alla notte dello spirito, fino all’incredulita verso l’eucaristia”. Ma il Signore le dona una conoscenza della presenza eucaristica “che Caterina non riesce ad esprimere con le parole”. Ma nella comunità sorgono tensioni tra chi vuole seguire la spiritualità agostiniana e chi quella francescana. Tra il 1429 e il 1430 la responsabile del gruppo decide di fondare un monastero agostiniano. Caterina, invece con alcune consorelle decide di seguire la regola di santa Chiara.
Nel monastero del Corpus Domini, Caterina e le compagne possono “ricevere un’adeguata formazione spirtuale” e incontrano anche padre Bernardino da Siena. In questo clima, Caterina “compie una buona confessione e prega intensamente Dio di dargli il perdono dei suoi peccati e delle pene” e riceve una “esperienza della misericordia divina che la segna per sempre”.
Nel 1431 ha una visione del giudizio finale. “La terrificante scena dei dannati la spinge a intensificare preghiere e penitenze per la salvezza dei peccatori. Il demonio continua ad assalirla ed ella si affida in modo sempre più totale al Signore e alla Vergine Maria. Negli scritti, Caterina ci lascia alcune note essenziali di questo misterioso combattimento, da cui esce vittoriosa con la grazia di Dio. Lo fa per istruire le sue consorelle e coloro che intendono incamminarsi nella via della perfezione: vuole mettere in guardia dalle tentazioni del demonio, che si nasconde spesso sotto sembianze ingannatrici, per poi insinuare dubbi di fede, incertezze vocazionali, sensualità”.
Sono “Le sette armi spirituali”, opera di “grande saggezza e profondo discerinimento”. “Dal suo scritto traspare la purezza della sua fede”, “l’ardore missionario”, “la passione per la salvezza delle anime”. Le “armi” sono: “cura e sollecitudine nell’operare il bene”, “credere che da soli non potremo mai fare cose buone”, “confidare in Dio”, “meditare spesso gli eventi e le parole della vita di Gesù e in particolare la passione”, “ricordarsi che dobbiamo morire”, “avere fissa nella mente” la meta finale del paradiso, “avere familiarità colla Sacra Scrittura”. “Un bel programma di vita spirituale anche oggi per noi”.
Nel monastero, Caterina “compie anche i servizi piu umili con amore e pronta obedienza"; "ella vedeva la disobbedienza come un segno dell'orgoglio spirituale che distrugge ogni altra virtù”.
Alla morte dell’abbadessa i superiori pensano a lei per la successione, ma lei spinge a rivolgersi alle Clarisse di Mantova. Ma nel 1456 al suo monastero è chiesto di creare una nuova fondazione a Bologna. Caterina “compie la volontà di Dio”. Si reca a Bologna con 18 consorelle: diviene la superiore del monastero. Anche in tale ruolo “è la prima nella preghiera e nel servizio”.
Sebbene afflitta da gravi sofferenze, “svolge il suo servizio con generosità e dedizione, esorta alla vita evangelica, alla pazienza, alla costanza, all’amore fraterno, all’amore per lo Sposo divino per preparare cosi la dote per le nozze eterne”. All’inizio del 1463 le infermità si aggravano: “riunisce le consorelle per annunciare la sua morte e raccomandare l’osservanza della regola”. “Assicura del suo aiuto anche dal cielo” ed entra in agonia, “il suo viso si fa bello e luminoso, pronuncia per tre volte il nome di Cristo” e muore. E’ il 9 marzo 1463. La città di Bologna, nella cappella del monastero del Corpus Domini, custodisce il suo corpo incorrotto. Verrà canonizzata nel 1712.
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