Il Vaticano critica Wikileaks ma per bacchettare Obama
di Redazione
La Santa Sede: di estrema gravità pubblicare documenti riservati Uno fonte vicina al Papa: emerge che nel mondo la Chiesa conta molto. La numero due dell’ambasciata Usa a San Pietro boccia la Curia: è italocentrica. Gli Stati Uniti costretti a correre ai ripari con una nota dell’ambasciatore Díaz. Bertone: "Yes man del Pontefice? Ne vado orgoglioso"
La Santa Sede considera di «estrema gravità» la pubblicazione da parte di Wikileaks dei documenti confindenziali dell’Ambasciata Usa presso il Vaticano. «Senza entrare nella valutazione dell’estrema gravità della pubblicazione di una grande quantità di documenti riservati e confidenziali e delle sue possibili conseguenze», si legge in un comunicato della Sala Stampa vaticana, si fa osservare come i rapporti inviati al Dipartimento di Stato dall’Ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede riflettano «le percezioni e le opinioni di coloro che li hanno redatti, e non possono essere considerati espressione della stessa Santa Sede né citazioni precise delle parole dei suoi officiali. La loro attendibilità va quindi valutata con riserva e con molta prudenza, tenendo conto di tale circostanza».
Se fino a ieri i rapporti tra Vaticano e Stati Uniti potevano dirsi discreti - anche se meno buoni che all’epoca della presidenza Bush - oggi si percepisce un certo imbarazzo. Imbarazzo per le persone citate nei cablogrammi confidenziali, dai quali traspaiono giudizi negativi sul governo curiale, riserve sull’operato del Segretario di Stato Tarcisio Bertone, critiche al sistema di comunicazione della Santa Sede.
La numero due dell’ambasciata americana presso il Vaticano, Julieta Valls Noyes, scrive che quella romana è «Curia italo-centrica» e «obsoleta».
Il principale collaboratore di Benedetto XVI, il cardinale Bertone, viene definito come uno notorio «yes man», che è al digiuno di ogni esperienza diplomatica: «parla solo italiano, per esempio». A dire il vero Bertone parla francese e spagnolo, ma l’Ambasciata Usa non gli perdona di non parlare inglese.
Nei file di Wikileaks si legge ancora che «Bertone ha uno stile personale pastorale che lo porta spesso fuori Roma, a occuparsi di problemi spirituali invece che della politica estera e del governo». E anche qui non si vede quale sia la novità: Bertone non proviene dalla carriera della diplomazia pontificia, e questo era ben noto a Papa Ratzinger nel momento in cui l’ha scelto. Così come è noto che al cardinale non dispiaccia viaggiare spesso. Ma mai in incognito ed evidentemente con il consenso del Pontefice, che potrebbe chiedergli di smettere in ogni momento. Nel documento si parla delle voci che chiedono «la destituzione» di Bertone e anche in questo caso si tratta del segreto di Pulcinella, dato queste richieste, giunte anche da parte di illustri porporati, sono state riportate da più di un giornale, anche se Benedetto XVI le ha considerate irricevibili, decidendo invece di rinnovare la fiducia al suo collaboratore.
Nulla di nuovo sotto il sole anche per ciò che riguarda i ben noti problemi di comunicazione della Santa Sede. In un cablogramma dell’ambasciata Usa si dice che il direttore della Sala Stampa vaticana «ha il Blackberry ma non l’accesso al Papa», e che «non fa parte del circolo degli intimi del Papa e non ha alcuna influenza sulle principali decisioni, non dà forma ai messaggi, solo si limita a trasmetterli». Tutto piuttosto noto. Che la comunicazione vaticana non funzioni a dovere, non è un mistero e da anni è ormai questione dibattuta dalla stampa mondiale.
Ma la frase forse più significativa è questa: «Il Papa a volte irrita politici e giornalisti facendo ciò che pensa sia meglio per la Chiesa». Che il Papa si comporti così, senza tener troppo conto di politici e giornalisti andrebbe considerato piuttosto un buon segno.
Non si leggono particolari rivelazioni nemmeno per quanto riguarda lo scandalo pedofilia: il fatto che il Vaticano si sia inizialmente rifiutato di collaborare con il governo irlandese che stava promuovendo le inchieste sui preti pedofili, è stato determinato dal mancato rispetto da parte delle stesse autorità irlandesi dei necessari passi diplomatici. Come pure il fatto che nel 2002 l’allora Segretario di Stato Angelo Sodano abbia protestato con gli Stati Uniti per il moltiplicarsi di cause giudiziarie aggressive per i casi di pedofilia, non era stato determinato dalle inchieste in sé, ma dal fatto che gli avvocati pretendevano di chiamare sempre in causa direttamente la Santa Sede, e non i vescovi responsabili di sottovalutazioni ed eventuali insabbiamenti.
Insomma, nelle comunicazioni confidenziali ci sono molti pareri raccolti qua e là, giudizi già noti e per nulla riservati. Ma a uscire a pezzi dai documenti di Wikileaks non è tanto la diplomazia vaticana quanto piuttosto quella degli Stati Uniti. Che ha fallito clamorosamente, dato che questi documenti sono potuti diventare pubblici.
Ieri l’ambasciatore americano presso la Santa Sede Miguel H. Díaz è corso ai ripari con una dichiarazione che sottolinea gli impegni comuni degli Usa e del Vaticano. Ma Oltretevere l’impressione è un po’ diversa: «Con l’amministrazione Obama non c’è una grande collaborazione su ciò che per noi è essenziale - confida al Giornale uno stretto collaboratore del Pontefice -, dalla difesa dei cristiani perseguitati ai temi della vita e della famiglia». Ma nei sacri palazzi invitano a leggere bene tutti i documenti di Wikileaks: «Al di là di qualche battuta e di qualche giudizio, emerge bene che la Santa Sede fa veramente diplomazia, ed è un vero global player sulla scena mondiale».
© Copyright Il Giornale, 12 dicembre 2010 consultabile online anche qui.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento