Gli ottant’anni di Don Camillo "l’animale politico" della Chiesa
di Andrea Tornielli
Compirà ottant’anni sabato prossimo il «cardinal sottile» della politica italiana, Camillo Ruini. Ha lasciato la presidenza della Cei nel 2007, il Vicariato di Roma nel 2008, e ora, insieme al diritto di ingresso in un futuro conclave, perderà pure il posto di membro della Congregazione dei vescovi che «fabbrica» le nuove gerarchie ecclesiali. Eppure don Camillo da Sassuolo, nonostante l’età e qualche piccolo acciacco come il calo d’udito, è ancora ben lungi da scomparire dalla scena. Anche se non mette più piede in Cei, per rispetto al successore, rimane infatti un consigliere stimato e ascoltato del Papa, di molti vescovi, di molti inquilini dei palazzi della politica. Continuerà a conservare la presidenza della commissione sulle apparizioni di Medjugorje, e quella del comitato scientifico della Fondazione Ratzinger, come pure è probabile (anche se non del tutto scontato) che mantenga ancora per un anno la presidenza del Progetto culturale, una sua creatura.
Icona di una Chiesa che fa ingerenze e si occupa troppo di politica, secondo i detrattori. Protagonista della rinascita cattolica italiana nell’era Wojtyla, di una Chiesa capace di entrare nel dibattito pubblico con idee e valori forti, senza titubanze e timidezze, secondo gli estimatori. Di certo Ruini è stato un indiscutibile protagonista. Da vescovo ausiliare di Reggio Emilia diventa nel 1986 segretario della Cei e cinque anni dopo, presidente. Riallinea le associazioni cattoliche, vincolandole più strettamente all’autorità ecclesiastica e arginandone la diaspora politica a sinistra. Riafferma l’unità politica dei cattolici e si batte per far sopravvivere la Dc, ma vuole che la Chiesa parli direttamente alla politica, senza mediazioni.
Non si capisce Ruini se non a partire dalle sue origini emiliane. Da giovane vive direttamente l’esperienza della guerra civile che negli anni 1945-1948 caratterizza il «triangolo rosso». Preti assassinati, uccisioni, vendette. Anche lui si trova costretto a fare la sua parte, negli scontri fisici con i «compagni». «L’Italia è sempre stata bipolare», confiderà, ricordando quelle esperienze e quel clima ben rappresentato nei romanzi di Guareschi. Ma sarebbe sbagliato considerare l’anticomunista don Camillo un campione del conservatorismo destrorso. Il cardinale, che molti partiti avrebbero voluto come segretario se solo non avesse avuto la tonaca, è sempre stato un grande interprete del Paese reale e moderato. In grado di indovinare quale fosse il sentire della maggioranza degli italiani.
Pur non avendo particolari simpatie per la sinistra Dc, ha tenuto in vita il partito con accanimento terapeutico, quando lo guidava Martinazzoli e poi nella breve parentesi della segreteria Buttiglione. Preso atto della fine del partito unico e del centrismo, Ruini abbraccia il maggioritario e il bipolarismo. Quando nel 1994, di fronte alla «gioiosa macchina da guerra» dell’ex Pci di Occhetto, Silvio Berlusconi decide di scendere in campo, il cardinale rimane spiazzato. Ma solo per poche ore. Non condivide l’allarme generale contro l’imprenditore prestato alla politica che lanciano i «cattolici democratici», e decide, invece, di appoggiare quella che ai suoi occhi appare come una riedizione del Patto Gentiloni, e cioè la possibilità per i cattolici di collaborare con un blocco moderato rappresentato da Forza Italia e dalla Lega Nord, sulla base di un preciso programma di governo.
Dopo la fine precoce del primo governo Berlusconi, quando si ripresenta la possibilità che un cattolico doc torni a Palazzo Chigi, il «cardinal sottile» non è affatto entusiasta. È amico di Romano Prodi, ne ha celebrato le nozze, ma teme che nell’Ulivo i cattolici finiscano per fare da foglia di fico del Pds. Negli anni successivi, don Camillo benedirà i «teo-dem», cattolici del centrosinistra, continuando però a fidarsi di più del centrodestra. La Chiesa italiana, intanto insiste sulla questione antropologica e sulle emergenze etiche: difesa della vita, parità scolastica, sostegno alla famiglia e contrarietà al riconoscimento delle unioni gay. I valori non negoziabili diventano l’unica chiave di lettura nel dialogo delle gerarchie con la politica.
Il capolavoro di Ruini, poche settimane dopo l’elezione di Benedetto XVI, è il referendum sulla fecondazione assistita, che vorrebbe rimettere in discussione la legge 40, frutto di un faticoso compromesso. Ruini decide di invitare all’astensione. La partecipazione degli italiani è ai minimi storici, il referendum non passa. E il cardinale può finalmente lasciare il testimone al suo successore Bagnasco. Ma quando serve, com’è accaduto nelle ultime settimane, quando Vaticano e Cei hanno lavorato all’unisono per cercare di avvicinare l’Udc di Casini alla maggioranza di governo, don Camillo scende sempre dal suo Aventino, dall’appartamento che occupa al Seminario minore in viale delle mura vaticane, per fare la sua parte. Lui, che è arrivato a definirsi «un animale politico», nonostante tutto, è ancora protagonista.
© Copyright Il Giornale, 15 febbraio 2011 consultabile online anche qui.
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1 commento:
Grazie al Cardinale Ruini per tuttoio lavoro svolto a servizio della Chiesa e dell'Italia. Avrà commesso anche lui degli erori, ma ha alvorato tanto e credo sia stato sempre fedele al Papa, ieri e oggi, con Papa Benedetto
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