sabato 12 febbraio 2011

Riflessioni su "Ubicumque et semper". Il principio dell'Incarnazione (Josip Bozanić)

Riflessioni su "Ubicumque et semper"

Il principio dell'Incarnazione

di JOSIP BOZANIC
Cardinale arcivescovo di Zagabria

Secondo il motu proprio Ubicumque et semper l'espressione "nuova evangelizzazione" non equivale a un'unica formula uguale per tutte le circostanze poiché la diversità delle situazioni esige un "attento discernimento" (diligens iudicium). Nella storia la Chiesa ha affrontato l'impegno di annunciare il Vangelo facendo innanzitutto leva sulla perenne novità del messaggio di salvezza, senza mai vincolarsi a modelli assoluti o a formule valide in ogni situazione. Proprio l'insegnamento del passato appare oggi di particolare interesse, per capire come quel diligens iudicium si sia di volta in volta espresso. Ciò potrà aiutarci a rispondere alla stessa sfida, in questo tempo in cui Dio ci ha chiamato a evangelizzare.
Tale esigenza ha una ragione essenzialmente teologica, non disgiunta da motivi di carattere antropologico e culturale. Nella nuova evangelizzazione bisogna essere consapevoli del principio dell'Incarnazione, che fa cogliere il modo di agire di Dio nel suo entrare nella storia degli uomini. Questo ci fa andare oltre un'inculturazione fine a se stessa. Il cristianesimo, nella sua più profonda natura, si manifesta infatti come amico delle culture, e ciò nel variegato contesto contemporaneo rende l'evangelizzare più difficile ed esigente.
Infatti il cristianesimo, nella forza dello Spirito di Dio, parla agli uomini di ogni tempo in modo che l'annuncio del Vangelo risulta sempre nuovo. Il suo linguaggio era certo più incisivo in epoche in cui era facile formulare un discernimento delle caratteristiche culturali, sicuramente più disponibili all'apertura al soprannaturale. Se oggi chiedessimo cos'è, per esempio, la cultura occidentale e quali siano i suoi tratti, avremmo molte risposte parziali: è infatti assai difficile trovare indiscutibili contrassegni culturali, anche perché la pluralità che la connota non permette un'accettazione condivisa dei valori alla base della sua identità.
Guardando alla storia dell'ultimo secolo, è emblematica la situazione dei Paesi in cui erano al potere regimi basati su ideologie totalitarie, dove l'evangelizzazione era sempre soffocata con la forza. In quelle circostanze la Chiesa svolgeva la propria missione come poteva, il più delle volte con il coraggio che le veniva dallo Spirito, come rivela la testimonianza dei santi martiri. E tuttavia la minaccia diretta di un'ideologia ben definita non si è dimostrata come una vera difficoltà per il cristianesimo, poiché essa intendeva imporre dall'esterno una pseudo-cultura parallela. Non si contano i tentativi in tal senso del comunismo ateo, con la sua prassi sistematica di imporre l'ateismo. Ancora più devastanti sono stati gli effetti pratici del sistema comunista: paura, doppia morale, materialismo esistenziale, attacchi alla libertà, in particolare quella di coscienza.
Non valorizzando davvero il dinamismo culturale, ogni ideologia condanna se stessa alla distruzione. Le ideologie non amano la cultura né hanno le prerogative per dialogare davvero. L'impossibilità dei totalitarismi e delle loro teorie di dare risposte accettabili alle questioni cruciali sul senso della vita ha così rivelato per via indiretta la forza del mistero dell'incarnazione e della redenzione di Cristo. Ogni ideologia cerca di trovare o di inventare un'unica formula e di imporla coercitivamente dall'esterno, sperando di influenzare sin nell'intimo le coscienze. L'evangelizzazione non è sulla stessa strada. Essa ascolta gli impulsi culturali, cerca di conoscerne i dinamismi intrinseci, ossia i valori di fondo e le relazioni complesse che vi sono sottese, sapendo tuttavia che il mistero dell'Incarnazione porta con sé la sfida del dono inaspettato.
Oggi, più che di fronte a un'ideologia ben definita, siamo davanti e dentro a frammenti culturali, elementi mescolati senza evidenti connessioni tra loro. L'impressione è che tale frantumazione culturale abbia accresciuto l'indifferenza sociale, terreno fertile per il secolarismo e l'ateismo pratico. Dopo vari tentativi di innovazione sul piano della mera prassi pastorale, si avverte oggi la necessità di tornare ai fondamenti e di rafforzarli. Prova evidente che l'evangelizzazione comincia sempre come risposta alle domande di senso che l'uomo si porta dentro.
Il nodo della questione risiede, a mio avviso, nell'assumere il principio dell'Incarnazione in tutte le sue conseguenze, per una cultura permeata dal mistero trinitario. La Chiesa non deve dimenticare la propria natura. Adottando forme, metodi e mezzi (tecnici, economici, politici, e così via) che non tengono conto dell'Incarnazione e del suo compimento pasquale, non si possono dare le risposte che il mondo oggi attende. In fondo, quello tra il Vangelo e la cultura è un dialogo sempre a rischio, perché la cultura può anche veicolare elementi privi di un significato preciso, e tuttavia è l'ambito imprescindibile per l'agire in nome della fede. Non esiste infatti qualcosa di più provocatorio del Vangelo, realtà che oltrepassa l'orizzonte terreno e ci rivela la portata dell'incarnazione del Figlio di Dio, punto focale della storia.

(©L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2011)

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