Al Congresso eucaristico nazionale di Ancona
Un Pane per ogni fame
Ancona, 6. Compito del cristiano è essere «voce» di chi non ha voce e «pane» per ogni tipo di fame. È entrato decisamente nel vivo il XXV Congresso eucaristico nazionale che da sabato vede riuniti ad Ancona -- e nelle altre cittadine della metropolia -- almeno 150 vescovi, centinaia di delegati delle diocesi italiane e decine di migliaia di pellegrini. Appuntamento scandito da celebrazioni, ma anche dalle riflessioni e che vivrà il suo momento più alto nella giornata conclusiva di domenica 11, quando è atteso l'arrivo di Benedetto XVI.
Dopo le prime due giornate inaugurali, da ieri, lunedì, ha preso il via l'approfondimento con le sessioni tematiche delineate già nel 2006 al convegno ecclesiale di Verona e proposte anche in questa occasione come percorso per tutta la Chiesa italiana. Questa mattina, martedì, ad affrontare il tema della «fragilità» è stato in particolare l'arcivescovo prelato di Pompei, Carlo Liberati, che ha messo in evidenza il valore dell'Eucaristia come «presenza di misericordia». Per il presule, infatti, dal sacramento dell'altare il cristiano riceve una «ininterrotta educazione all'umiltà e al dono di sé». Infatti, «per ridare un volto divino a chi non ce l'ha se non deturpato, è necessario operare dall'interno: farsi uno con chi soffre nel corpo, nel cuore, nello spirito». La funzione «irrinunciabilmente profetica» della Chiesa è «sempre denuncia di tutto l'inumano contro l'uomo, la deturpazione del volto di Dio», anche perché «il peccato ha sempre conseguenze sociali, comunitarie». Occorre «annunciare, con i fatti, che l'amore -- essenza dell'uomo -- è possibile, che è possibile essere uomo, che è possibile vivere secondo il paradosso delle beatitudini». La Chiesa «deve farsi con i fatti voce di chi non ha più voce o non ha mai avuto voce», ma «non si può dimenticare che oggi l'oppressione riveste mille forme. Ce n'è anche una di tipo esistenziale, che si chiama solitudine, incomunicabilità, angoscia». Di fronte a ciò, «la Chiesa è stimolo esistenziale ai credenti per farsi pane per ogni tipo di fame dell'uomo, che oggi si dibatte tra speranze e angosce».
Il tema della fragilità è stato affrontato a Loreto, con una testimonianza personale, anche da Paola Bignardi, già presidente dell'Azione cattolica italiana. «Il dono più importante che mi ha fatto la malattia è il credere che la grazia, che gli altri chiedevano per me, non era la guarigione, ma il vivere nell'abbandono al Signore, il continuare a credere nel suo amore, a vivere dentro di esso». La Bignardi ha poi ricordato come Giovanni Paolo II, sette anni fa, proprio a Loreto abbia compiuto il suo ultimo pellegrinaggio. Anche da malato, Papa Wojtyła «è stato fedele fino alla fine alla missione che il Signore gli aveva affidato», insegnando «come si attraversa la malattia continuando a vivere, come si muore vivendo».
Sul compito che attende il cristiano di fronte alle circostanze attuali si è soffermato l'arcivescovo Giuseppe Bertello, nunzio apostolico in Italia, che dal 1° ottobre assumerà l'incarico di presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Per il presule, bisogna superare «l'individualismo imperante, culturale e pratico del nostro tempo, il “Faccio quello che mi pare” che si scontra con il sentimento di Gesù». In proposito Bertello ha citato l'esempio di madre Teresa di Calcutta per la quale «la peggiore malattia dell'Occidente non è la tubercolosi o la lebbra, ma il non sentirsi amati e desiderati, il sentirsi abbandonati». Infatti, «la società attuale con la sua ricerca di godimento sfrenato e di avere tutto e subito, con il suo consumismo spasmodico, che ci sollecita a saziare anche le esigenze più marginali, ci lascia quasi sempre insoddisfatti, con il cuore amareggiato, con un vuoto interiore».
Sulla stessa linea anche l'omelia pronunciata dal cardinale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, durante la messa presieduta, nel pomeriggio di lunedì 5, nella cattedrale di San Ciriaco ad Ancona. «La comunità ecclesiale ha il dovere, oggi più che mai, di assumere con delicatezza e discrezione quello stile eucaristico della raccolta dei pezzi avanzati nell'umanità della gente». Il porporato si è soffermato, infatti, sulle «tante forme di fame» dell'uomo, e sullo «stile eucaristico» di Gesù, che «si appassiona tanto alla nostra fame da svelarla per quella che è veramente: bisogno di salvezza». E commentando l'episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, così come viene narrato da Giovanni, il cardinale ha fatto notare che «anche nell'Eucaristia Gesù si appassiona ancora della fame dell'uomo», che non è mai soltanto una fame «materiale», ma è «fame di futuro, di salute, di felicità, di vita, di pace, di giustizia, di superamento delle discriminazioni, di vittoria sulle povertà, di dignità e di rispetto della persona».
(©L'Osservatore Romano 7 settembre 2011
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