Lectio magistralis del cardinale Angelo Bagnasco
Scopo della politica è la giustizia
ROMA, 5. Se la politica è una "forma alta di carità", allora compito dei politici non può essere solo quello di "registrare" passivamente ciò che accade, assecondando in modo acritico tendenze sociali o esigenze slegate da bisogni generali. Chi si occupa di politica, al contrario, deve svolgere una funzione di "guida", perché siano assicurati "a tutti gli stessi diritti secondo la linea di corrispondenza all'universale natura umana". È una lectio magistralis su Chiesa e politica quella che il cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha svolto ieri, domenica 4, a Frascati, aprendo un incontro estivo di formazione promosso dalla fondazione Magna Carta e dall'associazione Italia Protagonista.
Un'occasione per sottolineare i principi cardine dell'attività politica e per ribadire la legittimità dell'intervento pubblico della Chiesa, soprattutto quando sono in gioco i diritti dei più deboli, affinché "la società non diventi dei forti e dei furbi, cioè disumana". Anche per questo su valori come la difesa della vita e della famiglia, non è possibile alcune "mediazione": e in questo "la fede cristiana è l'avamposto della libertà umana".
Il porporato ha articolato il suo ragionamento mettendo in evidenza il particolare dovere dei battezzati di essere "sale" e "luce" del mondo. "Per annunciare il Vangelo è necessario che i cristiani siano dentro al mondo senza assimilarsi al mondo. Il vero, unico sale della storia è Cristo: egli solo preserva dalla corruzione della morte e restituisce all'universo il sapore delle origini". Per questo la Chiesa dà sale alla storia "nella misura in cui annuncia Cristo".
Così i fedeli laici, le innumerevoli parrocchie in Italia, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i diaconi permanenti, i gruppi, le associazioni e i movimenti, le scuole cattoliche, gli ospedali sono i "segni permanenti di una vicinanza capillare e quotidiana al mondo". Perché, "non è la voglia di mondano protagonismo che muove la Chiesa fin dalle sue origini, ma l'urgenza della sua missione: l'amore a Cristo, all'uomo, alla terra".
Tuttavia, ha osservato il cardinale, oggi si vorrebbe che la fede venisse confinata nel privato o che "rimanesse in sacrestia": la preghiera, si pensa, "in fondo non fa male a nessuno e la carità fa bene a tutti". In altri termini, "si vorrebbe negare la dimensione pubblica della fede concedendole la sfera del privato. È singolare, però, che a tutti si riconosca come sacra la libertà di coscienza, mentre dai cattolici si pretenda che prescindano dalla fede che forma la loro coscienza. I Pastori, poi, si vorrebbe che tacessero salvo che dicano cose gradite alla cultura che appare dominante perché ha potere di parola". Ma il punto centrale è "il dovere della Chiesa a dire ciò che deve perché l'umano non scompaia dal mondo".
L'annuncio della fede - continua il porporato - ha "implicazioni antropologiche, etiche, cosmologiche e sociali". Forse "si vorrebbe che l'annuncio di Cristo fosse un messaggio spiritualista talmente celeste da non disturbare la terra, ma così non può essere, perché il cristianesimo è la religione dell'Incarnazione" ed è aperto "a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza".
In questo senso, la Chiesa "da sempre considera la politica come una forma alta e indispensabile di carità", essendo il suo scopo "la giustizia", intesa come "valore morale che significa riconoscere a ciascuno il suo". Nella politica entra perciò in gioco non solo la dimensione politica ed economica, ma anche quella "spirituale e morale", cioè "l'anima della Nazione" che è "fatta di gente e di terra, di storia e di cultura", E se la politica non rispetta questa "anima" alla fine "tradisce il popolo in ciò che ha di più profondo e caro".
(©L'Osservatore Romano 5-6 settembre 2011)
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