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1 commento:
La scorsa settimana mi è capitato di leggere "un intervento di un lettore" su di un quotidiano riguardo alla "vexata questio" della comunione ai divorziati.
Premetto che non sono né separato, né divorziato, ma mi ha sinceramente fatto riflettere "un argomento robusto" (su cui la Chiesa abbarbicandosi a ragioni dottrinali ha sempre fatto "orecchio da mercante", non ha mai voluto saperne):
Il lettore evidenziava la "macroscopica discrasia" quanto alla rigidità della Chiesa comunione, tra il "mafioso pluri-pluri omicida, che dichiara a parole (magari carpendo la buona fede del confessore) di essere pentito dei suoi crimini (salvo in diversi casi, riprendere a commetterli all'uscita anticipata dal carcere, per presunta buona condotta, rispetto al soggetto il cui matrimonio, talvolta per oggettive incompatibilità caratteriali o malattie nervose di uno dei coniugi è fallito miseramente ed ha tentato con il divorzio di ricostruirsi una nuova vita affettiva e sessuale.
Come cattolico non accetto (tout court) il divorzio, anche se in alcuni casi, di situazioni negative inizialmente impreviste, vi si potrebbe discutere sopra; ma sul piano razionale ed emotivo (e quindi anche etico) trovo difficile da accettare integralmente il "no alla comunione ai divorziati che faticosamente hanno tentato di ricostruirsi una vita", mentre i pluriomicidi (alcune versioni calabro-sicule sono emblematiche) baciano le Madonne e fanno la comunione. La Chiesa "mantiene un atteggiamento ultra rigido", ma sul piano dell'equità appare talvolta discutibile e discriminatorio (una sorta di doppia morale).
Anonimo
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