Dove ogni uomo si sente a casa
Tra gli omaggi il progetto di una chiesa intitolata al patrono d'Europa
di Paolo Portoghesi
Nell'introduzione a Lo Spirito della Liturgia Benedetto XVI suggeriva, nel 2005, un confronto tra la liturgia di un tempo e quella attuale parlando di un affresco conservato intatto ma «quasi nascosto da un successivo intonaco», rimesso a nudo grazie «al Movimento liturgico e definitivamente grazie al concilio Vaticano II». Questo meraviglioso affresco -- aggiungeva -- «viene messo in pericolo dalle condizioni climatiche, come anche da restauri e ricostruzioni di vario genere, e minaccia di essere distrutto se non si fa quanto è necessario per arrestare questi dannosi influssi. Naturalmente esso non deve essere nuovamente coperto da intonaco, occorre invece un nuovo profondo rispetto nei suoi confronti, una nuova comprensione del suo messaggio e della sua realtà, affinché la riscoperta non diventi la prima fase di una perdita definitiva».
Per chi, come me, ha assistito con profondo interesse alle vicende del concilio e, da architetto ha cercato di interpretarne le indicazioni, resistendo peraltro -- disorientato e perplesso -- a quella furia iconoclasta che ha reso l'edificio chiesa irriconoscibile, distruggendone tutti gli aspetti indissolubilmente legati alla memoria storica, le parole del Papa sono state fonte di riflessione, di autocritica e di ispirazione per tentare, in campo architettonico una operazione congruente rispetto a quella che, come teologo, il cardinale Ratzinger, oggi Benedetto XVI, ha compiuto con una serie di interventi ora provvidenzialmente raccolti nel primo volume della sua Opera omnia.
Su questo lavoro di «nuova comprensione» del messaggio che proviene dalla liturgia, deriva il progetto donato al Papa per il sessantesimo anniversario del suo sacerdozio: una chiesa parrocchiale pensata per inserirsi nel paesaggio dell'Agro Romano e dedicata a san Benedetto da Norcia fondatore del monachesimo occidentale.
L'impulso a progettare una chiesa come invito alla rievangelizzazione proviene dalle parole spese dall'allora cardinale Ratzinger per legittimare il tempio di pietra in un'epoca che mettendo giustamente in rilievo che per il cristianesimo il tempio di pietre vive e quello costituito dai fedeli, ha cercato di distruggere il valore della chiesa come domus Dei contrapponendogli la comunità dei fedeli e la chiesa come casa degli uomini; come se la chiesa non fosse l'involucro corale della comunità, «in cui Dio è invitato a entrare» per mezzo dell'Eucaristia.
In una conferenza scritta per celebrare il primo millennio della cattedrale di Magonza si legge: «Dove però gli uomini si lasciano impegnare per Dio, là essi trovano il tempo per Lui e là si crea anche lo spazio per Lui. Allora essi possono osare il passo verso l'avvenire: rappresentare nell'oggi il dimorare di Dio con noi e la nostra riunione per merito suo, che ci rende fratelli e sorelle in un'unica casa. Allora la disponibilità alla semplicità diventa naturale e ugualmente si riconosce il diritto alla bellezza, alle cose belle. Anzi, solo in una tale spiritualizzazione del mondo in vista del Cristo venturo emerge veramente il bello nella sua forza trasformatrice e consolante. E si rivela una cosa sorprendente: la casa di Dio è la vera casa degli uomini. Diventa addirittura tanto più vera casa degli uomini quanto meno vuole esserlo, cioè quanto più è stata eretta semplicemente per Lui».
Nel tentare una nuova interpretazione del ruolo dell'edificio chiesa abbiamo spesso assistito nell'ultimo decennio a una «resa senza condizioni» alla modernità, a quella modernità che muove dalla celebre dichiarazione contenuta nella Gaia Scienza di Nietzsche: «Dio è morto» che ha spostato la nozione del sacro dal divino all'umano cercando di «sostituire» la fede con i suoi surrogati più o meno suggestivi.
Il Papa a questo proposito non ha dubbi: «Se ai nostri giorni si chiede con ragione un nuovo dialogo tra Chiesa e cultura, non è da dimenticare che tale dialogo deve necessariamente essere bilaterale. Non può consistere nel fatto che la Chiesa si sottometta finalmente alla cultura moderna, che, da quando ha perduto il suo fondamento religioso, vive in larga misura in un processo di continua messa in questione di se stessa. Come la Chiesa deve aprirsi ai problemi del nostro tempo, così pure la cultura deve in modo nuovo porsi la domanda circa la sua mancanza di radici e circa il suo fondamento, aprendosi con ciò a un processo doloroso di guarigione, cioè a un'intima riconciliazione con la religione, perché solo da qui può ricevere la sua linfa vitale».
Le caratteristiche del progetto che direttamente si riferiscono alle indicazioni e ai suggerimenti colti nella lettura della Teologia della Liturgia sono almeno sette: la Chiesa come Corpo Mistico espressa nel modello cruciforme della chiesa; la chiesa aperta allo spettacolo del creato; l'evocazione della trascendenza (verticalità) insieme alla espressione della comunità raccolta intorno all'altare (orizzontalità); la peculiarità dell'orientamento e del percorso assiale; l'inserimento frontale dei sacri segni del Libro; la centralità del tabernacolo, l'introduzione di un luogo ben visibile per il libro che contiene la Parola di Dio.
L'interpretazione della Chiesa come corpo mistico, riaffermata solennemente nel concilio (Lumen gentium, 6-7) e nel Catechismo è ripresa nel saggio Eucaristia e missione dove si afferma: «Il discorso della Chiesa come corpo di Cristo è più di un qualche paragone, preso dall'antica sociologia, fra un corpo reale ed una corporazione composta da molte persone. L'affermazione ha il suo appiglio nel Sacramento del corpo e del sangue di Cristo ed è pertanto più di un'immagine -- è espressione della vera essenza della Chiesa». Alla luce di questa considerazione risulta incomprensibile la rinuncia, dettata da peoccupazioni utilitaristiche, a una configurazione rimasta per secoli prioritaria nella architettura cristiana.
La chiesa aperta allo spettacolo del creato -- realizzata nel progetto con le grandi aperture trasparenti dietro l'altare e nei fondali del transetto -- è una originalissima indicazione offerta da Benedetto XVI in un discorso celebrativo del quarantesimo anno della costituzione del concilio sulla santa liturgia: «Come nella liturgia ci può essere solo una comunità aperta, così anche il vano dell'edificio sacro non dovrebbe avere niente in comune con quei blocchi di cemento che si chiudono alla creazione dandosi da se stessi la loro luce e la loro aria, le quali tuttavia possono sempre provenire soltanto dalla provvista che è propria del mondo creato da Dio. L'edificio sacro deve, dovunque sia possibile, essere collocato nell'ampio spazio della creazione, mostrare il contatto con essa, e così avviare il cammino pieno di speranza verso il Signore che viene».
Per quanto riguarda la necessità di riportare nelle chiese la coesistenza dello spazio comunitario e l'indicazione della trascendenza sono preziose le considerazioni contenute nel saggio sulla tradizione di Ratisbona: «L'essenziale punto prospettico è pertanto la Maiestas Domini, il Signore risorto ed innalzato, che però al contempo è visto soprattutto come Colui che ritorna, che nell'Eucaristia sta venendo già ora. La Chiesa che celebra la liturgia gli va incontro, la liturgia è addirittura l'atto di questo andare incontro alla sua venuta. Nella liturgia Egli sempre già anticipa questa sua venuta promessa: liturgia è parusia anticipata, è l'entrare del “già” nel nostro “non ancora”».
Sulla peculiarità dell'orientamento a est dell'edificio cristiano il Papa ha speso parole illuminanti che criticano le chiese moderne per la perdita del riferimento cosmico e quindi del carattere dinamico della liturgia che presuppone che ogni chiesa non sia solo il rifugio di una comunità chiusa in se stessa, ma sia potenzialmente una chiesa universale per tutti i popoli della terra.
Come indica la profezia di Isaia (56, 7). «L'orientamento della preghiera verso est è una tradizione che risale alle origini ed è espressione fondamentale della sintesi cristiana tra cosmo e storia, tra ancoraggio all'unicità della Storia della salvezza e cammino incontro al Signore che viene. La fedeltà a ciò che è già stato donato così come la dinamica del progredire trovano in esso pari espressione». Ma l'orientamento verso est non basta per esprimere la religiosità cristiana; non meno importante è l'orientamento verso il cielo: «La liturgia presuppone -- come abbiamo visto -- il cielo squarciato; solo se questo si verifica, può esserci una liturgia. Se il cielo non è aperto, ciò che era liturgia s'immiserisce in un gioco di ruoli, in una ricerca, in ultima analisi insignificante, di auto-conferma comunitaria, in cui in fondo non accade nulla».
Nel progetto l'immagine del «cielo squarciato» è alla base della configurazione della cupola che aprendosi verso la luce che penetra dall'alto suggerisce un cielo nuvoloso attraversato dalla luce, elemento essenziale di ogni edificio religioso che voglia celebrare la divinità.
Per quanto riguarda i Santi Segni il progetto della chiesa interpreta le indicazioni della Conferenza episcopale italiana ma anche quelle, recentissime e innovative, espresse nella Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini: «I Padri sinodali, inoltre, suggeriscono che nelle chiese vi sia un posto di riguardo in cui collocare la sacra Scrittura anche al di fuori della celebrazione. È bene, infatti, che il libro che contiene la Parola di Dio abbia un posto visibile e di onore all'interno del tempio cristiano, tuttavia senza togliere la centralità che spetta al tabernacolo contenente il Santissimo Sacramento». Il tabernacolo del Santissimo Sacramento riprende quindi la sua centralità e un ruolo molto significativo assume il luogo in cui viene collocato «il libro che contiene la parola di Dio», mentre l'ambone posto accanto all'altare entra a far parte delle due tavole di pari dignità innalzandosi e dividendosi in due livelli.
(©L'Osservatore Romano 4-5 luglio 2011)
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5 commenti:
Prima di donarlo al Papa, il progeto è stato sottoposto, esaminato ed approvato dalla C.E.I.?
Visto che la chiesa dovrà essere costruita nell'Agro Romano, in Italia, su un progetto donato a Benedetto XVI, dello Stato del Vaticano, Sua Santità dovrà sottoporre il progetto all'esame della C.E.I. e dovrà pure ottenerne l'approvazione!
Riuscirà ad averla?
Egregio sig. Portoghesi, se la chiesa da lei progettata è quella rappresentata nella foto, mi spiace dirlo ma lei non ha capito proprio niente di ciò che il Papa dice e vuole per le chiese contemporanee.
Consulti con assiduità e profitto l'ottimo blog del dr. Colafemmina "Fides et Forma", e poi...ne riparliamo!
... e allora l'approvazione della C.E.I. è assicurata...!
Egr. Prof. Portoghesi,
mi scuso se mi rivolgo a Lei, che è Professore di Architettura, così: ma utilizzando i termini tecnici forse riesco ad esprimere meglio il mio concetto.
Premetto una cosa che, ovviamente, serve più a me che scrivo ed a quanti mi leggono, che a Lei cui mi rivolgo: l’architettura (come ho imparato da professori che lo insegnano) è Tecnica costruttiva e Composizione espressiva: l’Architettura Tecnica stabilisce le norme costruttive (non solo quelle strutturali) per le funzioni, le utilizzazioni, le distribuzioni, delle parti che formano l’oggetto architettonico, all’interno ed all’esterno di esso; la Composizione Architettonica è il comporre le “parti” in un modo tale che l’opera esprima quel qualcosa in più di ciò che ogni parte esprime in sé, che è il loro stare insieme.
Da quel che ho letto della sua relazione al progetto, e specialmente da come ha citato “Introduzione allo Spirito della Liturgia” di Benedetto XVI, intravedo che in Lei la Teologia, Liturgia, Ecclesiologia, Sacramentaria, la Storia della Chiesa, ma anche la Dottrina, la Patristica ed il Magistero sono solo conoscenze di “Architettura Tecnica” dell’Architettura Sacra in base alle quali esprimere sensibilità e idee utilizzando, successivamente, la Composizione Architettonica.
Questo a mio avviso è molto riduttivo e determina la maggior parte delle incomprensioni tra progettista e committenza, in fase di progettazione, e tra l’opera ed i suoi utilizzatori dopo la costruzione.
Teologia, Liturgia, Ecclesiologia, Sacramentaria, Storia della Chiesa, ma anche la Dottrina, la Patristica ed il Magistero sono gli elementi compositivi del progetto, non gli elementi tecnici.
Bisogna prima fare a fette la Liturgia, leggerla nelle pieghe ecclesiologiche, storiche, sacramentali, bisogna prima scomporre il Magistero, per poi progettare un edificio sacro perché esso sia Sacro.
Ad esempio l’orientamento cosmico, il cammino dalla Porta al Tabernacolo, ecc. non sono regole tecniche, soddisfatte le quali poi si realizza il loro involucro come la propria idea suggerisce o stimola: sono gli elementi il cui “significato” va scomposto e ricomposto per determinare l’espressività Compositiva. Non è l’Architettura il contenitore espressivo della Liturgia, ma è questa il contenitore espressivo dell’Architettura e perciò le regole compositive non sono da ricercare nel linguaggio dell’Architettura ma nel linguaggio della Liturgia cui Teologia, Sacramentaria, Ecclesiologia, ecc. danno motivi e significati.
Nelle costruzioni civili è l’Architettura che fa assurgere a Bellezza la funzione umana che racchiude.
Nelle costruzioni sacre è il contrario: è la funzione, perché Divina, che fa assurgere a Bellezza l’Architettura che la esprime.
Solo così il metodo di ricerca della bellezza in un’opera architettonica civile può assurgere a metodo di ricerca della Bellezza di un’opera di Architettura Sacra, solo se l’umano arretra davanti al Divino.
In altre parole ancora. Non è credendo profondamente nell’Architettura e conoscendola che si può rendere costruito il Sacro. E’ credendo profondamente in Dio e conoscendolo che si può rendere sacro il costruito e sacra l’Architettura.
E allora ci si domanda per esempio: può il Tabernacolo essere visibile da “fuori”, in una perenne esposizione adorativa? Nel giardino interno ci saranno delle panche che guardano l’interno dell’Abside? Ciò non condiziona troppo il Credente nei suoi atteggiamenti esterni al tempio? Può il volto dell’adorante all’interno essere visibile dall’esterno del tempio?
Ecco! Per capire queste cose bisogna viverle, e per viverle bisogna crederle.
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