La Santa Sede e l’Europa dalla fine della grande guerra al concilio
L’impronta di Benedetto padre e nutritore
Alberto Monticone
Il 24 e il 25 novembre si svolge a Roma il convegno «Cum Petro et sub Petro» organizzato dall’Associatio sanctus Benedictus patronus Europae. Pubblichiamo stralci di uno degli interventi.
Sino alla prima guerra mondiale non si era posto per la Santa Sede il problema di una specifica considerazione dell’Europa da identificare e da distinguere dalle altre regioni del mondo ovvero cui dedicare una speciale cura pastorale. Dalle sue origini la Chiesa aveva stabilito la sede di Pietro a Roma e per secoli si era adoperata per l’evangelizzazione del vecchio continente e a partire da esso.
Anche le aperture in Oriente e in Africa e l’approdo nelle Americhe non avevano mutato il criterio della irradiazione della fede cristiana dal suo centro europeo attraverso l’attività missionaria. Ma le fratture sociali e politiche, che segnarono dagli inizi dell’età contemporanea tutto il XIX secolo e culminarono nelle due guerre mondiali del XX, indussero i pontefici a una speciale sollecitudine per l’Europa, sia nel perorarne e nel favorirne la pacificazione, sia nel richiamarne valori religiosi e umani unificanti. D’altra parte già la Grande Guerra 1914-1918 vide implicate con peso crescente nazioni da un capo all’altro del globo e, alla sua conclusione, il baricentro della politica, dell’economia e di molti aspetti della vita sociale andò progressivamente spostandosi dalla tradizionale collocazione europea.
Fu Benedetto XV ad aprire, per così dire, gli interventi di salvaguardia della pace, di invito a ricercare un’etica civile comune e a intraprendere azioni umanitarie, partendo dal cuore del conflitto cioè dal vecchio continente, perché da esso richiamato alla sua originaria civiltà venissero l’esempio e l’apporto decisivo alla pace ed alla fraternità tra i popoli. L’esperienza tremenda di quella prova bellica, e dello strascico di violenza che seguì, venne condivisa da alcuni dei futuri Pastori della Chiesa cattolica, e segnatamente da Eugenio Pacelli, da Angelo Roncalli e da Giovanni Battista Montini, che siederanno sulla cattedra di Pietro dopo la seconda guerra mondiale e dopo l’epoca dei totalitarismi.
Pace, valori spirituali e umanitari perseguiti da Giacomo Della Chiesa furono le preoccupazioni dei suoi successori, in una prospettiva universalistica che doveva avere la sua sorgente nella tensione unitaria del vecchio continente, che in tal modo avrebbe riconosciuto e rinnovato la sua missione civile e religiosa nel mondo.
L’idea di una nuova “civiltà cristiana”, che avesse quale fulcro l’Europa devastata materialmente e moralmente dagli eventi bellici del 1939-1945, dal disprezzo dell’uomo e dal dilagare di ideologie e prassi ateistiche o anticristiane, fu cara a Pio XII nel corso stesso del conflitto e quindi tramutata in forte appello all’indomani della sua conclusione. Non era stata ancora siglata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), né stabilmente eretta la “cortina di ferro” e già Papa Pacelli esortava gli europei non solo a impegnarsi nella ricostruzione materiale, sociale ed economica, ma anche nell’opera rivolta ad alimentare di fede cristiana il continente, seguendo l’esempio di san Benedetto, da lui definito «padre dell’Europa», anzi Europae altor et parens, al quale l’Europa doveva la vita e il nutrimento.
Molto significativa fu a questo proposito la sua allocuzione pronunciata l’8 settembre 1947 nella basilica di San Paolo fuori le Mura in occasione della ricorrenza del quattordicesimo centenario della morte di san Benedetto alla presenza dei rappresentanti dell’ordine benedettino.
In essa Pio XII istituiva un parallelo tra la condizione nella quale si trovava il vecchio continente al tempo del patriarca del monachesimo occidentale e quella di quel momento postbellico, cioè fra la decadenza dell’impero romano vetustate et vitiis exesum e invaso dai barbari e le rovine dell’Europa uscita dalla tempesta distruttiva dell’ultima guerra.
Benedetto era elogiato e proposto a modello per aver unito romanità — nel senso cristiano adoperato da Tertulliano — e Vangelo, spendendosi ad coniungendos Europae populos sub vessillo auspicioque Christi et ad rem Christianorum publicam feliciter conformandam. E tracciava una sorta di carta geografica dell’Europa sottolineando la diffusione dei monasteri benedettini a Codano Sinu ad Mediterraneum Mare, ab Oceano Atlantico ad viridia Polonorum aequora.
Quello di Pio XII era un progetto di “nuova cristianità” che per il suo taglio più strettamente ecclesiale non coincideva con i propositi dei tre eminenti politici cattolici promotori dell’europeismo Robert Schuman, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, che nei primi anni Cinquanta compirono i passi iniziali verso l’unione europea occidentale. Per questi personaggi tutti i Papi poi succedutisi al soglio pontificio avranno grande stima e riconoscenza, citandoli a esempio nei momenti di crisi o di infiacchimento del movimento europeo, specialmente quando la speranza di una civiltà cristiana fu fortemente posta in discussione dalla secolarizzazione e dalla declinante considerazione della persona umana.
Con i Trattati di Roma del 1957 la convergenza tra l’orientamento e l’azione politica dei fautori dell’Europa unita da una parte e le indicazioni dei Papi dall’altra andò crescendo, giungendo ad un suo significativo incontro soprattutto dopo la spinta impressa dal Concilio Vaticano II con i suoi documenti maggiormente attinenti al rapporto tra chiesa e mondo: Lumen gentium, Dignitatis humanae e Gaudium et spes. Gli indirizzi del Concilio furono per così dire anticipati negli anni immediatamente precedenti il 1962 tanto dall’allora arcivescovo di Milano Montini, quanto da Papa Giovanni XXIII e da quest’ultimo poi ribaditi nella sua enciclica Pacem in terris. Il primo in occasione della collocazione di una statua della Madonna su una vetta delle Alpi lombarde con vasto panorama verso nord riecheggiava l’impostazione spirituale e religiosa di Pio XII posta a fondamento dell’unità europea, ma ne ampliava l’orizzonte alla valorizzazione civile della società del continente.
Nella sua allocuzione pronunciata il 20 maggio 1958 ebbe così a dire: «Europa! Nome superbo, ma ben degno della Regina del cielo e della terra. Nome solenne, carico di secoli, che hanno lentamente depositato un manto di storia, dovunque esso si stende, e si chiama civiltà, degno perciò della Regina della pace. Nome antico, ma che oggi risuona come fosse ora scoperto, e che ben si addice a Colei che fu portatrice nel tempo del Dio eterno. Nome nostro, nome caro, nome benedetto, dalle cento favelle, dalle mille città, dalle infinite strade, nome di questo suolo fatidico, arato senza fine per un pane che ora vogliamo comune; conteso da interminabili guerre, perché finalmente riposasse placato dal sangue d’ogni nazione; cosparso da sterminate officine, ora non più frementi di ostile invidia, ma pulsanti al ritmo di fraterna fatica; ornato da innumerevoli templi che tutti si dicono cristiani e attendono di ricomporre una medesima, indefettibile Chiesa cattolica; tutto disseminato delle nostre case e dei nostri cimiteri; nome sacro, Europa, nome della madre terra, risplende congiunto a quello della Madre di Cristo, della nostra Madre celeste» (Discorsi e scritti milanesi, pp. 2159-2160).
Qualche mese più tardi nel settembre di quell’anno tornò esplicitamente sull’argomento indicando la finalità dell’unità religiosa dell’Europa quale servizio prezioso per il superamento delle divisioni politiche e sociali e quale componente rilevante per la promozione dello sviluppo. Egli si rifece all’abbinamento di preghiera e lavoro di stampo benedettino, nel quale scorgeva il metodo di vita umana e cristiana. Anzi giunse a preconizzare la proclamazione di san Benedetto a patrono dell’Europa, motivandola con queste parole: «Se un giorno l’Europa sarà unita, il santo di Norcia sarà proclamato patrono dell’Europa, perché tutta l’Europa ha attinto dagli insegnamenti di questo gigante del cristianesimo». (ivi, p. 3669). Quattro anni dopo da Pontefice, senza attendere la realizzazione dell’unità, avrebbe posto in essere tale sua intenzione.
Giovanni XXIII da parte sua, nel maggio 1960, in un messaggio ad un folto gruppo di sacerdoti ex combattenti riuniti nel monastero di Montecassino, elogiava il loro intendimento di superare le divisioni del passato per conseguire una vera e definitiva riconciliazione e li esortava ad impiegare lo stesso spirito di abnegazione e di sacrificio con il quale avevano affrontato le prove della guerra nello sforzo di unire i popoli desiderosi di ritrovare la pace. E riprendeva la ormai nota espressione di Pio XII, additando l’esempio di san Benedetto operatore di pace e «padre dell’Europa». Tale stretto legame tra il valore dell’opera di pacificazione e la costruzione di nuovi modi di comunità delle nazioni, a cominciare dal vecchio continente ove ancora nel corso della seconda guerra mondiale si erano accumulate le rovine materiali e morali, venne in seguito da lui sviluppato nell’enciclica Mater et magistra in termini universalistici.
Comunque nel pensiero dei Pontefici il riferimento al santo di Norcia in ordine alla pace e all’Europa era stabilmente assunto a traccia di un percorso da continuare e sviluppare con attenzione ai segni dei tempi e in parallelo al faticoso e talora incidentato sviluppo dell’azione europeistica della politica e della società.
Tale percorso, ben inserito nella preparazione del Vaticano II, approdò, come è noto, alla formulazione dei criteri universalistici nell’enciclica di commiato di papa Roncalli Pacem in terris e nell’assise conciliare, proprio sul doppio binario del rinnovamento della Chiesa e del mondo e dei loro reciproci rapporti, riservando naturalmente alla Chiesa annunciatrice del Vangelo all’umanità il compito del pastore che veglia e cura il suo gregge, quello dentro il recinto e quello al di fuori a cui è destinata, ponendo in campo di tempo in tempo l’attenzione e gli strumenti opportuni ed aggiornando il proprio metodo. Si spiegano così tanto la continuità delle linee d’intervento dei pontefici, quanto i successivi nuovi passi sino agli inizi del XXI secolo.
(©L'Osservatore Romano 25 novembre 2011)
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