Il cardinale Etchegaray: “La Chiesa in Cina ha bisogno dell’unità con il Papa"
Per la Chiesa in Cina, “appare sempre più necessario e urgente l’unità vissuta attorno al Papa, nel rispetto della libertà di coscienza, che ogni Stato deve proteggere”. Sono le parole del cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e del Pontificio Consiglio Cor Unum.
In un articolo pubblicato sul mensile internazionale “30 giorni” ed intitolato “Testimonianza con l’inchiostro di China”, il porporato fa una disamina puntuale della situazione della Chiesa in Cina, Paese da lui visitato ben quattro volte: nel 1980, nel 1993, nel 2000 e nel 2003. “Vedo una Chiesa impiantata in una società tesa fra un materialismo pratico galoppante e un materialismo ideologico zoppicante che lasciano, entrambi, poco spazio alla fede cristiana – scrive il porporato - Vedo una Chiesa divenuta più consapevole della sua vocazione cinese e decisa a darsi gli strumenti per meglio farsi carico del proprio futuro; attraverso le opere sociali riemerge la vita delle comunità religiose, ma non ancora la vita monastica, in un paesaggio che pure è popolato di bonzi”. Ma il cardinale Etchegaray vede anche “una Chiesa indebolita dalla sua prova più crocifiggente, quella della sua unità incessantemente lacerata da dentro e da fuori: ma questa Chiesa – ed è un continuo miracolo – rimane, nonostante tutto, un’unica Chiesa”. Di qui, il suo appello all’unità, un’unità che “passa necessariamente attraverso la via evangelica della riconciliazione”. Le difficoltà, naturalmente, non mancano: il porporato nota come “le ferite e i rancori sono ancora così vivi che alcuni tendono a proteggere la propria identità cattolica nascondendola sotto le sembianze delle sette che pullulano”. Ed è per questo che “i cattolici cinesi, più coscienti del fatto che la credibilità della loro testimonianza dipende dalla loro unità visibile, contano sul sostegno della Chiesa universale che, tuttavia, non può da lontano compiere i sacrifici richiesti dalla loro condizione attuale”. Ma ora, sottolinea il cardinale Etchegaray, nei rapporti tra Pechino e Roma “si tratta di voltare decisamente pagina”, lasciando da parte “l’ignoranza o la diffidenza reciproca”, sia di fronte alle “sfide gigantesche che minacciano l’uomo, in una Cina in piena trasformazione”, sia perché “i due interlocutori sentono un bisogno stringente di un dialogo”. Il porporato ricorda, poi, le tante manifestazioni di affetto – ovvero le “oltre cinquanta dichiarazioni” - di Giovanni Paolo II nei confronti dei cattolici cinesi, così come la lettera “ampia, precisa e affettuosa” di Benedetto XVI ai vescovi e ai fedeli laici della Chiesa cattolica in Cina, una missiva della quale, a distanza di circa quattro anni, “se ne può ancora misurare l’influenza, che appare crescente”. Infine, il cardinale Etchegaray conclude l’articolo ricordando padre Matteo Ricci: come aveva ben compreso questo missionario gesuita del XVI secolo vissuto alla corte dei Ming, scrive, “per entrare in Cina, bisogna passare attraverso la porta del cuore e dell’amicizia”. (I.P.)
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