Il volume «Singolarissimo giornale. I 150 anni dell'"Osservatore Romano"»
Il primo «global newspaper»
Nel pomeriggio di giovedì 2 dicembre viene presentato a Roma, nella sede dell'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede a Palazzo Borromeo, il volume Singolarissimo giornale. I 150 anni dell'"Osservatore Romano" (Torino, Umberto Allemandi & C., 2010, pagine 285, euro 30) curato dall'ambasciatore Antonio Zanardi Landi e dal nostro direttore. Alla presenza del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, l'arcivescovo Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato, rivolge un saluto a nome di Papa Benedetto XVI e del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato. Intervengono inoltre il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano, Gianni Letta, il presidente dell'Istituto per gli Studi di Politica Intenazionale, l'ambasciatore Boris Biancheri, e il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi.
Nel libro, attraverso dodici contributi, sono presentati alcuni aspetti della storia del nostro quotidiano che il prossimo 1 ° luglio compirà un secolo e mezzo di vita.
Singolarissimo giornale: così Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, definì nel 1961 "L'Osservatore Romano" in un celebre articolo scritto in occasione del centenario e dedicato alle difficoltà del quotidiano della Santa Sede: "Ma, a bene esaminare le cose, sono queste stesse difficoltà - scriveva il cardinale arcivescovo di Milano, che dal 1937 al 1954 aveva esercitato l'alta direzione sul foglio vaticano - che gli conferiscono tanta dignità nella funzione propria della stampa periodica, tanta autorità e tanta forza. Ne feci io stesso l'esperimento nel triste e drammatico periodo dell'ultima guerra, quando la stampa italiana era imbavagliata da una spietata censura e imbevuta di materiale artefatto. "L'Osservatore" ebbe allora una funzione meravigliosa, non già perché si fosse arrogato compiti nuovi e profittatori, ma perché continuò impavido il suo ufficio d'informatore onesto e libero. Avvenne come quando in una sala si spengono tutte le luci, e ne rimane accesa una sola: tutti gli sguardi si dirigono verso quella rimasta accesa; e per fortuna questa era la luce vaticana, la luce tranquilla e fiammante, alimentata da quella apostolica di Pietro. "L'Osservatore" apparve allora quello che, in sostanza, è sempre: un faro orientatore".
di Franco Frattini
Ministro italiano degli Affari esteri
Il giornalista è condannato a scrivere per i contemporanei, non per i posteri. Compito di un giornale è quello di raccontare ai suoi lettori la quotidianità, consentendo loro di decifrare la complessità degli eventi. Sono regole che valgono anche per "L'Osservatore Romano". Ma i motti unicuique suum e non praevalebunt, impressi sotto la testata, indicano che il foglio ha ben altri orizzonti e ambizioni.
"L'Osservatore" è infatti molto di più di un giornale "romano". Il suo orizzonte è il mondo nella sua interezza, non limitato neanche a quello cattolico. Il racconto e la comprensione degli eventi hanno espresso negli anni una dimensione internazionale, che ha fatto del quotidiano vaticano una voce sempre moderna, mai datata.
Questa capacità di essere al passo con i tempi, talvolta un precursore di importanti tendenze internazionali, è stata la caratteristica del foglio sin dai suoi primi anni di vita, nel xix secolo, quando ancora i partiti, i movimenti politici e i giornali italiani si differenziavano - e si coagulavano - su base regionale con un bacino di lettori molto limitato. Solo alla fine degli anni Settanta dell'Ottocento iniziò a nascere un mercato editoriale nazionale in grado di rivolgersi all'intera penisola. Eppure, in quel clima di divisione politico-ideologica tra laici e cattolici, "L'Osservatore Romano" riuscì a rivolgersi a un pubblico diversificato, confermando quel respiro internazionale che lo rende diverso da altri organi di stampa del panorama editoriale italiano. Una finestra costantemente aperta sul mondo.
La vocazione internazionale è resa ancora più forte da quel particolare rapporto che lega Roma alle capitali mondiali. Un legame simbolico, culturale e religioso fortissimo che non si è mai attenuato, anche quando in Italia la democrazia è stata soppiantata dal regime fascista. Anzi, fu proprio in quel periodo che "L'Osservatore Romano" acquisì una grande visibilità internazionale e un particolare prestigio su scala mondiale.
Gli anni Trenta del Novecento rappresentarono una stagione straordinaria per "L'Osservatore Romano". Il giornale divenne un vero e proprio punto di riferimento per i giornalisti di tutto il mondo che seguivano le notizie e i commenti proposti dal quotidiano vaticano. Quest'ultimo, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, acquisì ancor più importanza perché a esso provenivano informazioni dagli ambienti diplomatici di tutti gli Stati accreditati presso la Santa Sede. Con l'avvio delle ostilità, le maglie della censura giornalistica si strinsero ulteriormente e la lettura dell'"Osservatore Romano" diventò un appuntamento indispensabile per chiunque volesse comprendere quello che stava accadendo nel mondo e non volesse subire la propaganda dei totalitarismi. Era il giornale di Guido Gonella, con la sua rubrica di informazione internazionale, "Acta diurna", e di Alcide De Gasperi, che allora lavorava come addetto della Biblioteca Vaticana in una sorta di esilio forzato, collaborando con "L'Illustrazione Vaticana".
"L'Osservatore" ha saputo essere anche anticonformista nei decenni della Guerra fredda, della decolonizzazione e della secolarizzazione. Tanta dignità, tanta autorità e tanta forza - per riprendere le parole usate dal cardinale Montini in un celebre articolo - anche nel suo essere scomodo, nel coraggio di demistificare le mode del momento. E nella sua innata propensione alla sperimentazione: primo, vero global newspaper nella storia del giornalismo, pubblicato in otto lingue e con le sue edizioni periodiche che raggiungono oltre centocinquanta Paesi. È il giornale che più di ogni altro, per intima vocazione, è riuscito a rappresentare con disincanto e fedeltà quella globalizzazione che tanti media inseguono con affanno quotidiano.
Internazionale per impostazione, per contenuti e per diffusione, "L'Osservatore Romano" ha raccontato le grandi trame di politica estera degli ultimi centocinquant'anni senza esimersi dal fornire giudizi politici e, soprattutto, senza rimanere imbavagliato in quella prospettiva provinciale e localistica che continua a contraddistinguere parte della stampa italiana.
Nessuna testata al mondo mette sistematicamente al primo posto l'informazione internazionale. Nessuna, tranne "L'Osservatore Romano". Ieri non poteva prescinderne chi voleva divincolarsi dai tentacoli di tante ideologie. Oggi non può farne a meno il professionista che, a qualsiasi titolo, necessiti di comprendere la realtà globale.
Non sorprende quindi l'elogio che nel 2008 il "Wall Street Journal" tributò all'audacia dell'attuale e modernissima linea editoriale dell'"Osservatore Romano". Piace leggere in quell'omaggio la razionale ammirazione di professionisti del ramo. Ciascuno nel suo alveo, ma dediti a esercitare con passione e competenza il difficile mestiere di avvicinare il mondo ai suoi cittadini. Unicuique suum, per l'appunto.
(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2010)
Un giornale universale
di Gianni Letta
Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano
In questi centocinquant'anni di pubblicazioni, "L'Osservatore Romano" è stato, senza dubbio, un giornale speciale. Un giornale che si è sempre contraddistinto per il taglio originale della sua informazione, per avere, da un certo momento in poi, un editore molto particolare e, infine, per rivolgersi a un pubblico non circoscritto a un'area geografica o a un'appartenenza politica. Gli orizzonti culturali e politici del giornale, infatti, hanno superato, nel corso del tempo, i ristretti confini dell'Italia e il periodico ha avuto l'ambizione di trasformarsi in un giornale universale e quindi cattolico nel significato più letterale e ampio del termine. D'altra parte, è un fatto storico rilevante che nella seconda parte del Novecento esso si sia dotato, oltre alla tradizionale edizione quotidiana in lingua italiana, di ben altre sette pubblicazioni settimanali in diverse lingue (italiano, spagnolo, francese, inglese, portoghese, tedesco, malayalam) e di una edizione mensile in polacco.
"L'Osservatore Romano" è sempre stato un giornale di piccole dimensioni, se confrontato con le strutture dei grandi media internazionali, ma nel corso degli anni è riuscito ad abbracciare il mondo intero con un'autorità e un'autorevolezza senza molti termini di paragone. Probabilmente risiedono in queste due caratteristiche, la sua vocazione universale e il suo prestigio, le grandi risorse del periodico della Santa Sede che è, a tutt'oggi, uno dei giornali più noti al mondo. La foliazione limitata e la bassa tiratura di copie, infatti, non hanno mai inciso sulla qualità delle notizie e sulla capacità di penetrazione nei grandi fatti che hanno coinvolto l'opinione pubblica mondiale.
Nel corso degli anni, il giornale ha perso l'iniziale verve polemica, che scaturiva da quella particolare temperie politico-culturale che aveva portato alla proclamazione del Regno d'Italia, e ha saputo combinare l'ufficialità del proprio ruolo - fornendo, per esempio, l'elenco delle udienze, delle nomine pontificie e dei comunicati riguardanti l'attività del Papa e della Santa Sede - con la narrazione di quegli eventi internazionali che hanno coinvolto le regioni più sconosciute del pianeta, anche quelle più remote e che non sono mai entrate a far parte dell'agenda pubblica dei grandi capi di Stato. Da questo punto di vista, si potrebbe dire che con la sua tradizionale attenzione a ogni angolo della Terra, "L'Osservatore Romano" abbia anticipato di molti decenni quel giornalismo internazionale, oggi molto in voga, che si è sviluppato di pari passo con l'emergere di quel complesso fenomeno sociopolitico che è la globalizzazione. Le notizie di politica estera e le pagine culturali dell'"Osservatore Romano" sono, per molti aspetti, dei casi di scuola, degli esempi di giornalismo sul campo e sempre pronto alla riflessione e alla curiosità intellettuale.
Il crisma dell'ufficialità pontificia e la vocazione universale, però, se da un lato hanno fornito quella dimensione di autorevolezza e notorietà che abbiamo detto, dall'altro lato non hanno certamente reso facile il ruolo dei direttori che si sono succeduti in questi decenni. E infatti, nel 1961, in occasione del primo centenario della nascita del quotidiano, l'allora cardinale Montini, futuro Paolo VI, non esitò a sottolineare, con un pizzico di ironia, come "L'Osservatore Romano" fosse un giornale difficilissimo da comporre perché doveva tenere assieme le esigenze particolari del Vaticano con i limitati mezzi a disposizione. Nonostante questa precarietà di mezzi tecnici non si può non sottolineare, però, come le personalità che si sono alternate alla direzione del quotidiano abbiano saputo guidare con una mano ferma il giornale tra i marosi dell'ultimo scorcio dell'Ottocento e gli sconvolgimenti del xx secolo.
Anche per questi motivi, "L'Osservatore Romano" rappresenta una fonte di indiscusso valore storico e, sotto molti aspetti, un documento insostituibile per tutti quegli studiosi che si avvicinano alla storia della Chiesa in età contemporanea. E questo per almeno tre motivi. Innanzitutto, perché permette di comprendere, da un angolo visuale originale, l'evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiesa e alcune dinamiche interne al mondo ecclesiale che, nella maggior parte dei casi, non sono state raccontate da nessun altro organo di stampa. Una riflessione sul giornale della Santa Sede, quindi, non è utile soltanto per analizzare come "il Vaticano racconta se stesso", ma per capire le grandi direttrici politiche e spirituali che si sono alternate nel corso di centocinquant'anni di storia; in secondo luogo, per comprendere, su un piano storico-culturale di ampio respiro, tutti gli influssi culturali che hanno influenzato la linea del giornale, le élite intellettuali che direttamente lo hanno ispirato e i maggiori dibattiti che lo hanno contraddistinto. Sul giornale vaticano, infatti, hanno scritto intellettuali e giornalisti di primo piano, cristiani appassionati, esponenti importanti del mondo cattolico e direttori che hanno contribuito a scrivere la storia del giornalismo come, per esempio, Giuseppe Dalla Torre, che lo ha diretto per quarant'anni dal 1920 al 1960, o Raimondo Manzini, che lo ha firmato nel periodo successivo, dal 1960 al 1978. E accanto a essi non si può non sottolineare l'impegno giornalistico di uno dei più importanti statisti dell'Italia moderna come Alcide De Gasperi, oppure la notissima rubrica di Guido Gonella, "Acta diurna".
Infine, ma non ultimo per importanza, riflettere sulla storia di questo giornale può essere estremamente utile per analizzare come la Santa Sede si è proiettata nel mondo e ha incarnato quel richiamo ineluttabile alla diffusione del messaggio evangelico.
Naturalmente, cambiando i direttori cambia l'orizzonte culturale di riferimento e possono mutare le opinioni su un determinato evento storico. Tuttavia ciò che non è mai cambiato nella storia dell'"Osservatore Romano" è l'autorevolezza che il giornale è riuscito a incarnare. Un'autorevolezza che, anche nell'epoca segnata dalla velocità di Internet, non è mai venuta meno.
E quell'inconfondibile uscita pomeridiana, anche se può sembrare una desueta reminiscenza del passato, continua ad attribuirgli un fascino particolare che solo un giornale con centocinquant'anni di storia può possedere.
(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2010)
Com'è nato questo libro
di Antonio Zanardi Landi
Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede
L'idea di pubblicare un volume per i centocinquant'anni dell'"Osservatore Romano" è nata da una conversazione tra me e il direttore del giornale, Giovanni Maria Vian, e dall'approssimarsi dell'anniversario della fondazione del quotidiano, che coincide con le celebrazioni per il centocinquantesimo dell'unità d'Italia.
È ben vero che "L'Osservatore Romano" nacque contro l'unità d'Italia e contro i suoi principali artefici. Constatazione questa che non ci ha tuttavia spaventato né distolto da quello che appariva un progetto con molte potenzialità, anche perché nel corso di questo secolo e mezzo il giornale ha subito un cambiamento fondamentale: da elemento di contrapposizione nei confronti della nascita dello Stato nazionale, si è progressivamente imposto come una voce importante e nuova nell'informazione in lingua italiana e nel dibattito culturale del nostro Paese.
D'altro canto, la progressiva trasformazione dell'"Osservatore Romano" riflette anche un'altrettanto importante maturazione del rapporto tra cattolici e laici in Italia, come ha evidenziato il Capo dello Stato nell'intervento pronunciato in occasione della cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria di Roma: "A noi naturalmente non sfugge come l'approccio cavouriano, ispirato al principio della "libera Chiesa in libero Stato", non valse a scongiurare una fatale contrapposizione che si protrasse per decenni, a dispetto di molteplici tentativi di riconciliazione e discreto negoziato, e proprio qui, nella capitale, si tradusse, in varie occasioni, a successive scadenze (compresa quella del cinquantenario dell'Unità, nel 1911), in clamorosi episodi di tensione tra Stato e Chiesa, tra Quirinale e Vaticano. Ma sappiamo quanta acqua sia passata da allora sotto i ponti del Tevere, quale significato e incidenza abbiano avuto i Patti Lateranensi del 1929 e la necessaria e lungimirante rivisitazione del Concordato nel 1984, e come oggi, nell'avvicinarsi al 15o° anniversario della nascita del nostro Stato nazionale, nessuna ombra pesi sull'unità d'Italia che venga dai rapporti tra laici e cattolici, tra istituzioni dello Stato repubblicano e istituzioni della Chiesa Cattolica, venendone piuttosto conforto e sostegno".
Questo libro contiene saggi inediti che alcuni tra gli storici italiani di maggior peso hanno voluto scrivere per raccontare quello che "L'Osservatore Romano" ha rappresentato in questo secolo e mezzo.
Da parte mia, in questi tre anni in cui ho ricoperto il ruolo di Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, ho potuto constatare un ulteriore sforzo di rinnovamento del quotidiano, che si è rivelato sin dal mio primo giorno di lavoro a Palazzo Borromeo un indispensabile strumento di conoscenza, e spesso una vera e propria cartina di tornasole per una migliore comprensione della vita della Chiesa, ma anche della realtà internazionale. Ho potuto inoltre assistere in questi anni, al di là dell'importante ampliamento delle pagine culturali del giornale, a una viva e acuta attenzione agli equilibri politici, economici e sociali del nostro Paese. Un interesse e un riguardo particolari sono riservati al Presidente della Repubblica. La cura con cui sono puntualmente riportate, nelle prime pagine del quotidiano, le visite all'estero e gli interventi del Capo dello Stato sono, d'altro canto, un riflesso dello speciale rapporto che lega Benedetto XVI e il Presidente Napolitano, ben evidenziato dal saggio di Carlo Cardia. Ampio spazio è stato d'altronde riservato alle iniziative del Governo italiano e del Ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, in particolare in tema di tutela della libertà di religione e dei diritti delle minoranze cristiane ovunque questi siano minacciati o violati.
Giovanni Maria Vian e io siamo peraltro consapevoli che questo libro non può essere considerato che un avvio per una ricerca ancor più approfondita e completa sulla vita e l'impatto avuto dal giornale nel dibattito culturale e politico in Italia.
(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2010)
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1 commento:
Come se le ciucciano queste ricorrenze...Filoni,Ravasi,letta,frattini,napolitano.
La realtà è che il giornale ha fatto il suo tempo ed è superato da Internet...
Inoltre è sempre in passivo.
Fino a quando dovremo continuare a pagare i suoi debiti?
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