Benedetto XVI ordina cinque vescovi: siate intrepidi annunciatori della verità di Dio, non servi dello spirito del tempo
“Gettare la rete del Vangelo nel mare agitato del nostro tempo” per tirare fuori gli uomini “dalle acque saline della morte”: quelle di un mondo che nega Dio. Nella cornice solenne dell’Altare della Cattedra, nella Basilica San Pietro, Benedetto XVI ha lasciato questa consegna spirituale ai cinque nuovi vescovi da lui stesso ordinati questa mattina. Il Papa ha invitato i neo presuli a curare i quattro fondamenti sui quali da duemila anni si regge la comunità cristiana: la perseveranza nell’insegnamento degli Apostoli, la comunione, l’Eucaristia e la preghiera. La cronaca della celebrazione nel servizio di Alessandro De Carolis:
Un vescovo, nel momento in cui sul suo capo Dio pone le sue mani, assume un compito chiaro: quello di liberare l’uomo “dalla povertà di verità”, donandogli quella di Cristo, e di non essere mai, in nessun caso, un “servo dello spirito del tempo”. È un contrasto vivido quello che Benedetto XVI disegna gradualmente al cospetto dei quattro sacerdoti che di lì a poco consacrerà vescovi: il cinese Savio Hon Tai-Fai, lo spagnolo Celso Morga Iruzubieta, il venezuelano Edgar Peña Parra e i due italiani Marcello Bartolucci e Antonio Guido Filippazzi. Il vostro primo compito, ha detto loro, è quello di entrare “nel campo della storia umana”, il campo dove si lavora per la messe di Dio, la cui luce l’umanità oggi spesso rifugge:
“La messe è abbondante” – anche oggi, proprio oggi. Anche se può sembrare che grandi parti del mondo moderno, degli uomini di oggi, volgano le spalle a Dio e ritengano la fede una cosa del passato – esiste tuttavia l’anelito che finalmente vengano stabiliti la giustizia, l’amore, la pace (...) È la nostalgia del Redentore, di Dio stesso, anche lì dove Egli viene negato (...) Al tempo stesso il Signore ci lascia capire che non possiamo essere semplicemente noi da soli a mandare operai nella sua messe; che non è una questione di management, della nostra propria capacità organizzativa”.
Un “grande compito”, quindi, che Benedetto XVI declina nei “quattro elementi portanti”, come li chiama, sui quali prese forma la prima comunità cristiana, divenendo modello per le successive. Il primo, ha ricordato, è la “perseveranza”, nell’insegnamento degli Apostoli, cioè in una fede che “non è una spiritualità indeterminata”, ma ha un contenuto concreto” immune da condizionamenti:
“Il Pastore non deve essere una canna di palude che si piega secondo il soffio del vento, un servo dello spirito del tempo. L’essere intrepido, il coraggio di opporsi alle correnti del momento appartiene in modo essenziale al compito del Pastore. Non deve essere una canna di palude, bensì (… ) deve essere come un albero che ha radici profonde nelle quali sta saldo e ben fondato. Ciò non ha niente a che fare con la rigidità o l’inflessibilità. Solo dove c’è stabilità c’è anche crescita”.
Secondo pilastro dell’esistenza ecclesiale è la “comunione”, quella “catena” che lega i cristiani a chi prima di loro ha conosciuto e materialmente toccato Dio, attraverso Gesù. Una catena di testimoni che proprio la successione apostolica deve mantenere unita:
“Voi, cari Confratelli, avete la missione di conservare questa comunione cattolica. Sapete che il Signore ha incaricato San Pietro e i suoi successori di essere il centro di tale comunione, i garanti dello stare nella totalità della comunione apostolica e della sua fede. Offrite il vostro aiuto perché rimanga viva la gioia per la grande unità della Chiesa, per la comunione di tutti i luoghi e i tempi, per la comunione della fede che abbraccia il cielo e la terra”.
Ciò che la prima comunità cristiana aveva subito compreso era che essa poteva sentirsi tale solo attorno “allo spezzare del pane”. Da lì l’Eucaristia, ha ripetuto Benedetto XVI, è divenuta il “centro della Chiesa”. Deve esserlo dei sacerdoti quanto di ogni singola persona di fede:
“Spezzare il pane – con ciò è espresso insieme anche il condividere, il trasmettere il nostro amore agli altri. La dimensione sociale, il condividere non è un’appendice morale che s’aggiunge all’Eucaristia, ma è parte di essa. (…) Stiamo attenti che la fede si esprima sempre nell’amore e nella giustizia degli uni verso gli altri e che la nostra prassi sociale sia ispirata dalla fede; che la fede sia vissuta nell’amore”.
Infine, quarto cardine, la preghiera. Sia personale e intensa, ha raccomandato il Papa – una “lotta” con Dio, una “ricerca”, e insieme una lode. Perché solo nella profondità dell’anima si trova l’altezza, la “misura alta” della vita.
L’omelia si dissolve sulle fisionomie dei cinque nuovi pastori, su quel loro volo, “voglio”, ripetuto nove volte a suggello di altrettanti impegni. Sulle loro figure prone a terra mentre le litanie cercano il cielo, sulle mani di Benedetto XVI che si posano in preghiera sulla loro testa e poi sul libro del Vangelo, poggiato su coloro che sono stati unti come nuovi pilastri della fede. E mentre la consegna dell’anello, della mitra e del pastorale rendono più netta per ciascuno la nuova dignità che li riveste, i loro volti sembrano riflettere l’ultima consegna del Papa:
“Siete chiamati a gettare la rete del Vangelo nel mare agitato di questo tempo per ottenere l’adesione degli uomini a Cristo; per tirarli fuori, per così dire, dalle acque saline della morte e dal buio nel quale la luce del cielo non penetra. Dovete portarli sulla terra della vita, nella comunione con Gesù Cristo”.
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