mercoledì 9 febbraio 2011

Mons. Crociata: Cristiani non si nasce. Lo si diventa. E l'appartenenza al corpo della Chiesa è un dono che va continuamente alimentato, senza rigidità e chiusure settarie (O.R.)

Il vescovo Mariano Crociata segretario generale della Cei

Cristiani si diventa

Messina, 8. Cristiani non si nasce. Lo si diventa. E l'appartenenza al corpo della Chiesa è un dono che va continuamente alimentato, senza rigidità e chiusure settarie. È quanto, in sintesi, ha detto ieri sera il vescovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei) Mariano Crociata, aprendo la Settimana teologica sul tema «A chi appartieni? Solitudini e legami», promossa dall'arcidiocesi di Messina - Lipari - Santa Lucia del Mela. «L'appartenenza ecclesiale -- ha detto -- non è una realtà statica, bensì strutturalmente dinamica. Si diventa, infatti, cristiani e si viene ad appartenere alla Chiesa in forza dell'azione dello Spirito che rende presente Cristo».
Quello dell'appartenenza -- ha rilevato il presule -- è oggi uno dei temi particolarmente cruciali. Poiché anche da un punto di vista puramente sociologico esso appare sempre più «fragile» e «ambiguo». Infatti, alla «crisi della ragione moderna» corrisponde una sorta di «culto dell'emozione», che sacralizza impulsi e sentimenti, e sembra rappresentare «il criterio ultimo di ogni scelta». E alla fragilità del concetto di appartenenza non sembra sfuggire neppure la Chiesa, che «al pari di altre comunità o società risente dei “meccanismi”» della propria epoca. Tuttavia, per reazione, a ciò può corrispondere dal punto di vista ecclesiale -- ha messo in guardia monsignor Crociata -- un atteggiamento esattamente contrario, di «tipo rigido» e «fanatico» tendenzialmente esclusivista. «Nell'epoca della crisi delle identità, dell'espressivismo e dell'autenticità, si può vivere un'appartenenza ecclesiale fluida, intermittente e debole, oppure si può affrontare la medesima situazione con l'opzione esattamente inversa: quella consistente nell'assumere un'appartenenza al proprio gruppo ecclesiale, al proprio movimento, alla propria “esperienza” come se fossero l'unica modalità di appartenenza possibile per essere Chiesa; e quella consistente nel trovare nella Chiesa o in una sua espressione un rifugio e una sicurezza, tanto più ricercati, quanto più si abita, appunto, una “società dell'incertezza”». Si tratta di due tendenze che finiscono per essere le «due facce di una stessa medaglia».
La prospettiva cambia -- rileva il presule -- se invece si considera la singolarità dell'appartenza ecclesiale. «Il fatto stesso che il nostro linguaggio conosca la possibilità di una fede senza appartenenza o di una appartenenza senza fede, è già indice del fatto che l'appartenenza ecclesiale vive di una sua singolarità. Essa ha a che fare con la fede; e la fede, se non può risolversi totalmente in una appartenenza visibile ed esteriore, non può tuttavia neppure venire concepita come fatto meramente interiore e invisibile, se vuole mantenersi quale fede in Gesù Cristo “venuto nella carne”». All'origine della Chiesa vi è infatti la rivelazione di Dio. La fede -- ha detto Crociata citando una nota espressione del teologo Joseph Ratzinger -- «s'accosta sempre all'uomo dall'esterno». E la fede personale non è che «la risposta a questo dono che Dio ha fatto in Cristo della comunione»
L'appartenenza ecclesiale gioca dunque su due aspetti. Per il presule, infatti, «l'appartenenza ecclesiale non è cosa che possa essere compromessa in radice, dalle nostre chiusure, dai nostri mutamenti e persino dal nostro peccato. In tal senso, il fatto che ci siano dei sacramenti dell'iniziazione cristiana che vengono celebrati una volta sola e che, secondo la dottrina classica, imprimono il carattere, esprime questa irrevocabilità del dono di Dio». Al tempo stesso, facendo riferimento all'Eucaristia, Crociata ha sottolineato che l'appartenenza del cristiano alla Chiesa «non è qualcosa che può venire data per scontata; è realtà che va alimentata nella continua recezione del dono di Cristo»
L'appartenenza ecclesiale, infine, «non può mai essere settaria», bensì essa è «strutturalmente aperta». Di conseguenza, «nessuna modalità data potrà mai vantare la pretesa di esaurire l'appartenenza ecclesiale». Non potrà essere una appartenenza dal «carattere fanatico e rigido». Tanto più, con «tratti di esclusione, non solo verso chi non è cristiano, ma addirittura verso chi, cristiano come noi, vive la sua appartenenza ecclesiale in modi diversi dai nostri».

(©L'Osservatore Romano - 9 febbraio 2011)

5 commenti:

Alice ha detto...

Ultimamente mi sono accorta che mi piace Mon. Crociata.

Amedeo ha detto...

Ma io dico: se anche l'osservatore romano fa questi errori, dove andremo?
Non mi pare, almeno dagli stralci riportati, che Mons.Crociata abbia detto che "Cristiani non si nasce".
Anche perche' il magistero dice ben altro.
Es. nel documento "Dialogo e annuncio" (1991), del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, si legge al n.25 "In adempimento del suo piano di salvezza, Dio, nel suo Figlio, ha raggiunto— l'intera umanità. Così il cristianesimo, in un certo senso, esisteva già «all'inizio dell'umanità»."
Ricordiamoci che cristiani si nasce (nel senso che nasciamo tutti strutturalmente cristiani, come diceva Rahner), ma anche si diventa (perche' siamo stati creati liberi).

Anonimo ha detto...

Ma sì.. Un colpo al cerchio e uno alla botte

Alice ha detto...

A me pare che si diventi cristiani con il battesimo.

Alice ha detto...

Kasper puntualizza sul celibato (e memorandum del ’70)


http://www.paolorodari.com/2011/02/08/kasper-puntualizza-sul-celibato-e-sul-memorandum-del-70/