Ragionevolezza e ricerca della verità in un tempo di crisi: riflessioni sul discorso del Papa alla Curia Romana
Ha destato ampia eco il discorso del Papa, ieri alla Curia Romana, incentrato sui grandi temi che hanno caratterizzato la vita della Chiesa nell’anno che si va a concludere. Un intervento che approfondiremo, oggi e nei prossimi giorni, con interviste sui punti forti sviluppati dal Papa. All’inizio del suo articolato discorso, Benedetto XVI ha paragonato il tempo in cui viviamo al periodo del tramonto dell’Impero romano. Un’analogia originale sulla quale si sofferma il filosofo Vittorio Possenti, docente all’Università di Venezia, intervistato da Alessandro Gisotti:
R. – Mi pare che il punto di collegamento venga fatto dal Pontefice stesso attraverso una annotazione importante, cioè il disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamento morali di fondo: questo potrebbe essere il punto di collegamento tra la situazione attuale dell’Occidente e quella crisi lunga che portò poi al disfacimento dell’Impero romano. Mi pare che il Papa centri la sua diagnosi su questo aspetto che è certamente fondamentale, perché per quanto riguarda la crisi dell’Occidente vorrei ricordare un discorso tenuto a Roma nella metà del maggio 2004, quando il Papa – già allora, da cardinale, da teologo – ricordava il venir meno della forza vitale in Occidente. La civiltà occidentale, pur così potente – tecnicamente e finanziariamente – era considerata dal teologo Ratzinger come intimamente debole per mancanza di una spinta vitale. Tutto questo comporta una crisi spirituale e culturale dell’Occidente molto profonda, che va contrastata con i mezzi propri della cultura, della teologia, della spiritualità, della preghiera.
D. – Un termine che ricorre in questo discorso e che è, anzi, una delle cifre del Pontificato di Benedetto XVI è “ragionevolezza”. Il Papa sottolinea che questa ragionevolezza è in realtà in contrasto, in collisione con una mera razionalità finalistica, che anzi – il Papa dice – è l’accecamento della ragione…
R. – Questo è un aspetto vitale, in quanto noi in Occidente, sedotti dall’abbondanza e dalla ricchezza delle scoperte tecnico-scientifiche, impieghiamo la ragione in senso strumentale, come qualcosa che ci possa procurare sempre maggiori strumenti di benessere e di conquista della natura. Ma oltre alla ragione strumentale, prima ancora c’è una ragione in qualche modo “rivelativa” dell’essere e del bene ed è questa di cui manchiamo, quella che sta alla base della conoscenza morale. Il Papa ha ricordato più volte la possibilità dell’esistenza di verità morali, che sono vere in se stesse. Detto in altre parole: che esiste un bene in sé e un male in sé, cose che sono intrinsecamente buone e cose che sono intrinsecamente cattive.
D. – In questo discorso, il Papa indica anche un modello da seguire, e cioè il Beato John Henry Newman. In particolare, il Pontefice ricorda come in Newman la coscienza significhi la capacità di verità dell’uomo, un qualcosa decisamente in controtendenza, rispetto alle convinzioni relative alla coscienza del tempo in cui viviamo, come dominio e supremazia del soggetto, dell’individuo…
R. – In effetti, il significato principale della coscienza morale umana è che tanto il bene quanto il male sono conoscibili dall’uomo, per cui i giudizi di valore morale non sono espressioni solo di emozioni, di passioni e sentimenti che cambiano da persona a persona. Noi abbiamo un’esperienza morale e una conoscenza morale che ci conduce verso il bene e verso il male. (gf)
Una parte importante del discorso è stata dedicata dal Papa al Sinodo delle Chiese del Medio Oriente. Il Pontefice ha levato un accorato appello per fermare la cristianofobia nel mondo. Su questo appello, Fabio Colagrande, ha raccolto la riflessione del padre gesuita, Samir Khalil Samir, docente all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma:
R. – C’è un fatto: che se i cristiani hanno chiesto un Sinodo per il Medio Oriente è a causa dell’emigrazione fortissima dei cristiani dall'area, dovuta in parte all’aumento della violenza islamica nella regione. Allora lui aveva già accennato al problema a Ratisbona: che la violenza è incompatibile con la religione e con Dio. Quindi, ha ripreso il Consigliere del muftì sunnita della Repubblica del Libano, che giustamente aveva detto questa frase: “Con il ferimento dei cristiani, veniamo feriti noi musulmani stessi”. Però, il Papa commenta che, purtroppo, questa e analoghe voci della ragione sono troppo deboli. Ed è questo il punto: se vogliamo lottare contro il terrorismo, non possiamo farlo soltanto a livello militare. Il livello è ideologico: contro questo, qual è la soluzione? Il Papa la indica subito dopo: il Sinodo, afferma, ha sviluppato, nella sua ragionevolezza, un grande concetto del dialogo, del perdono e dell’accoglienza vicendevole.
D. – Padre Samir, mi sembra un’idea, questa, che va oltre la semplice difesa della minoranza cristiana…
R. – Certo, parla di “cristianofobia”: è consapevole del fatto che tutto si concentra spesso contro i cristiani, probabilmente perché sono proprio loro che difendono questa ragionevolezza di fronte alla violenza. Ma è un principio per l’umanità intera, per il credente come per il laico, per tutti. E mi pare che sia lo scopo per allargare allo spirito del Natale, per dire: partendo da questa esperienza del Medio Oriente e del Sinodo, vogliamo portare lo spirito della riconciliazione, perché si alzino a difendere i profughi, i sofferenti e a rivitalizzare lo spirito della riconciliazione. (gf)
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