Da papabili a prefetti. La successione del cardinale Rodé ai “religiosi” è affare tra teste di serie
di Paolo Rodari
Un gesuita o un salesiano? Sembra essere questo il dilemma di Benedetto XVI chiamato, assieme al cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone, a scegliere il successore del prefetto del “ministero” vaticano dedicato agli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. L’attuale prefetto della Congregazione, infatti, lo sloveno Franc Rodé, è già da oltre un anno in età pensionabile e dovrebbe lasciare nelle prossime settimane.
La scelta al momento sembra essere tra due pezzi da novanta del collegio cardinalizio, due nomi che nello scorso Conclave rappresentarono un’alternativa reale all’elezione di Joseph Ratzinger. L’alternativa targata America latina: il cardinale Jorge Mario Bergoglio, argentino, gesuita, arcivescovo di Buenos Aires, e il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, honduregno, salesiano, arcivescovo di Tegucicalpa.
Bergoglio è una figura atipica nel panorama ecclesiastico sudamericano. Schivo, riservato, ascetico, stupì tutti quando nel 2002 respinse l’elezione, poi accettata nel 2005, alla presidenza della Conferenza episcopale argentina. Si dice che nell’ultimo Conclave Bergoglio sia stata l’unica reale alternativa a Ratzinger e che su di lui sarebbero confluiti diversi voti dell’area di stampo più progressista. Ma ciò non significa che Bergoglio sia assimilabile a una particolare corrente. Basti pensare che la sua ascesa in seno all’episcopato argentino ha avuto inizio proprio nel momento in cui, da provinciale della Compagnia di Gesù, si distaccò da quei suoi confratelli tentati di prendere le strade della teologia della liberazione.
Maradiaga ha dei salesiani il temperamento missionario. Sangue indio nelle vene, è stato per diverso tempo presidente del Celam, la superconferenza degli episcopati latinoamericani. Oggi è fortemente impegnato nelle iniziative sociali. Non a caso è lui a reggere dal 2007 la presidenza della Caritas Internationalis.
Al vaglio, ovviamente, ci sono anche altre ipotesi. Una è quella del vescovo “pellerossa” Charles Chaput. Nato in una famiglia contadina del Kansas, appartiene a una tribù pellerossa, la Prairie Band Potawatomi. E’ francescano dell’ordine dei cappuccini. Oggi è vescovo a Denver. Tra l’episcopato statunitense è una delle voci più coraggiose. Scrive su diverse riviste, tra cui la teocon First Things. Nel 2008 un suo libro, “Render Unto Caesar”, fece scalpore. La tesi era questa: è giusto dare a Cesare quel che gli spetta. Ma si serve la nazione vivendo la propria fede cattolica nella vita politica. Su di lui il Vaticano ha gli occhi da tempo. Anche se c’è chi sostiene che Roma non sia nei suoi destini immediati. Per lui sarebbe pronta la diocesi di Chicago, appena il cardinale Francis George lascerà.
Pubblicato sul Foglio mercoledì 8 dicembre 2010
© Copyright Il Foglio, 8 dicembre 2010 consultabile online anche qui.
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