Benedetto XVI e il cortile dei gentili
Quando il simbolo si rinnova
Anticipiamo brevi stralci di uno degli articoli dell'ultimo numero della rivista «La Civiltà Cattolica».
di Jeanne-Pierre Sonnet
Creare un «cortile dei gentili» come luogo di un rinnovato dialogo fra credenti e non credenti è un'iniziativa felice sotto diversi aspetti; lo è in particolare per le parole che mette in gioco. Quando Benedetto XVI, nella sua allocuzione alla Curia romana del 21 dicembre 2009, ha espresso il desiderio di «aprire una sorta di “cortile dei gentili”», ha scelto il registro simbolico, riprendendo felicemente una parola e un'immagine bibliche. La scelta, che illumina molti altri contesti ecclesiali, prolunga una dinamica biblica, che è pure (o dovrebbe essere) il cuore della tradizione.
Scegliendo il termine «cortile», Benedetto XVI riprendeva una parola antica quanto l'Antico Testamento e le ha dato una nuova giovinezza. La parola «cortile» (hatser in ebraico) appare in Esodo, 27, 9 sulle labbra di Dio, nelle istruzioni date a Mosè a proposito del santuario mobile nel deserto: «Poi tu farai il cortile della dimora».
Al tempo del Nuovo Testamento il cortile esterno del tempio di Erode prese il nome di «cortile dei gentili», distinto dai recinti sacri più interni del santuario. Giudei e non giudei (o gentili), uomini e donne, qualunque fosse la loro situazione di vita, potevano frequentare il cortile dei gentili: si può pensare che questo spazio fosse particolarmente caro a quanti, fra i non giudei, erano desiderosi di avvicinarsi al Dio unico.
Benedetto XVI, riprendendo la parola della Bibbia ebraica, le ha dato dimensioni nuove. Ha illustrato in tal modo una dinamica che sottintende la crescita dell'intero corpus biblico (e anche della tradizione postbiblica), e che la ricerca esegetica chiama «ermeneutica dell'innovazione».
Nell'uso di Benedetto XVI l'innovazione è certamente presente, e nasce dall'incrocio del simbolo del «cortile» con altri attestati biblici, profetici ed evangelici. «Mi viene in mente la parola che Gesù cita dal profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe essere una casa di preghiera per tutti i popoli (cfr. Isaia, 56, 7; Marco, 11, 17). Egli pensava al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori, perché ci fosse uno spazio libero per i gentili che volevano pregare l'unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l'interno del tempio».
A queste prospettive Benedetto XVI unisce la rilettura paolina, che è la più radicale: «E se all'epoca, il cortile era anche un luogo di esclusione, poiché i “gentili” non avevano il diritto di penetrare nello spazio sacro, Gesù Cristo è venuto “ad abbattere il muro di separazione che divideva” i giudei e i gentili, e “per riconciliare tutti e due con Dio, in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l'inimicizia; egli è venuto ad annunciare pace” (cfr. Efesini, 2, 14-17), come ci dice san Paolo».
Un altro simbolismo neotestamentario, preso dagli Atti degli Apostoli, è innestato sul simbolo originario. Benedetto XVI, auspicando un luogo che consenta di «avvicinare Dio in quanto sconosciuto», o parlando del «cortile del Dio sconosciuto», inseriva nel simbolismo del cortile il discorso di Paolo nell'Areopago di Atene.
La voce profetica e la voce paolina, quella del Vangelo e quella degli Atti degli Apostoli, sono così richiamate nell'ermeneutica rinnovata del simbolo del «cortile», trasformato in modo sia letterario sia teologico.
Quando si tratta dell'eredità biblica, la radicalità o l'ampliamento dei rilettori-riscrittori non significa mai un rinnegamento delle origini. Riferito al mistero di Cristo e all'esperienza della Chiesa, il «cortile» acquista una nuova portata, senza perdere il suo primo legame con la storia biblica.
Se il simbolo del «cortile» illustra la dinamica temporale che va dall'antico al nuovo, rivela anche la sua forza in quanto simbolo spaziale, una soglia che unisce più che separare, uno spazio contiguo dove l'uno e l'altro si intrattengono. Trattandosi di un simbolo, entra subito in gioco l'immaginazione, che suscita scene di azione, anzi scene di movimento, di attesa reciproca, di presentazione, di ascolto e di risposta. Essendo un simbolo, il «cortile» biblico si presta alla fusione con altri simboli affini.
Così il cortile di Notre-Dame a Parigi si è come offerto spontaneamente all'incontro del 24-25 marzo 2011 nella capitale francese. Ma anche altri «corti», arene o forum, dove si esprime la saggezza delle nazioni o anche il pensiero della modernità critica, sono tali da arricchire la simbologia di origine biblica, come è stato il caso della sede dell'Unesco in occasione dell'incontro parigino.
Aprendo questo spazio «fra due», il termine «cortile» è già di per sé un inizio di incontro, una parola di benvenuto, ed è, come ogni simbolo riconosciuto, portatore di una saggezza che ci difende da molti falsi saperi. La parola anticipa l'incontro degli uni e degli altri sulla soglia: le soglie di esistenze umane molto diverse, ma anche dell'assoluto di Dio, «il limite insperato del visibile», come ha scritto il poeta Yves Namur.
(©L'Osservatore Romano 6 novembre 2011)
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