lunedì 14 novembre 2011

Il Benin attende Benedetto XVI: interviste con fra Coppari e padre Avocan (R.V.)

Il Benin attende Benedetto XVI: interviste con fra Coppari e padre Avocan

In Benin fervono gli ultimi preparativi per la visita del Papa. Ma cosa significa per questo Paese la presenza di Benedetto XVI? Al microfono del nostro inviato Massimiliano Menichetti, risponde il superiore della Custodia dei Cappuccini in Benin, fra Luigi Coppari, raggiunto telefonicamente a Cotonou:

R. – La presenza del Papa significa la presenza della Chiesa cattolica e il senso dell’unità, sentirci in comunione… Qui è molto vivo il problema dell’inculturazione, cioè sentire che il Cristo viene in Africa e si incarna nelle consuetudini africane e la venuta del Papa porta il volto di Cristo e l’autentica fede cattolica. Quella del Benin è una Chiesa giovane. E’ una gioia per tutti questa visita. Qui ci sono molte vocazioni: a Cotonou ogni anno abbiamo tra 25 e 30 sacerdoti – secolari, camilliani, cappuccini … Ci sono molte, molte vocazioni. Però è ancora una Chiesa giovane che deve consolidarsi, fortificarsi.

D. – In molti ribadiscono che un aspetto che va rafforzato è anche quello della pastorale familiare…

R. – Sì: perché le famiglie risentono ancora delle mentalità diverse, tradizionali, che rendono la famiglia fragile, poco unita, con dei problemi. Per questo, la venuta del Papa certamente sarà un sostegno in ogni direzione.

D. – C’è bisogno anche di supporto per quanto riguarda l’aspetto della formazione?

R. – I primi missionari avevano creato in tutte le parrocchie le scuole primarie, ancora oggi molte scuole, in Benin, sono gestite dai cattolici, dalle parrocchie. Però, si sente la necessità di una formazione più profonda a livello di università. Attualmente ci sono i domenicani nella principale università del Benin, ma certamente occorre una maggiore formazione a tutti i livelli.

D. – A Ouidah, il Papa visiterà la tomba del cardinale Gantin, una figura estremamente rilevante per il Paese…

R. – E’ un omaggio che farà a questo grande cardinale del Benin, a cui sono stati dedicati l’aeroporto, diverse strade, diverse iniziative… E’ stato un grande personaggio, rispettato da tutti, dai musulmani, dalle religioni tradizionali. Il cardinale Gantin è stato un esempio straordinario. Sentiva tutti i valori africani del Benin, ma allo stesso tempo – diceva - viviamo bene la nostra fede cattolica romana.

D. – A Ouidah, il Papa farà visita alla Basilica dell’Immacolata Concezione e firmerà l’Esortazione apostolica post-sinodale. Qui c’è anche una porta di schiavitù, la “porta del viaggio senza ritorno”, come l’altra, visitata da Giovanni Paolo II in Senegal, a Gorée

R. – Ouidah è la città delle porte. Ouidah è un po’ il simbolo del cristianesimo, del cattolicesimo nella zona del Golfo di Guinea, il vecchio Dahomey. Qui dal 1600 fino ai primi del 1800 la schiavitù – “l’esclavage” – riguardava non solo il Benin ma tutti i Paesi del Golfo… La porta di Ouidah era il luogo dove venivano convogliati migliaia di uomini, donne e bambini, marchiati, segnati, con le mani legate, stipati su barche enormi, migliaia e migliaia di persone. Moltissimi morivano lungo il viaggio …

D. – E quella porta, che cosa è diventata, dopo?

R. – Negli anni 1985-’86 l’Unesco ne ha fatto un monumento: un grande arco che guarda sull’Oceano, e si chiama “porta del non ritorno”. In seguito, affianco a quella, per l’anno del Giubileo del 2000, è stata innalzata invece una “porta della salvezza”; poi è stato costruito un terzo monumento, una terza porta, che si chiama “la porta del ritorno”, cioè del rimpatrio dei discendenti degli antichi schiavi che ritornano in Benin. Ora c’è anche una quarta porta, prima di Ouidah, per questo oggi Ouidah è “la città delle porte”.

D. – Voi che cosa porterete al Papa in questo viaggio?

R. – Noi porteremo il sostegno della nostra preghiera e la nostra vicinanza al popolo. Diremo al Papa che continueremo ad impegnarci, a fare del nostro meglio, con la nostra presenza, con la nostra opera. Due anni fa, qui, abbiamo lasciato ai diocesani una parrocchia e ne abbiamo presa un’altra in un quartiere popolare, per essere sempre “in frontiera”. Abbiamo tre opere caritative, tre case di accoglienza; abbiamo più di 200, 250 ragazzi nelle famiglie: una grande attività caritativa e di prossimità alla gente bisognosa. Tutto questo lo metteremo nelle mani del Papa. Io penso che la ricchezza maggiore che possiamo dare e che abbiamo dato finora sia di suscitare nuove vocazioni: anche per questo pregheremo insieme a Benedetto XVI. (gf)

Ma quale importanza ha la religione in Africa? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto a padre Celestin Avocan, dottore in teologia presso la diocesi di Lokossa:

R. – L’importanza della religiosità in Africa oggi viene fuori dalla tradizione africana stessa. L’africano è molto religioso, ma per anni ha seguito la religione naturale ed è importante aiutarlo a comprendere bene il cristianesimo e a seguire Cristo, Parola del Dio vivente.

D. – L’incontro che il Papa avrà a Ouidah con i seminaristi...

R. – L’incontro ha importanza, perché il seminario maggiore di Ouidah è stato il luogo affidato al primo vicariato nel 1881, per preparare tutti i preti e i presbiteri della costa occidentale dell’Africa. Venivano a Ouidah quelli che abbiamo conosciuto come cardinali in Costa d’Avorio, Ghana, Senegal. Ouidah è come la “nonna”, l’alma mater per tutti. Lì è stato seppellito il cardinal Gantin che, per 32 anni, ha lavorato a Roma in curia e che è stato creato cardinale lo stesso giorno dell’attuale Papa Benedetto XVI. E’ importante anche per mostrare ai seminaristi che possono partire proprio da Ouidah per rinnovare la vita in Africa oggi, che punta di più sulla comunione, sulla solidarietà piuttosto che sull’egoismo e individualismo.

D. – Tre pilastri: riconciliazione, giustizia e pace...

R. – Sono importanti perché l‘Africa ha naturalmente una cultura di solidarietà, ma questa solidarietà deve essere illuminata dal Vangelo. Questa solidarietà e questa cultura, che noi africani vediamo così bella, ha i suoi limiti e le sue imperfezioni. Come è stato detto ad Abramo: “Lascia la tua terra e va’ dove ti indicherò”, anche l’Africa deve vivere un esodo di liberazione grazie al Vangelo per evitare la chiusura su se stessa.

D. – Qual è l’augurio che lei fa al Papa in questo viaggio?

R. – Che sia ascoltato da tutti. L’aspettano con gioia, per ritrovare qualcuno che può dare energia, confermare nella fede. La sua semplicità colpirà, perché da lontano si pensa che Papa Benedetto sia una persona rigida, ma quando si esprime è semplice e questo colpirà i cuori. Conosco la tradizione del mio Paese: la semplicità dell’ospite provoca accoglienza e questo sarà importante. (ap)

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