Bassetti e Renna: necessario insegnare l’identità del prete, più che il ruolo
DI GIACOMO GAMBASSI
Ripartire dalla formazione della coscienza. Soprattutto nei Seminari. «Di fronte alle fragilità di oggi occorre avere una coscienza retta perché la coscienza non inganna», spiega l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Gualtiero Bassetti. Da dieci anni delegato del Papa per i Seminari d’Italia, ne ha visitati decine nella Penisola.
E la domanda che ieri, durante l’udienza alla Curia romana, Benedetto XVI ha posto riferendosi agli abusi commessi da sacerdoti sui minori («Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nel nostro modo di configurare l’essere cristiano»), interroga il presule.
«Se dovessi dare una prima definizione di presbitero – afferma Bassetti – direi che è un uomo vero e appassionato della vita. Nella chiamata degli Apostoli il primo tratto che Gesù ha valorizzato è stato l’umano.
Oggi purtroppo diversi seminaristi sono ancora giovani con poca esperienza di vita che passano dal grembo familiare a quello del Seminario. Del resto viviamo in un clima sociale di forte riduzione dell’umano». Come a dire: la cultura contemporanea non aiuta. «È significativo il riferimento che il Pontefice ha fatto ieri a una mentalità che può aver favorito la pedofilia – sottolinea il rettore del Pontificio Seminario regionale pugliese 'Pio XI' di Molfetta, monsignor Luigi Renna –. Nel clima culturale degli anni Settanta si è quasi giustificata una morale governata dal calcolo delle conseguenze. Questo ha portato all’assunto che è bene lasciar correre su molteplici comportamenti personali, senza recuperare ad esempio il nucleo di una verità sulla sessualità ». Non è un caso che il Papa abbia esortato a «riconoscere negli ambiti decisivi dell’esistenza» la verità, ricordando la beatificazione del cardinale John Henry Newman.
«Ecco perché c’è bisogno di guardare all’identità del prete più che al suo ruolo», sostiene monsignor Renna. Altrimenti si corrono non pochi rischi. «Può essere facile per il candidato al sacerdozio – chiarisce Bassetti – fuggire dal reale per rifugiarsi nello spiritualismo e nel formalismo o cercare alternative e compensazioni che rendano sopportabile la vita. Oppure può esserci il pericolo dell’omologazione, cioè della conformazione al clima odierno che vorrebbe tutti assistenti sociali, operatori culturali o psicologi. Di fatto ho constatato che lo stile con cui si vive la vocazione deriva spesso dalle decisioni con cui viviamo il nostro essere uomini. Comunque, solo dentro una vibrazione umana autentica, possiamo conoscere Cristo e lasciarci affascinare da lui».
Da qui la sfida. «Per affrontare il pensiero dominante – precisa il rettore del Seminario pugliese – vanno tenute insieme la formazione umana, quella spirituale e quella teologica. Se la formazione sarà completa, la persona potrà camminare nella verità». Ed ecco la coscienza. «Ciò che è venuto meno in alcuni presbiteri e nella formazione dei futuri sacerdoti – afferma monsignor Renna – è stato una coscienza che si lascia illuminare dal Vangelo, dalla grazia e dal progetto di Dio».
E Bassetti torna a indicare i tratti del prete. «Solo se si è davvero innamorati del Signore nello stesso modo con cui Cristo ama la Chiesa, si potranno accettare e vivere alcune condizioni specifiche del ministero come il celibato, il sacrificio e l’obbedienza. Ma aggiungo anche che il sacerdote deve sentirsi profondamente amato da Gesù e averne sperimentato la misericordia per non ridurre la sua vocazione e la sua missione a ufficio o mestiere. È a questo amore che è chiamato a educare il Seminario se si vuole evitare l’insorgere e il manifestarsi di situazioni ambigue».
© Copyright Avvenire, 21 dicembre 2010
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