A colloquio con l'arcivescovo Blume, nunzio apostolico nel Paese africano
Non si può separare l'evangelizzazione dallo sviluppo
Lo sforzo maggiore verso il quale è proteso il Benin è di passare dalla categoria delle nazioni meno sviluppate a quella delle nazioni in via di sviluppo. Un passaggio evidentemente epocale, che vede la Chiesa locale impegnata su fronti diversi. Le difficoltà e le sfide da affrontare tuttavia sono enormi. Ne parla in questa intervista al nostro giornale l'arcivescovo Michael A. Blume, nunzio apostolico nel Paese africano.
Come si presenta il Benin all'appuntamento con il Papa?
Benedetto XVI trova un Paese che cerca di passare dalla categoria dei Paesi meno sviluppati a quella dei Paesi in via di sviluppo. Ma il tasso di crescita economica era al 3 per cento nel 2010, contro una proiezione del 6,5, e il reddito pro capite è di meno di 600 dollari all'anno. Ci sono anche altre realtà dove si ricerca la giustizia del Regno. Nel mondo del lavoro il sottoimpiego è notevole e riguarda il 70 per cento della popolazione attiva occupata, colpendo soprattutto i giovani. Circa il 95 per cento delle persone occupate lavora in settori come l'agricoltura, l'allevamento, la pesca, e il commercio occupa più del 70 per cento della popolazione attiva. Il lavoro e la tratta dei bambini restano una grande preoccupazione. Sebbene le esportazioni del cotone, degli anacardi e dell'olio da palma siano importanti, la base industriale resta debole. Nel campo dell'educazione, l'insegnamento primario pubblico -- e in parte anche quello agli altri livelli -- è gratuito per tutti, ma ci sono scioperi ciclici da parte degli insegnanti. Come reazione, da alcuni anni si osserva un moltiplicarsi di scuole, licei, collegi e università privati, il che rende l'educazione costosa. Le scuole confessionali, soprattutto cattoliche, tengono invece conto della dimensione della solidarietà verso i più poveri. Una situazione simile si riscontra anche nelle strutture sanitarie pubbliche a causa degli scioperi e della corruzione, giungendo a volte a non offrire neppure i servizi di base, con molte conseguenze negative, inclusa la perdita della vita. Le strutture cattoliche, e più in generale quelle confessionali, cercano di fare del loro meglio, nonostante le difficoltà. Si può citare l'esempio dei centri che accolgono i malati di mente e che assistono le persone colpite dalla lebbra o dall'Hiv-aids, garantendo un accompagnamento e una presenza accanto a questi malati. Sono alcune realtà che i cristiani devono penetrare come luce del mondo.
Cosa potrebbe fare la comunità internazionale per favorire lo sviluppo del Paese?
Il Benin riceve molta assistenza dalla comunità internazionale. È opportuno continuare a insistere sulla trasparenza nella gestione e nell'utilizzo di questa assistenza, sia finanziaria sia tecnica, e anche in natura. D'altro canto, bisogna evitare di unire all'aiuto prestato l'imposizione di ideologie come quella della «salute riproduttiva». Mi sembra giusto ricordare il principio di sussidiarietà e promuovere, per esempio nella prevenzione al paludismo, mezzi che siano alla portata di tutti: drenaggio delle acque stagnanti, salubrità e bonifica dell'ambiente, coltivazione di piante che respingono le zanzare.
Qual è il ruolo della Chiesa?
La Chiesa svolge un ruolo importante fin dagli inizi dell'evangelizzazione. Lo si può constatare negli ambiti della salute, dell'educazione, dell'assistenza per le emergenze nei casi di disastri. Questo ruolo riguarda sia i mezzi tecnici, sia la formazione spirituale dei responsabili di questi ambiti centrali per il benessere del Paese. Infine la Chiesa si sforza di non separare l'evangelizzazione dallo sviluppo.
In un Paese a maggioranza animista, come viene considerata la presenza della Chiesa?
Per quanto riguarda l'animismo, è più corretto dire che la maggioranza della popolazione appartiene a una cultura profondamente influenzata dalle tradizioni religiose che si tramandano da secoli. Questa cultura è alla base di quello che ogni visitatore osserva in Benin: un clima di gentilezza, di rispetto, di comunicazioni facili. In questo contesto, la presenza della Chiesa è ben accetta, per i suoi servizi nel campo dell'educazione e della carità. Ma ci sono anche situazioni in cui questa presenza può essere oggetto di diffidenza, di discriminazione e addirittura di violenza. Sono convinto, per esempio, che ci siano dei martiri in Benin, delle persone uccise in odium fidei. Si osservano anche manifestazioni più «radicali» della tradizione, legate soprattutto alle questioni economiche.
Quali sono i settori nei quali questa presenza cattolica si fa maggiormente sentire?
Oltre che nell'ambito educativo e sanitario, bisogna riconoscere alla Chiesa un ruolo importante nella riconciliazione e nell'esercizio del buon senso nei negoziati. La Chiesa può offrire alternative al dibattito spesso distruttivo per quanto riguarda le motivazioni nei settori dell'educazione e della salute. Per esempio, si richiede spesso la presenza della Chiesa -- nel senso di gerarchia -- come mediatrice nei conflitti fra il Governo e i sindacati o i partiti d'opposizione. Il nostro caro e compianto cardinale Bernardin Gantin aveva, spesso e con grande discrezione, offerto il suo servizio. Ma si vorrebbe vedere una maggiore maturità da parte dei fedeli laici, che dovrebbero dimostrarsi capaci di risolvere i problemi alla luce del Vangelo di Cristo e della dottrina sociale della Chiesa. L'intervento della gerarchia può essere utile, ma non si deve pensare subito e solo ai vescovi.
La decisione di consegnare alla Chiesa in Benin l'esortazione post-sinodale servirà a rafforzare la consapevolezza del ruolo che questa Chiesa particolare è chiamata a svolgere nella nuova evangelizzazione di tutto il continente?
Il Papa concede al Benin il privilegio di essere in primo piano nella consegna dell'esortazione post-sinodale. Bisogna ricordarlo spesso, soprattutto nell'ambito della formazione permanente a tutti i livelli -- laici, clero, seminaristi, persone consacrate, movimenti e associazioni -- affinché questa grazia penetri più profondamente nel nostro cuore e nei nostri pensieri. C'è attualmente grande entusiasmo per la visita di Benedetto XVI. Ma dopo la sua partenza, continueremo a ricordare e ad approfondire l'esperienza. Sì, il Benin è chiamato a offrire una testimonianza nell'evangelizzazione e nella generosità del sacrificarsi per il Vangelo. All'interno del Paese è necessario mobilitare i movimenti ecclesiali per la nuova evangelizzazione, come pure per la prima evangelizzazione, e occorre anche rafforzare le istituzioni di solidarietà pastorale e missionaria, come il Fidei donum. Al di fuori del Paese, soprattutto in Africa, ci si aspetta dai sacerdoti e dai fedeli laici che siano pronti a offrire la loro esperienza dei 150 anni di fede in Gesù Cristo alle nazioni, a tante situazioni in Africa e nel mondo che richiedono testimoni autentici di Gesù Cristo. Non si tratta solo di cercare la giusta tecnica di evangelizzazione. La missione è una grazia, per la quale dobbiamo ringraziare il Signore della messe e invocarlo spesso.
(©L'Osservatore Romano 19 novembre 2011)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento