Il Papa ai sacerdoti: riscoprite la bellezza del celibato. L'udienza generale dedicata al Salmo 119
La legge di Dio non chiede di essere seguita con l’obbedienza di un servo, ma con l’ascolto di un figlio. Lo ha affermato Benedetto XVI commentando all’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro il Salmo 119. Nella sua riflessione, il Papa ha anche invitato i sacerdoti a riscoprire “la bellezza e la forza” del celibato. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Un lungo Salmo, dalla costruzione letteraria complessa, per esprimere con la forza evocativa della poesia una semplice e profonda realtà della fede: che chi ascolta Dio e segue la sua Parola ha tutto, vita, speranza, consolazione. Benedetto XVI ha affrontato davanti alle migliaia di persone in Piazza San Pietro “l’imponente e solenne” canto che si condensa nei 176 versi del Salmo 119, secondo la tradizione ebraica (118 secondo quella greco-latina). Un canto “unico nel suo genere”, ha detto, tutto dedicato alla grandezza della Torah, cioè della legge divina:
“Di amore per la Parola di Dio è tutto pervaso questo Salmo, che ne celebra la bellezza, la forza salvifica, la capacità di donare gioia e vita. Perché la Legge divina non è giogo pesante di schiavitù, ma dono di grazia che fa liberi e porta alla felicità”.
Una legge che rende liberi e non schiavi. La Madonna, ha osservato Benedetto XVI, è stata la prima creatura a comprendere e a vivere con pienezza questa verità; Lei che – ha soggiunto – è stata della Parola di Dio “attenta e amorosa custode” e che sempre insegna al cristiano quale atteggiamento assumere davanti ai comandi di Dio:
“La Legge di Dio chiede l’ascolto del cuore, un ascolto fatto di obbedienza non servile, ma filiale, fiduciosa, consapevole. L’ascolto della Parola è incontro personale con il Signore della vita, un incontro che deve tradursi in scelte concrete e diventare cammino e sequela”.
Proseguendo nella sua riflessione, il Papa ha si è voluto soffermare su un versetto particolare di un Salmo che, ha commentato, è come un “vocabolario del rapporto fiducioso del credente con Dio”. Il versetto in questione, il 57 – che afferma: “Il Signore è mia parte di eredità” – si riferisce in particolare ai sacerdoti della tribù ebraica di Levi i quali, ha spiegato Benedetto XVI, in quanto “mediatori del sacro”, non potevano essere “proprietari di terre” poiché Dio era “la loro terra” e dunque a Lui dovevano affidare ogni necessità:
“Questi versetti sono di grande importanza anche oggi per tutti noi. Innanzitutto per i sacerdoti, chiamati a vivere solo del Signore e della sua Parola, senza altre sicurezze, avendo Lui come unico bene e unica fonte di vera vita. In questa luce si comprende la libera scelta del celibato per il Regno dei cieli da riscoprire nella sua bellezza e forza”.
Per tutti i fedeli, questi stessa parte del Salmo è un richiamo alla “radicalità del Vangelo”, a confidare nel Signore e nella sua Parola – ha concluso il Papa – e a vivere con Lui “nella comunione e nella gioia”:
“Lasciamo dunque che il Signore ci metta nel cuore questo amore per la sua Parola, e ci doni di avere sempre al centro della nostra esistenza Lui e la sua santa volontà. Chiediamo che la nostra preghiera e tutta la nostra vita siano illuminate dalla Parola di Dio, lampada per i nostri passi e luce per il nostro cammino, come dice il Salmo 119, così che il nostro andare sia sicuro, nella terra degli uomini”.
Al termine delle catechesi nelle altre lingue, Benedetto XVI ha rivolto fra gli altri un saluto ai Missionari Verbiti e ai militari della Brigata Granatieri di Sardegna di stanza a Roma, che hanno intonato le note di una marcetta.
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