Il cardinale Grocholewski per il settantesimo anniversario della Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali
Nuovi operai nella vigna del Signore
Nicola Gori
Settant’anni al servizio di una missione di vitale importanza per la Chiesa: la promozione delle vocazioni. È per celebrare questa significativa ricorrenza che in questi giorni la Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali ha organizzato a Roma un convegno nel corso del quale stanno emergendo dati eloquenti sul lavoro svolto in questo periodo: il più evidente è l’aumento delle vocazioni in diverse aree del mondo. Ne abbiamo parlato con il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, della quale fa parte l’Opera. Tra gli obiettivi futuri indicati dal cardinale in questa intervista al nostro giornale, la volontà di offrire nuovi operai alla vigna del Signore nel momento in cui il Papa chiede un particolare impegno per la nuova evangelizzazione.
Come e con quali finalità è nata la Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali?
Fu Pio XII a istituirla con il motu proprio Cum nobis. In seguito vennero emanati gli statuti e le norme esecutive dall’allora Sacra Congregazione dei Seminari. All’atto della creazione, le fu assegnata la finalità di promuovere le vocazioni sacerdotali in tutta la Chiesa. Essa ebbe, quindi, la facoltà di aggregare persone fisiche e realtà associative che operavano in questo ambito. I suoi compiti erano quelli di curare l’istituzione e l’incremento, nelle Chiese locali, delle attività specifiche volte a promuovere le vocazioni, come le iniziative di preghiera per le vocazioni, il sostegno ai seminari, gli studi e le pubblicazioni, lo svolgimento di congressi e via dicendo. Fin dalla sua creazione, dunque, l’Opera si è attivata per creare una cultura vocazionale in tutta la Chiesa e nelle singole diocesi sparse nel mondo. La preghiera per le vocazioni, promossa sia da parte di persone singole sia da parte di comunità, è stata sempre l’anima e il sostegno della pastorale vocazionale. Da quando, nel 1964, è stata istituita la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, l’Opera si impegna a diffondere in modo capillare il messaggio del Papa in tutto il mondo.
Quanto ha inciso il concilio Vaticano II sulla fisionomia e sull’attività dell’Opera?
Grazie al Vaticano II, la Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali trova un orientamento chiaro nella prima parte del decreto Optatam totius, laddove si afferma che il dovere di promuovere le vocazioni appartiene al vescovo. Ma anche l’intera comunità cristiana è responsabile per la sollecitudine delle vocazioni a livello parrocchiale, nazionale e universale. In questa linea, l’Opera ha seguito con cura il rinnovamento conciliare della pastorale vocazionale. Negli anni Settanta, ha chiesto a tutti i Centri nazionali vocazioni di rinnovare i loro piani nazionali e di farli conoscere al suo ufficio presso la Congregazione per l’Educazione Cattolica. In seguito, nel 1981, ha organizzato il congresso internazionale su «Sviluppi della cura pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari: esperienze del passato e programmi per l’avvenire» e ha pubblicato il documento conclusivo. Poco più di dieci anni dopo, nel 1982, lo ha aggiornato con un altro documento: «Sviluppi della pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari».
E poi nel 1990 c’è stato il Sinodo dei vescovi sulla formazione sacerdotale.
Il testo che ne ha raccolto i frutti, l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Pastores dabo vobis, del 25 marzo 1992, è stata una pietra miliare per la pastorale vocazionale. Per far conoscere le sue indicazioni circa la pastorale vocazionale, l’Opera ha organizzato quattro congressi continentali: in America latina nel 1994, in Europa nel 1997, in America del Nord nel 2002 e in Asia nel 2005. In questo stesso anno l’assemblea plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica ha chiesto di preparare un nuovo documento che potesse aiutare tutta la Chiesa a promuovere una pastorale vocazionale solida e bene articolata.
Dopo settant’anni di vita, pensa sia arrivato il momento di fare un «tagliando» per aggiornare e rendere più incisiva l’attività dell’Opera?
Dalla breve panoramica storica che ho tracciato, risulta evidente che la Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali — che collabora strettamente con l’ufficio seminari della Congregazione per l’Educazione Cattolica — è in un continuo aggiornamento e in una costante ricerca per diventare sempre più incisiva. Proprio per ripensare i concetti e nella speranza di avere nuovi suggerimenti in materia di promozione delle vocazioni sacerdotali, è stato organizzato il convegno internazionale in corso in questi giorni. La necessità, indicata dal Papa, di intensificare la nuova evangelizzazione ci spinge evidentemente a una riflessione seria e a un rafforzamento dell’impegno.
Com’è strutturata l’Opera e quante persone vi collaborano?
La Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali è governata da un presidente e da un vice presidente, che sono rispettivamente il cardinale prefetto e il segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica. Il direttore, invece, coordina più direttamente il lavoro di promozione delle vocazioni al ministero sacerdotale seguendo le indicazioni del motu proprio Cum nobis e dei relativi statuti, nonché gli ulteriori ripensamenti in seno all’Opera e i suggerimenti avanzati dai menzionati congressi e dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica. Il direttore collabora con i consultori che sono scelti dal Papa per aiutare l’Opera nella sua specifica missione. Dopo la sua istituzione, nel 1941, tanti vescovi hanno creato organismi simili in vari Paesi e anche nelle diocesi, con gli stessi scopi. È nata così una rete di collaborazione in tutta la Chiesa per favorire le vocazioni al ministero sacerdotale. Questa comunione di intenti si basa sulla preghiera corale che sale da tutta la Chiesa al «padrone della messe». In particolare, a livello diocesano le cellule di preghiera per le vocazioni sono diventate il sostegno dei seminari, sia spiritualmente che materialmente.
In che modo riuscite a coinvolgere anche le diocesi sparse nei diversi continenti?
Dall’Opera ci si aspetta un sostegno continuo, che non è venuto mai meno nel corso di questi settant’anni. Esso si concretizza, in modo particolare, durante le visite ad limina Apostolorum che i vescovi del mondo compiono ogni cinque anni. Proprio in tale occasione essi s’incontrano con la Congregazione per l’Educazione Cattolica. Il tema delle vocazioni al ministero sacerdotale e la formazione nei seminari hanno sempre un posto privilegiato durante questi incontri. I responsabili dell’Opera offrono il loro servizio durante le riunioni continentali nonché negli incontri nazionali e diocesani, partecipando ai congressi che si svolgono per approfondire i temi concernenti la pastorale vocazionale. Inoltre, la Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali trova una preziosa collaborazione — oltre che nelle congregazioni religiose nate per questo scopo, come i Rogazionisti, le Apostoline, i Vocazionisti, i Sacerdotes Operarios e altri — anche nel Serra international, l’associazione di laici fondata negli Stati Uniti d’America e ispirata dal beato Junipero Serra, per promuovere le vocazioni al ministero sacerdotale nelle Chiese locali.
Quando si parla di vocazioni vengono in mente le immagini dei seminari quasi vuoti in molti Paesi dell’Occidente. Quali sono a suo giudizio le cause di questa crisi?
Anzitutto va rilevato che il numero dei seminaristi è globalmente in continua crescita, soprattutto in Africa, in Asia e in parecchie nazioni dell’America latina. Certo, la crisi nei Paesi occidentali non consiste nel fatto che Cristo, sommo Sacerdote, non chiama più al ministero sacerdotale, che Egli si è dimenticato del suo gregge. Essa è causata principalmente dalle difficoltà delle persone, nelle condizioni attuali, a sentire la sua voce e a seguirla, nonché dal mancato aiuto appropriato a scoprire la vocazione al sacerdozio e ad attuarla coraggiosamente giorno dopo giorno. Le cause della crisi sono quindi molteplici. Da una parte, la secolarizzazione della vita moderna, l’affievolimento dell’impegno cristiano delle famiglie — non a caso le vocazioni nascono soprattutto negli ambienti di solida vita cristiana — ma anche l’influenza di certe critiche, alimentate dai media, nei confronti della Chiesa e dei sacerdoti. Senza dimenticare lo stile di vita caotico, soffocato dall’influenza predominante dei mezzi di comunicazione, come giornali, radio, televisione, internet, in cui manca lo spazio per il silenzio, la riflessione, la preghiera. Dall’altra parte, come ho detto, la crisi proviene dal mancato aiuto, ossia dalla debolezza della promozione vocazionale. In questa prospettiva si pone, a mio avviso, soprattutto la poca chiarezza, in certi ambienti, circa l’identità del sacerdozio ministeriale e la sua assoluta necessità per la vita della Chiesa e per la sua missione. Non si percepisce spesso la distinzione sostanziale fra il sacerdozio ministeriale e l’apostolato dei laici, ossia l’attualizzazione del sacerdozio comune dei fedeli. Di qui, la quasi proverbiale «clericalizzazione dei laici» e la corrispondente «secolarizzazione dei sacerdoti». Comunque, il sacerdote secolarizzato certamente non attrae, ma piuttosto scoraggia. Questi problemi — accanto alla preghiera e alla potenziata consapevolezza della responsabilità di tutti — devono essere seriamente affrontati se si vuole rafforzare adeguatamente la promozione delle vocazioni sacerdotali.
La vocazione a volte nasce dall’esemplarità di un modello. Quanto influisce la testimonianza dei consacrati?
L’esempio dei sacerdoti è fondamentale. Benedetto XVI all’inizio del suo pontificato, parlando al clero della Valle d’Aosta, ha giustamente osservato che i giovani sono attratti non da preti stanchi, ma da sacerdoti pieni di entusiasmo nel servire Cristo e i fratelli. Abbiamo bisogno di presbiteri santi, che comprendono fino in fondo il loro essere sacerdoti e la loro affascinante missione.
(©L'Osservatore Romano 5 novembre 2011)
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