Benedetto XVI all'udienza generale: dopo la morte non c'è il nulla ma l'amore di Dio, l'uomo ha bisogno di eternità
Ricordare i propri morti è come compiere “un cammino segnato dalla speranza di eternità”. Nel giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei fedeli defunti, Benedetto XVI ha voluto dedicare a questo tema la catechesi dell’udienza generale di questa mattina, tenuta in Aula Paolo VI. “Dietro il presente – ha affermato il Papa – non c’è il nulla e proprio la fede nella vita eterna dà al cristiano il coraggio” per amare “intensamente” la terra e di “costruirle un futuro”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
È inutile che in tanti si sforzino di negarlo e la mentalità dominante si affanni a rimuoverne la presenza compensandola con svariati feticci: l’umanità, “in sua larga parte, mai si è rassegnata a credere” che al di là della morte “vi sia semplicemente il nulla”. Con lo sguardo della fede e l’acume dell’esperienza, Benedetto XVI fa luce con una serie di pensieri in quell’angolo dell’anima dove spesso si preferisce non pensare: sulla realtà della morte, sul timore che essa suscita, sul vuoto che scava nel cuore e sulla pienezza della consolazione che viene da Dio. Il Papa si è in certo modo fatto compagno di chi in queste ore percorre i viali dei cimiteri cercando di scandagliarne i sentimenti, quei perché troppo grandi, primo fra tutti il perché la morte incute timore:
“E allora c’è in noi un senso di rifiuto perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento”.
Chi si preoccupa dei propri morti, con cura e con affetto – ha proseguito Benedetto XVI – cerca di “dare loro una sorta di seconda vita”. Tenta, ha soggiunto con profondità, di affrontare quella percezione che un giudizio vi sarà sulle azioni al termine della vita, “soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo rimuovere o tentiamo di rimuovere dalla nostra coscienza”:
“In un certo senso i gesti di affetto, di amore che circondano il defunto, sono un modo per proteggerlo nella convinzione che essi non rimangano senza effetto sul giudizio. Questo lo possiamo cogliere nella maggior parte delle culture che caratterizzano la storia dell’uomo”.
Oggi, “almeno apparentemente” il mondo “è diventato molto più razionale”, ha osservato il Papa, per cui “si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba rispondere non tanto con la fede, ma partendo da conoscenze sperimentabili, empiriche”:
“Non ci si rende sufficientemente conto, però, che proprio in questo modo si è finiti per cadere in forme di spiritismo, nel tentativo di avere un qualche contatto con il mondo al di là della morte, quasi immaginando che vi sia una realtà che, alla fine, sarebbe una copia di quella presente”.
Ma la visita a un cimitero, lo sguardo sulla foto di una persona amata e scomparsa mentre “si affollano i ricordi”, non è situazione alla quale possa rispondere alcuna scienza. Le tombe, ha suggerito Benedetto XVI, aprono uno squarcio nell’anima ben oltre il razionale. Perché?
“Perché, nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi (...) E davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro. La strada della morte, in realtà, è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità”.
Ecco dunque, ha chiarito il Papa, la verità che la Chiesa vive e testimonia celebrando i Santi e commemorando i defunti, sulla scia della risurrezione di Gesù che ha aperto all’uomo “le porte dell’eternità”:
“Solamente chi può riconoscere una grande speranza nella morte, può anche vivere una vita a partire dalla speranza. Se noi riduciamo l’uomo esclusivamente alla sua dimensione orizzontale, a ciò che si può percepire empiricamente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata (...) L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio”.
“Nel recarci ai cimiteri a pregare con affetto e con amore per i nostri defunti, siamo invitati”, ha concluso Benedetto XVI, “a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa grande speranza e testimoniarla al mondo”:
“Dietro il presente non c’è il nulla. E proprio la fede nella vita eterna dà al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare per costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza”.
Al termine della sintesi della catechesi in sei lingue, il Papa ha affidato i giovani, gli ammalati e i nuovi sposi all’antico vescovo di Milano, San Carlo Borromeo, del quale dopodomani ricorre la memoria liturgica. “Fu instancabile maestro e guida dei fratelli”, ha ricordato Benedetto XVI: il suo esempio “aiuti voi, cari giovani, a lasciarvi condurre da Cristo nelle vostre scelte per seguirLo senza timore; incoraggi voi, cari ammalati, ad offrire la vostra sofferenza per i Pastori della Chiesa e per la salvezza delle anime; sostenga voi, cari sposi novelli, nel generoso servizio alla vita”.
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