lunedì 30 maggio 2011

La politica italiana e il disagio dei vescovi (Brunelli)

Riceviamo e con piacere e gratitudine pubblichiamo:

La politica italiana e il disagio dei vescovi

Lucio Brunelli

È sempre più palese il disagio dei vescovi italiani di fronte all'attuale momento politico. Il sistema bipolare obbliga a scelte imbarazzanti.
Da una parte una destra impresentabile che però sul piano legislativo si fa paladina delle istanze etiche cattoliche (da ultimo sul testamento biologico). Sul fronte opposto una sinistra più in sintonia con la Chiesa sui temi sociali (lotta al precariato, rifiuto della «paura dello straniero») ma agli occhi dei vescovi ancora troppo influenzata da una cultura radicale sui «valori non negoziabili». Nella recente assemblea generale della Cei, svoltasi in Vaticano, il cardinale Angelo Bagnasco ha usato toni e termini mai così sconsolati nel commentare l'involuzione della lotta politica. «Inguardabile», «drammatico vaniloquio». Tutti gli appelli a fare prevalere la politica della concretezza e della responsabilità su quella della propaganda e dell'agguato reciproco, ha detto, sembrano «cadere nel vuoto». E allora, che fare?
Dopo la dissoluzione della Democrazia cristiana, la Chiesa non si è schierata pubblicamente con alcuna forza politica. Ma è stata evidente, specialmente quando a guidare la Cei era il cardinale Ruini, una preferenza di fatto per lo schieramento di centrodestra capeggiato da Silvio Berlusconi.
«Uomo della provvidenza» lo definì don Gianni Baget Bozzo perché senza la sua impr evista discesa nell'agone pubblico, nel '94, nulla avrebbe fermato la «gioiosa macchina da guerra» degli ex Pci. Il partito del Cav fu attentissimo a presentarsi ai cattolici come l'unico affidabile interlocutore dei vescovi.
Fece propria la battaglia di Ruini a difesa della legge 40 sulla fecondazione assistita. Sposò la mobilitazione delle associazioni cattoliche e delle gerarchie sul caso di Eluana Englaro. Ugualmente il partito del Cav si impegnò a non far mai passare proposte di legge che equiparassero le coppie di fatto, tanto più se omosessuali, alla fam iglia fondata sul matrimonio. Sulle questioni economiche, possibile punto debole della coalizione di fronte ai cattolici impegnati nel sociale, il ministro Tremonti riusciva a presentarsi (grazie anche ai suoi brillanti libri) come un intelligente critico della grande finanza e delle patologie della globalizzazione, in armonia con il pensiero sociale dei Papi. Così la preferenza di fatto per lo schieramento di centrodestra appariva più difendibile, anche di fronte ai mugugni o alle perplessità degli ambienti cattolici progressisti.
Ora la situazione è mutata. A erigere un muro di disagio fra Chiesa e centrodestra hanno pesato, certo, gli scandali sessuali del presidente del Consiglio: «Stili di vita» da lui rivendicati con fierezza; un colpo devastante all'immagine del difensore della famiglia tradizionale e dei valori cattolici. Ma ugualmente imbarazzante è stato l'affermarsi, nello schieramento di maggioranza, di voci e tendenze sempre più estremiste e inconciliabili con il moderatismo cattolico.
Basti pensare alle rabbiose campagne della stampa filo-governativa contro uomini di punta della Chiesa italiana, dal direttore di «Avvenire» Dino Boffo al cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi, o ai toni beceri usati da esponenti leghisti e dall'onorevole Santanchè nei confronti dell'immigrazione e dell'islam nostrano.
Si vorrebbe voltare pagina. Si accarezza il «sogno» di una nuova generazione di cattolici impegnati in politica. Come quella che si formò negli anni trenta, nella Fuci e nell'Università Cattolica, sotto il fascismo, e fu pronta dopo la guerra a guidare la ricostruzione. C'era un substrato popolare cristiano, in quell'Italia, che facilitava sia il fiorire di «vocazioni» politiche (La Pira, De Gasperi...) sia un consenso diffuso agli ideali sociali cristiani. Ora che quel substrato è largamente dissolto è terribilmente più difficile far sì che quel «sogno» diventi realtà.

© Copyright Eco di Bergamo, 30 maggio 2011

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