venerdì 4 febbraio 2011

Le riflessioni del card. Angelo Scola sul motu proprio "Ubicumque et semper" (Osservatore Romano)

Riflessioni su "Ubicumque et semper"

Di fronte alla dura prova

di ANGELO SCOLA

"Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose" (Marco, 6, 34). Un'intensa partecipazione allo struggimento di Gesù traspare dal motu proprio Ubicumque et semper, quando il Papa, citando Giovanni Paolo II, considera la situazione di "interi Paesi e Nazioni ora messi a dura prova e talvolta perfino radicalmente trasformati dal continuo diffondersi dell'indifferentismo, del secolarismo e dell'ateismo".
La Chiesa, infatti, ogni giorno mendica dal Signore Gesù il suo sguardo sul mondo. Quello che, nel Canone romano, a conclusione del momento più importante della celebrazione eucaristica, ci fa pregare con queste parole: "Per Cristo nostro Signore tu, o Dio, crei e santifichi sempre, fai vivere, benedici e doni al mondo ogni bene". Questo sguardo di autentica com-passione non solo mette i cristiani al riparo dalla tentazione, sempre incombente, di pensarsi separati dal "fratello uomo", ma al contrario li spinge a cercare ogni strada percorribile per condividere l'umana condizione.
Oggi in particolare tutti i battezzati sono chiamati dal Papa a riconoscere e ad affrontare l'inedito frangente in cui Nazioni e popoli di antica tradizione cristiana sono immersi. Possiamo descriverne in estrema sintesi i contorni? L'espressione "dura prova" a cui sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI hanno fatto ricorso per delineare la situazione attuale è molto eloquente. L'occidente, che un tempo si poteva dire cristiano, si trova oggi a fare i conti con quello che Henri de Lubac chiamò "il dramma dell'umanesimo ateo". Queste parole ci aiutano a diagnosticare il nucleo centrale della dura prova: "Non è vero che l'uomo, come sembra che talvolta si dica, non possa organizzare il mondo terreno senza Dio. È vero, però, che, senza Dio, non può alla fine dei conti che organizzarlo contro l'uomo. L'umanesimo esclusivo è un umanesimo disumano".
L'indifferentismo, il secolarismo e l'ateismo che, in modi e versioni diversi, si sono imposti lungo il XX secolo e fino ai nostri giorni come strade per la liberazione dell'uomo e per il raggiungimento della sua piena statura, si sono rivelati spesso fallaci. E quella che si annunciava come un'aurora piena di promesse, si presenta ora con i tratti di una "dura prova". Lo vediamo nell'incidenza che, almeno in Europa, l'abbandono della fede cristiana ha avuto sulle forme di vita personale - basti pensare a quanto oggi si afferma e si pratica nell'ambito degli affetti e del lavoro - e comunitaria, come mostrano le precarie soluzioni offerte ai problemi più urgenti, per esempio quello della crisi economica, dell'immigrazione e dello sviluppo integrale dei popoli.
Il crudo realismo della diagnosi proposta dai due Pontefici è lontano dal negare il carattere di affascinante anche se contraddittoria adventura proprio dei nostri tempi. Ha come scopo di stimolare i cristiani a non vivere da "uomini impagliati" (Eliot). Davanti alla "prova" il cristiano è sempre chiamato a decidere per una rinnovata sequela sulle orme del suo Signore che con fermezza "camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme" (Luca, 19, 28) per vivere la sua pasqua di morte e risurrezione.
Innumerevoli testimoni lungo la storia della Chiesa ci hanno documentato la possibilità reale di vivere la prova come occasione privilegiata perché si manifesti la potenza del crocifisso risorto. E l'hanno fatto sostenuti dallo Spirito che ha donato loro fortezza e speranza. Nella bimillenaria avventura del popolo cristiano non c'è stato un solo momento in cui non si sia potuto far conto sulla consolante convinzione di san Paolo (Filippesi, 1, 6): "Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù".
E così l'iniziativa del Papa di creare il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, si rivela come una preziosa decisione per condividere la prova degli uomini e delle donne in travaglio entro una società in drammatica transizione. È una testimonianza di "speranza affidabile" (Spe salvi, n. 1). Poiché Dio si è reso familiare agli uomini, egli è a tutti vicino. Per questo il cuore di ogni uomo, lo sappia o meno, ha sempre nostalgia di Dio e desidera incontrare Colui che - si legge nella Gaudium et spes (n. 22) - "svela pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione".

(©L'Osservatore Romano - 5 febbraio 2011)

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