L'obiettivo dell'autosufficienza
Una pastorale economica per l'Africa
Le tre dimensioni di una Chiesa adulta è il titolo della relazione pronunciata dal cardinale arcivescovo emerito di Abidjan in occasione del convegno "Il valore della cultura e della scienza per lo sviluppo dell'Africa in prospettiva interdisciplinare" organizzato oggi, venerdì, a Roma, presso la Pontificia Università Lateranense. Dell'intervento del porporato riportiamo una nostra traduzione della parte nella quale viene auspicata una pastorale economica razionale e responsabile.
di BERNARD AGRÉ
Ogni gruppo di uomini che si rispetti si deve impegnare per raggiungere la maturità ed essere quindi capace di prendere in mano il suo destino, creando al suo interno il personale adeguato, ma anche attingendo dalle proprie risorse la totalità o la maggior parte del suo budget.
A tale proposito è bene meditare regolarmente su ciò che Giovanni Paolo II ha scritto nella linea della proposta 27 elaborata dai Delegati al Sinodo africano: "La comunità cristiana deve essere formata in modo che possa provvedere da sola, per quanto possibile, alle proprie necessità" (Concilio Vaticano II, Ad gentes, 15). "L'evangelizzazione richiede, oltre a personale qualificato, mezzi materiali e finanziari cospicui, e le diocesi sono non di rado ben lungi dal disporne in misura sufficiente. È dunque urgente che le Chiese particolari d'Africa si propongano l'obiettivo di giungere quanto prima a provvedere esse stesse ai loro bisogni, assicurando così la loro autosufficienza. Di conseguenza, invito pressantemente le Conferenze episcopali, le diocesi e tutte le comunità cristiane delle Chiese del Continente, in ciò che è di loro competenza, ad impegnarsi perché questa autosufficienza divenga sempre più reale" (Ecclesia in Africa, 104). L'essere finanziariamente autonomi passa per: una presa di coscienza individuale e collettiva del fatto di essere all'altezza; un minimo di organizzazione nella raccolta e nell'utilizzo dei fondi; alcune iniziative economiche redditizie della comunità che si possono giustificare a determinate condizioni; una partecipazione effettiva degli uni e degli altri attraverso donazioni, lasciti e fondazioni.
Una domanda dolorosa s'impone: i fedeli ignorano gli enormi bisogni della Chiesa? Essi, nella maggior parte dei casi, adempiono difficilmente al loro dovere finanziario nei confronti della Chiesa. Alcuni osano persino chiedere aiuto ai loro Pastori che ritengono ricchi. Si osserva però che i cattolici diventano generosi non appena cambiano religione. Il motivo è forse un deficit d'informazione o una debole motivazione? È necessaria un'autentica conversione dei cuori.
È utile ricordare il carattere sacro dei fondi destinati al culto o ad altre spese correnti delle comunità parrocchiali e diocesane. Capitali e beni vanno gestiti con attenzione, rispetto e competenza. Meno denaro si ha, più si deve mostrare rigore nella gestione.
Nelle comunità di base, nelle parrocchie e nelle diocesi, è necessario disporre, ai giorni nostri, nella giusta linea della modernità, della democrazia e della condivisione delle responsabilità, di commissioni finanziarie composte da uomini e donne informati, motivati, discreti, competenti e onesti. Queste commissioni devono, per quanto possibile, poter contare al loro interno su esperti di finanza, di gestione, persino di marketing (è impossibile oggigiorno farne a meno).
La trasparenza finanziaria della comunità richiede una precisione nell'elaborazione dei budget che crei un equilibrio fra entrate e uscite. Ma non dimentichiamo il risparmio. Il dilettantismo deve, poco a poco, cedere il passo alla professionalità. Sottoporsi a un controllo competente e imparziale tranquillizza anche la comunità che ha diritto a un'informazione obiettiva. La sua generosità ne risulta accresciuta.
Alcune iniziative economiche della comunità che si possono giustificare a determinate condizioni: privilegiare le quote; prendere talvolta iniziative economiche collettive.
Una vera comunità vive della partecipazione statutaria effettiva dei suoi membri. La Chiesa, sebbene sia un'organizzazione a fini spirituali, dunque non di lucro, non può dispensare i suoi fedeli da quote regolari. A essere in gioco è la sopravvivenza stessa della comunità. Ci sono le offerte per il culto, le questue. È importante dare le cifre e una corretta informazione sulla loro destinazione. Ciò suscita la generosità nei fedeli.
L'offerta per il culto è una quota annuale con la quale i fedeli partecipano alla vita materiale della Chiesa. È un dovere reale e, di conseguenza, obbligatorio per tutti. Un fedele che si preoccupa della vita materiale della sua parrocchia, della sua diocesi, deve impegnarsi regolarmente per evitare ai suoi Pastori di dover sempre tendere la mano verso l'estero. Per l'offerta per il culto l'ideale è di offrire il denaro equivalente a una giornata di lavoro all'anno. Inoltre si può anche donare la decima, vale a dire un decimo del proprio guadagno.
Per quanto riguarda la questua, questa è un'offerta legata alla celebrazione eucaristica. Costituisce, per ora, la principale, anzi l'unica fonte di entrate per diverse parrocchie. È dunque il caso di dar prova di generosità al fine di permettere alle parrocchie di vivere. Si possono organizzare questue speciali per uno scopo preciso. È a tal fine che si svolgono le feste parrocchiali, le "feste dei raccolti", che non sono riservate alle altre confessioni religiose. Attualmente i tempi sono duri viste le svalutazioni monetarie che si sono susseguite. Così come è usanza dire: la tassa uccide la tassa, si può dire: la moltiplicazione delle questue uccide la questua.
Dopo essersi circondata di buone garanzie ed essersi assicurata i capitali e le competenze di gestione necessarie, e dopo aver esaminato gli sbocchi e i mercati potenziali, ed aver valutato tutti i rischi, la comunità cristiana può intraprendere esperienze economiche redditizie in grado di provvedere ai bisogni della sua Chiesa.
Investimenti in banca; acquisto di azioni o di obbligazioni; acquisto o edificazione di immobili per affitti modesti; creazione di coltivazioni agricole o agro-pastorali.
Bisogna riconoscere che questo capitolo delle iniziative economiche è particolarmente delicato e complesso, a causa delle interpretazioni sfavorevoli nell'ottica dell'ideologia di una "Chiesa povera".
Certo Gesù dice "Beati i poveri" (Matteo, 7, 21; Luca, 6, 46), ma non dice mai: "Beati i miseri, quelli che mancano di tutto, quelli che attendono ogni cosa dai loro fratelli stranieri".
Per far vivere la comunità ecclesiale, occorre che venga progressivamente eliminata la povertà cronica della gente.
Bisogna interpellare coloro che hanno più mezzi, quelli che sono economicamente forti. La loro partecipazione può assumere due forme: la forma circostanziale e la forma duratura. La forma circostanziale per mezzo di doni in denaro per un progetto preciso, doni in natura, aiuti, diversi materiali e così via. La forma duratura mediante lasciti: individui che, nel loro testamento, lasciano alla Chiesa denaro o terreni o immobili. Il capitolo dell'autonomia finanziaria meriterebbe uno sviluppo più approfondito. Infatti è spesso questo il punto dolente nelle nostre comunità ecclesiali. Certo ci sono delle lacune, ma non è il caso di farsi prendere dal panico e di perdere la speranza. Le Chiese in Africa si risveglieranno per rioccupare il loro posto, un posto più degno, nel concerto delle Chiese nel mondo.
(©L'Osservatore Romano 26 novembre 2011)
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