giovedì 10 febbraio 2011

Memorandum dei teologi di lingua tedesca. Se la teologia diventa controcanto al Magistero (Bordero)

Se la teologia diventa controcanto al magistero

di Gianteo Bordero

143 teologi tedeschi, austriaci e svizzeri hanno diffuso nei giorni scorsi un memorandum intitolato Chiesa 2011: una svolta necessaria, nel quale invocano «profonde riforme» per rispondere alla crisi determinata dallo scandalo della pedofilia. Le richieste avanzate nel documento non sono nuove: più «strutture sinodali» e più democrazia «a tutti i livelli della Chiesa», partecipazione dei credenti alla scelta dei vescovi e dei parroci, abolizione del celibato sacerdotale, ordinazione di donne prete, apertura alle unioni omosessuali, abbandono del rigorismo morale, una liturgia non arroccata nel «tradizionalismo» e più aperta alla «partecipazione attiva di tutti i credenti». Tutto questo per «portare la Chiesa fuori dalla sua paralizzante autoreferenzialità».
Il memorandum non è dunque degno di nota per le proposte che in esso vengono formulate, che hanno il sapore del già sentito mille volte in questi ultimi decenni e che in sostanza rappresentano i punti cardine della cosiddetta «agenda progressista» per la Chiesa cattolica. Quello che invece merita attenzione è altro, e cioè il fatto che il documento rivela in maniera evidente e quasi paradigmatica il perdurare di un modo di intendere e di fare teologia che, in ultima analisi, genera soltanto confusione e smarrimento tra i fedeli invece che aiutarli ad approfondire le ragioni della fede. L'idea che sta alla base di questo atteggiamento è quella secondo la quale il compito della teologia è di porsi come controcanto continuo rispetto al magistero e di dire la verità che esso non dice. E' una concezione che considera il teologo come vera voce della Chiesa, come l'autentico interprete del Vangelo, ponendolo al di sopra dello stesso magistero.
Questa tendenza, almeno nella forma in cui la conosciamo oggi, affonda le sue radici nei primi decenni del Novecento e nella cosiddetta «teologia liberale», ma ha trovato il suo punto di consolidamento durante il Vaticano II, quando sembrò che quella dei teologi presenti all'assise conciliare fosse un'avanguardia ben più evoluta e dottrinalmente credibile rispetto ai vescovi e rispetto al Papa stesso. Tant'è vero che fu proprio sotto la spinta dei teologi che vennero accantonati gli schemi preparatori del Concilio approntati sotto l'impulso del Pontefice e si decise di andare oltre, procedendo a quell'«aggiornamento» che veniva allora considerato necessario per non far rimanere la Chiesa estranea alla modernità e alla sua cultura.
Nel post Concilio tale tendenza proseguì e, come scriverà anni dopo nel suo Natura e compito della teologia (Jaca Book, 1993) il cardinale Ratzinger - che, ricordiamolo, aveva vissuto in prima persona la vicenda del Vaticano II, essendo egli perito teologico scelto dal cardinale Frings - «nei teologi crebbe sempre di più il sentimento d'essere i veri e propri "maestri" della Chiesa e anche dei vescovi... Il magistero della Santa Sede apparve allora palesemente come l'ultimo residuo di un autoritarismo errato ed inopportuno». E fu proprio lo stesso Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, a emanare nel 1990 una importante Istruzione (Donum veritatis) a proposito della missione della teologia nella Chiesa. Un documento che venne accolto con durezza da molti dei destinatari, che accusarono la gerarchia di voler mettere il bavaglio alla libertà di ricerca e di parola all'interno della Chiesa.
Che cosa aveva scritto, in particolare, il cardinale Ratzinger per far montare l'onda della protesta di tanti teologi? Egli aveva affermato che, nel rapporto tra magistero e teologia, quando il primo «si pronuncia infallibilmente dichiarando solennemente che una dottrina è contenuta nella rivelazione, l'adesione richiesta è quella della fede teologale». E questa adesione «si estende all'insegnamento del magistero ordinario e universale quando propone a credere una dottrina di fede come divinamente rivelata». Inoltre, quando esso «propone "in modo definitivo" delle verità riguardanti la fede e i costumi, che, anche se non divinamente rivelate, sono tuttavia strettamente e intimamente connesse con la rivelazione, queste devono essere fermamente accettate». Infine, «quando il magistero, anche senza l'intenzione di porre un atto "definitivo", insegna una dottrina per aiutare a un'intelligenza più profonda della rivelazione e di ciò che ne esplicita il contenuto, ovvero per richiamare la conformità di una dottrina con le verità di fede, o infine per mettere in guardia contro concezioni incompatibili con queste stesse verità, è richiesto un religioso ossequio della volontà e dell'intelligenza. Questo non può essere puramente esteriore e disciplinare, ma deve collocarsi nella logica e sotto la spinta dell'obbedienza della fede».
Queste parole non venivano da un nemico della teologia, bensì da uno dei più autorevoli teologi presenti sulla scena. Non venivano da un oscurantista, ma da uno studioso che sin da giovane aveva dimostrato una certa libertà e un certo coraggio nel suo lavoro intellettuale (basti pensare alle sue tesi sulla teologia della storia di San Bonaventura). Venivano quindi da una persona insospettabile di tradizionalismo, la quale semplicemente aveva preso atto della drammatica deriva di molti teologi che non rispondevano più a niente e a nessuno e che, con arroganza e senso di onnipotenza, pretendevano di dettare la linea al Papa e ai vescovi. Questa non è più teologia, ma diventa tout court una ideologia del cristianesimo che genera, come dicevamo, confusione e smarrimento tra i fedeli.
La teologia vive e fa crescere la Chiesa solo se essa rimane sempre consapevole del Mistero che ha di fronte, di una Presenza irriducibile agli angusti schemi umani. E non è un caso se il più grande teologo della storia, Tommaso d'Aquino, ebbe le sue intuizioni più importanti, e decisive per lo stesso sviluppo del magistero, di fronte al tabernacolo e all'ostia consacrata. Per questo fu santo, e per questo il suo esempio dovrebbe ancora oggi esser preso a modello da tutti coloro che si fregiano del titolo di teologi, in primis da coloro che in nome di tale status portano avanti una contestazione radicale dell'insegnamento della Chiesa su importanti questioni dottrinali.

http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201102093946/cristianesimo/se-la-teologia-diventa-controcanto-al-magistero.html

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