martedì 8 novembre 2011

Presentato un documento di orientamento pastorale a conclusione del convegno in occasione dei settant’anni della Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali (O.R.)

Presentato un documento di orientamento pastorale a conclusione del convegno in occasione dei settant’anni della Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali

Preti per il nostro tempo

Per la Chiesa la questione della cura delle vocazioni è una sfida permanente. È, infatti, proprio dalla crescita delle vocazioni che si riconoscono e si misurano la vitalità della comunità ecclesiale, la qualità della fede e della testimonianza del Vangelo, il valore e la profondità dell’adesione a Cristo. Nel mondo si registrano attualmente situazioni diversificate, a volte diametralmente opposte, con agli estremi le giovani Chiese e quelle di antica tradizione. Diviene importante, perciò, capire perché e come intervenire laddove si registra maggiore disattenzione nei confronti della questione.
Di questo si è ampiamente discusso nei giorni scorsi durante i lavori del convegno internazionale organizzato a Roma per il settantesimo anniversario della fondazione della Pontificia Opera delle vocazioni sacerdotali, conclusosi sabato 5 novembre. Nei tre giorni di lavoro — l’incontro era iniziato giovedì 3 — sono stati ripercorsi cammini storici e sono state scambiate esperienze maturate sul campo o nei diversi ambiti di impegno nell’ambito vocazionale. Ne è risultato un quadro che indica disparità di condizioni a seconda delle diverse realtà esaminate.
Una sintesi efficace della situazione attuale è stata offerta dal vescovo di Como, monsignor Diego Coletti, il quale, a conclusione del convegno, ha presentato il documento Orientamenti pastorali per la promozione delle vocazioni al ministero sacerdotale, la cui stesura era stata suggerita nel 2005 nel corso dell’assemblea plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica. In quella stessa occasione erano state anche indicate le caratteristiche alle quali il nuovo documento avrebbe dovuto ispirarsi: invito all’intera comunità ecclesiale ad assumersi la responsabilità delle vocazioni; spiritualità del sacerdozio ministeriale; incoraggiamento ai gruppi che sostengono i cammini vocazionali; predisposizione di un vademecum operativo.
Dopo un periodo di consultazioni su larga scala, le varie proposte raccolte nell’ambito di tutte le Conferenze episcopali del mondo, sono state sintetizzate una trentina di proposizioni sulle quali si è poi sviluppato l’intero documento.
Il testo risulta strutturato in tre parti. La prima esamina la situazione attuale delle vocazioni al ministero sacerdotale nelle varie parti del mondo, e della pastorale che ne assume la cura. In una seconda parte viene offerta una presentazione sintetica e organica del ministero e dell’identità sacerdotale, quasi a indicare la meta verso la quale deve essere orientata la proposta vocazionale e impostato il discernimento spirituale che ne verifica e ne sostiene la risposta. Nella terza parte si offrono una serie di suggerimenti per l’animazione pastorale delle vocazioni sacerdotali, per la quale si indicano i principali strumenti, la responsabilità dei diversi soggetti e le varie fasi in cui deve articolarsi.
Tra le indicazioni più interessanti, quelle risultate dall’analisi dei diversi i fattori che influiscono positivamente o negativamente sull’andamento della questione vocazionale. E una volta stabilito che a soffrire di più sono proprio le Chiese di antica tradizione, si passa a esaminare le cause.
Intanto sembra da escludersi che si tratti di una questione puramente ambientale. «Nelle condizioni ambientali più avverse e contrarie allo spirito del Vangelo — ha spiegato monsignor Coletti — quando una comunità cristiana vive e opera coraggiosamente e con coerenza di fede, non manca l’attenzione alle vocazioni sacerdotali e non mancano i frutti della semina. E viceversa: anche là dove sono presenti antiche e consolidate tradizioni cristiane, ma si è affievolita la qualità della fede e, per così dire, è stata dispersa in tante cose che solo da lontano hanno a che vedere con il Vangelo, le cause di una crescente sterilità vocazionale sono da attribuire più alla debolezza interna della testimonianza cristiana e della fede che all’indifferenza o all’aggressività dell’ambiente esterno alla comunità cristiana».
Una problematica, questa, che riguarda particolarmente l’Europa, continente che soffre maggiormente una carenza di vocazioni in atto da anni. «La giusta rivendicazione delle “radici cristiane” della cultura europea — ha detto in proposito il vescovo — dovrebbe essere accompagnata, per quanto riguarda la responsabilità dei cristiani, da un altrettanto forte richiamo all’importanza di verificare l’abbondanza e l’attualità dei frutti di tali radici».
Proprio dalla situazione nel vecchio continente aveva preso spunto il vescovo di Rimini Francesco Lambiasi, presidente della Commissione della Conferenza episcopale italiana per il clero e la vita consacrata, intervenuto nella seconda giornata di lavori. «In Europa — aveva detto il presule — si vive oggi un’angosciante desertificazione di senso. L’homo europaeus si percepisce doppiamente orfano: della tradizione, già liquidata dall’epoca moderna, e del futuro, avvertito dalla sensibilità post-moderna come oscura minaccia e non come sogno promettente e concretamente realizzabile». Nella sua riflessione monsignor Lambiasi aveva indicato le caratteristiche fondamentali dell’essere sacerdote alla luce del concilio Vaticano II, ribadendo che i preti hanno il compito di «ri-presentare, ossia di rendere presente Cristo capo e pastore» attraverso la totalità e la generosità del dono di sé, unite alla concretezza della carità pastorale.
Missione, questa, che nasce da un esigente cammino vocazionale. Al quale — per tornare al documento presentato da monsignor Coletti — possono essere da ostacolo fenomeni sociali e culturali come il calo demografico, la crisi della famiglia, una diffusa mentalità secolarizzata che si fa sempre più strada e, non ultimo, le condizioni difficili in cui si svolgono la vita e il ministero del prete, «esposto a profonde trasformazioni ecclesiali e sociali — ha notato il vescovo di Como — che causano sovente, da un lato, emarginazione e insignificanza del suo ruolo, e dall’altro la deriva verso stili di “professionalità” che rischiano di ridurre il ministero sacerdotale a un mestiere tra i tanti. Anche da questi fenomeni, largamente presenti e influenti in varie parti del mondo, può derivare lo sconforto e il basso profilo spirituale di alcuni preti. La situazione generale della vita sacerdotale e la sua capacità di porsi come richiamo vocazionale sono poi messe a dura prova dallo scandalo suscitato, in alcuni casi, dai comportamenti gravemente immorali di qualche membro del clero».
Significativa la parte propositiva del documento. In otto punti sono elencate le condizioni ritenute necessarie perché la grazia della chiamata trovi ovunque e in qualsiasi situazione, un terreno fertile: creazione di un ambiente fecondato della vita cristiana in modo da ispirare risposte generose alla chiamata; costanza nella preghiera con intenzioni specifiche; realizzazione di una pastorale integrata che promuova una coerente convergenza di programmi e proposte; nuovo slancio missionario ed evangelizzatore; restituzione alla famiglia del suo ruolo fondamentale in questa direzione; forte testimonianza di vita da parte dei presbiteri; riconoscimento di una piena efficacia educativa del volontariato; riaffermazione del valore della scuola e dell’università come occasioni di approfondimento dell’esperienza cristiana. In conclusione il documento richiama chiaramente la reponsabilità dell’intera comunità ecclesiale.

(©L'Osservatore Romano 7-8 novembre 2011)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Un altro documento ... coercitivo? Altrimenti rimarrà lettere morta come tutti gli altri.

Finché i vescovi si considereranno pari grado al Papa e riterranno di dover tenere conto solo a se stessi o al massimo alla conferenza episcopale, tutti questi documenti, interviste, encicliche che escono dalle mura leonine avranno applicazione pari a nulla.

jacu

Anonimo ha detto...

Gli otto punti per l'efficacia della pastorale vocazionale sembrano i punti di un qualsiasi programma politico: parole, parole, parole.... BASTA! O ai convegni seguono FATTI, oppure sarebbe meglio che i Vescovi restassero nella loro Diocesi e si mettessero ad operare concretamente. Ad esempio con un maggior presidio dei seminari.