Wikileaks e il totopapa
di Filippo Di Giacomo
A metà aprile del 2005, mentre la Chiesa viveva i giorni del lutto per la morte di Giovanni Paolo II, all’ambasciata americana di Roma si batteva la fiacca.
Marco Tosatti, vaticanista de la Stampa, lo ha fatto spiritosamente notare sul suo blog: era lui, una delle “fonti” delle relazioni che i diplomatici di Via Veneto inviavano a Washington, e che Wikileaks ha ora messo in rete. Scoprirlo, non era poi difficile già che le notizie, agli americani e a chiunque avesse tempo e voglia di leggerle, il buon Marco le forniva pubblicandole sul suo quotidiano. Luigi Accattoli, altro giornalista che la corrispondenza diplomatica spacciava come “nostra fonte”, legge le presunte “notizie segrete” e annota sul suo blog: «Era ciò che io scrivevo - ma con una prosa migliore - sul Corriere della Sera». A onor del vero, nelle penne degli americani a Roma è facile riconoscere stralci e riassunti, spesso distorti, di quanto nella stessa epoca scrivevano Giancarlo Zizola e Marco Politi sul Sole 24 Ore e su Repubblica. Se ne deduce che per redigere le note della loro quotidiana corrispondenza diplomatica, croce e delizia degli addetti d’ambasciata, a Via Veneto venissero scelti solo articoli dei migliori vaticanisti romani.
Scelta “prudente”, ma non completa. Infatti, sul web, è ancora possibile reperire tracce di osservatori meno titolati ma altrettanto arguti che, negli stessi giorni, analizzavano le cose con lucidità. Solo un esempio, scriveva Arnaldo Casali, su Adesso on line, sito cattolico legato al network Reteblu: «Mentre comincio a scrivere, Joseph Ratzinger ha appena finito la sua omelia nella messa Pro Eligendo che in questa mattina di lunedì 18 aprile, apre di fatto i lavori del Conclave.
Joseph Ratzinger, l’unico che se eletto Papa non ci riserverebbe nessuna sorpresa. Del suo programma sappiamo già tutto...
Rifiuto del relativismo imperante del mondo. Quindi un più profondo attaccamento alla dottrina, alla tradizione della Chiesa. Quello di Ratzinger non sarebbe un pontificato conservatore, nel senso più stretto del termine... sarebbe un papato riformatore, ma riformatore come Gregorio VII. La sua sarebbe una Chiesa meno potente sotto un profilo politico-economico, ma più “pura” sotto quello morale e dottrinale. Il motto della Chiesa di Ratzinger potrebbe essere “Pochi ma buoni”... la Chiesa ratzingeriana sarebbe molto più piccola, ma anche più forte. Sarebbe “altra” rispetto al “Secolo” e si porrebbe come punto di riferimento per chi rifiuta il sistema di valori dominante nel mondo».
Chi si occupa di informazione religiosa sa che in Vaticano, almeno un paio di cose si fanno ma non si dicono. La prima è il totopapa, sport che nell’epoca wojtylana è stato praticato nei sacri palazzi dal 1993, anche se agli americani non è stato spiegato che questo è un esercizio che porta male. Rileggendo poi le previsioni fatte dalla stampa, anche straniera (le note diplomatiche di Via Veneto le riecheggiano tutte) come probabili successori di Giovanni Paolo II venivano indicati solo papabili con tante qualità tranne una: la buona salute. Stiamo parlando dell’inglese Hume, dell’americano Bernardin, del brasiliano Neves Moreira, del francese Billé.
La seconda cosa che in Vaticano è lecito solo pensare, è come si organizzano i partiti del conclave. Chiedere ad un cardinale a quale partito conclavista appartenga, per un giornalista equivale ad un’iscrizione definitiva nella lista della perpetua proscrizione. Talvolta però le loro eminenze fanno anche manifesti programmatici. Quello più famoso, ai tempi di Giovanni Paolo II datato 1996 è stato reso pubblico con una conferenza di John Rafael Quinn, ex arcivescovo di San Francisco, all’Università di Oxford.
La tesi era questa: il Concilio Vaticano II non è ancora entrato a regime per il riemergere del potere della Curia in una nuova forma. È diventato cioè un filtro impropriamente interposto tra ufficio papale e vescovi, in un ruolo che, a causa delle vicende esistenziali di Giovanni Paolo II, si è dilatato in modo improprio.
I mezzi di comunicazione misero la corrente conciliarista alla “sinistra” dello schieramento in porpora, solo perché il capofila sembrava essere il carismatico e progressista Martini.
In realtà, di sinistro e di sinistra la corrente non aveva nulla, già che nel concistoro del 2001, sesto dell’era wojtylana, alcuni cardinali (presunti Pope’s maker come gli italiani Silvestrini e Laghi, il belga Danneels e il brasiliano Lorscheider) non riuscirono a coagulare nemmeno in piccola parte il consenso dei 155 partecipanti su una proposta precisa: rinvigorire le forme di governo collegiale.
L’unico confratello che prestò all’argomento tutta l’attenzione che meritava si chiamava Joseph Ratzinger. E quattro anni dopo, non diventò certo Papa per caso.
© Copyright L'Unità, 1° dicembre 2010 consultabile online anche qui.
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