Berlino, lezione di politica
Edoardo Patriarca
Raccomando ai politici – se non l’hanno già fatto – di leggere con attenzione il discorso di Benedetto XVI al Reichstag di Berlino. Freschezza delle argomentazioni, lungimiranza e inquietudine nelle domande che pone: dal testo si ricava un altro tratteggio del magistero di questo papa nei riguardi della funzione politica, un tratteggio che affonda il suo pensiero nel Concilio e nel magistero di Giovanni Paolo II, ma che guarda al futuro e alle sfide che attendono coloro che hanno la responsabilità di costruire la città. Dal pensiero di Benedetto si possono estrarre tutti gli elementi necessari per rifondare una spiritualità laica, per estrarre criteri di giudizio e percorsi educativi per i più giovani.
L’incipit lo si trova nei primi passaggi del suo intervento . «Nel Primo libro dei Re si racconta che al giovane re Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano in questo momento ne, in occasione della sua intronizzazione, Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano in questo momento? Successo, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questo egli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1Re 3,9).
Con questo racconto la Bibbia vuole indicarci che cosa, in definitiva, deve essere importante per un politico. Il suo criterio ultimo e la motivazione per il suo lavoro come politico non deve essere il successo e tanto meno il profitto materiale. La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente un politico cercherà il successo senza il quale non potrebbe mai avere la possibilità dell’azione politica effettiva.
Ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto».
Due i passaggi che vorrei sottolineare. La politica è impegno per la giustizia e per la pace: in questa breve dichiarazione il papa senza troppi fronzoli riassume il compito della politica, tra l’altro con un passaggio sanamente realistico laddove dichiara che il successo è utile e necessario a patto sia subordinato al criterio di giustizia.
Un richiamo severo: oggi tanta «politica ostentata» non è per nulla fondata e subordinata alla ricerca della giustizia e della pace. Ma il papa propone un passaggio ancora più stringente: il successo è subordinato anche alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto. «Servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia è e rimane il compito fondamentale del politico. In un momento storico in cui l’uomo ha acquistato un potere finora inimmaginabile, questo compito diventa particolarmente urgente...Come riconosciamo che cosa è giusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente? La richiesta salomonica resta la questione decisiva davanti alla quale l’uomo politico e la politica si trovano anche oggi».
Benedetto XVI una risposta la dà, anticipandola prima con una domanda ( e in questo si manifesta la sua vocazione di insegnante, direbbero i ragazzi un bravo prof!).
Provo a riassumere alcuni passaggi. Nella gran parte della materia da regolare giuridicamente, quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma «nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta: nel processo di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità deve cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento».
La storia ci ha mostrato che il criterio di maggioranza può permettere al potere costituito di calpestare e distruggere il diritto, cosicché lo stato diventa lo strumento per la distruzione del diritto.
Definisce «una banda di briganti molto ben organizzata, che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio» lo stato nazista e a tutti gli stati totalitari. Lo stato e le sue leggi dunque non sono l’unica fonte del diritto, anzi potremmo dire che le fonti del diritto antecedono lo stato stesso.
Solo in virtù ciò si giustifica la legittima, e talvolta eroica, resistenza di molti contro ordinamenti giuridici che minavano la dignità della persona «rendendo così un servizio al diritto e all’intera umanità. Per queste persone era evidente in modo incontestabile che il diritto vigente, in realtà, era ingiustizia».
E non poteva non ritornare sul valore del diritto naturale che non è dottrina cattolica; e lo fa senza negare che «la visione positivista del mondo è nel suo insieme una parte grandiosa della conoscenza umana e della capacità umana, alla quale non dobbiamo assolutamente rinunciare. Ma essa stessa nel suo insieme non è una cultura che corrisponda e sia sufficiente all’essere uomini in tutta la sua ampiezza. Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l’uomo, anzi, minaccia la sua umanità..».
Perché non si dà vita ad un “cortile dei gentili”, un cortile della gentilezza per aprire un confronto pensoso ed esigente, amichevole e di ascolto sincero?
© Copyright Europa, 24 settembre 2011 consultabile online anche qui.
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