domenica 5 dicembre 2010

Esortazione Apostolica "Verbum Domini", Thomas Söding: Bisogna colmare le distanze tra la gente e la Sacra Scrittura (Osservatore Romano)

Il necessario legame tra teologia ed esegesi biblica

Bisogna colmare le distanze tra la gente e la Sacra Scrittura

Pubblichiamo ampi stralci di una delle relazioni tenute al congresso internazionale «La Sacra Scrittura nella vita e nella missione della Chiesa» in corso a Roma alla Pontificia Università Urbaniana.

di Thomas Söding

Le vivaci discussioni al Sinodo mondiale dei vescovi nell'ottobre 2008 dedicato alla «Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa» ruotavano intorno a un centro ermeneutico: come può la Parola della Sacra Scrittura essere letta, interpretata e celebrata nella Chiesa come Parola di Dio, che valeva allora e vale oggi e varrà domani?
Al Sinodo è stata discussa sotto un'enorme pressione la questione centrale del modo in cui possa riuscire l'incontro con Dio e la sua Parola nel leggere la Bibbia. Secondo le analisi dei vescovi, in molte situazioni la pressione viene dal cosiddetto fondamentalismo, che è in grande crescita, perché promette un accesso immediato alla verità della fede in un incontro immediato con la Sacra Scrittura. Immediato significa: non solo non filtrato dalla critica scientifica e non intaccato dallo scetticismo moderno, ma anche non disturbato dalla mediazione ecclesiale.
«Fondamentalismo» è una parola sfuggente: spesso viene utilizzata come un'arma nella lotta per il primato intellettuale delle opinioni. Secondo la sua autocomprensione, vuole stabilizzare le fondamenta della fede. Nella prassi, tuttavia, il fondamentalismo è caratterizzato da un triplice pro e da un triplice contra: è anti-cattolico, perché nega qualsiasi competenza interpretativa al magisterium; è anti-accademico, perché volta le spalle alla scienza biblica; è anti-moderno, perché vuole immunizzare la Bibbia dalla critica umana. Mediante questo triplice no vuole ottenere un effetto triplice: far conoscere la Bibbia come libro della vita; comprendere il messaggio semplice della Bibbia e fissare la verità del Vangelo.
Coniugare il triplice sì con il triplice no è, appunto, il dilemma del fondamentalismo. Infatti, per quanto ogni interpretazione scritturistica cattolica o cristiana voglia concretizzare il significato esistenziale, catechetico e spirituale della Bibbia, è proprio la Bibbia cristiana dell'Antico e del Nuovo Testamento che, in primo luogo, stabilisce la religione come illuminazione; che, inoltre, sollecita a essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pietro, 3, 15); e che, infine, implica un magistero, perché senza il servizio degli apostoli e dei loro successori non è né sorta, né è compresa nella sua portata.
Tuttavia, la pressione sotto la quale durante il Sinodo è stata condotta la discussione sulla Parola di Dio e sulla Sacra Scrittura, secondo i giudizi di numerosi vescovi, nasce anche dal presupposto che, nella prospettiva di molti credenti, la Bibbia sia troppo lontana dalla loro vita: sia perché non la conoscono bene o non si aspettano troppo da essa; sia perché nelle chiese e nelle parrocchie, nelle comunità e nelle associazioni, non ci sono spazi, non ci sono tempi, non ci sono forme per leggere insieme la Bibbia e per comprenderne il messaggio come buona novella per la propria vita.
Questa anamnesi richiede una terapia accurata, ma non senza una diagnosi precisa. Qual è il vero motivo della grande distanza? È l'analfabetismo dilagante, di cui, nel campo della religione, soffre anche il nord del globo? È la mancanza di Bibbie, stampate o, ancora di più, lette? Sono i postumi di riserve antecedenti, secondo le quali i laici non dovrebbero leggere la Bibbia senza una guida competente?
Probabilmente le domande di questo genere non vanno abbastanza in profondità. Certo, offrono il pretesto per campagne di alfabetizzazione biblica in ogni parte della Terra, ma l'esperienza della distanza segue senz'altro un'intuizione corretta, anche se è solo una mezza verità. La Bibbia è davvero un libro del passato; in essa vi sono «punti difficili da comprendere», come Pietro di fronte alle epistole paoline (2 Pietro, 3, 16). Ancora di più: è senza paragone nell'intensità dell'esperienza di fede e nella qualità della testimonianza di fede. Respira «l'«odore della terra», della «terra dei Padri» e lascia risuonare «la voce dell'origine», scriveva Joseph Ratzinger nel 1967 nel commento tedesco alla Dei Verbum. Sta sopra coloro che la leggono; li precede; indica loro la via. Se fosse diversamente, non sarebbe necessario leggerla.
I padri conciliari del Vaticano ii si attendevano dall'esegesi che la Bibbia venisse letta nello stesso spirito in cui era stata scritta. Questo spirito è lo Spirito Santo, che mette in moto la storia di salvezza e fa scendere l'amore di Dio nei cuori degli uomini, in modo che la loro speranza non si estingua (Romani, 5, 1-11).
Attendersi che la Bibbia sia letta nello stesso spirito in cui è stata scritta potrebbe apparire a molti come un'illusione. Tuttavia, è espressione di una convinzione profonda, senza la quale non si sarebbe arrivati al sorgere della Bibbia e della Chiesa. È la convinzione che lo Spirito Santo crei la possibilità della comprensione. Il miracolo di Pentecoste si può ripetere: uomini e donne di epoche e provenienze diverse, di lingue e culture diverse si comprendono reciprocamente, non se parlano di questo o di quello, ma dell'unico e solo, il Dio vivente che dona agli uomini la propria Parola. La parola scritta può essere solo un ripiego, ma diventa un deposito di dialoghi precedenti, che hanno raggiunto un significato permanente, e una dispensa di dialoghi futuri, che acquisiranno significato teologico — secondo l'esempio dello «scriba» della parabola di Gesù, che è divenuto «discepolo del regno dei cieli» ed «estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Matteo, 13, 52). Sulla scia della teologia biblica, non ci sono solo testi ispirati e autori ispirati, ma anche lettori ispirati. Il Papa-esegeta Gregorio ha scritto nel suo commento a Ezechiele (17, 8): Divina eloquia cum legente crescunt («Gli oracoli divini crescono insieme con chi li legge»), e si esprime in modo analogo nella sua esegesi di Giobbe (20, 1): Scriptura Sacra (...) aliquo modo cum legentibus crescit («La Sacra Scrittura [...] è come se crescesse per così dire con il suo lettore»).
Qui si intende che gli scritti biblici non rimangono carta stampata, ma durante la lettura sperimentano un'attenzione che li risveglia alla vita. Sono stati scritti per essere letti e per dischiudere il senso nel processo della lettura; si impolvererebbero, se nessuno prestasse loro attenzione. L'ermeneutica biblica dell'ispirazione va oltre la modernità, che voleva stabilire, «fissare», il senso originario (nel significato preciso della parola), per giungere al presente, nel quale si sottolineano le dinamiche della comunicazione, la creatività delle interpretazioni, i dialoghi con il testo, ma con ciò anche la responsabilità, l'interesse, il carattere dei lettori.
Perciò, la sentenza si deve anche capovolgere. Accade sicuramente anche nel senso di Gregorio Magno: i lettori crescono con la Sacra Scrittura; crescono con la Parola divina. Crescono non separati gli uni dagli altri, ma insieme: nel corpo di Cristo.
L'esegesi che lavora con metodi scientifici promuove questa crescita con l'informazione e l'interpretazione: informa i lettori della Bibbia sulla nascita, la composizione e l'intenzione della Sacra Scrittura nelle sue diverse parti e come intero; interpreta gli scritti biblici nel loro contesto storico e nella loro prospettiva genuinamente teologica; non ha la necessità di fissarsi sulla intentio auctoris, ma deve prendere in considerazione anche il sensus textus e la receptio lectoris. In questo promuove una spiritualità cristiana, che non teme alcuna critica, ma si lascia ispirare da Paolo, il quale sostiene: «In assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue» (1 Corinzi, 14, 19) e non rimane prigioniero della propria edificazione, ma secondo l'insegnamento di Gesù aspira a realizzare la legge nell'unità di amore di Dio e amore del prossimo (cfr. Marco, 12, 19-28), e quindi cerca Dio anche nei poveri (cfr. Luca, 10, 25-37).
Negli Atti degli Apostoli Luca racconta come si sia giunti al battesimo dell'etiope (8, 26-40). La storia si svolge proprio al confine di Africa, Asia ed Europa. Al centro sta un dialogo. Filippo nota che il pio viaggiatore, che sta tornando in patria da Gerusalemme, è un lettore entusiasta. «Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: “Alzati e va' verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta”. Egli si alzò e si mise in cammino, quand'ecco un Etiope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: “Va' avanti e accostati a quel carro”. Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: “Capisci quello che stai leggendo?”. Egli rispose: “E come potrei capire, se nessuno mi guida?”. E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: “Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita”. Rivolgendosi a Filippo, l'eunuco disse: “Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?”. Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù».
Non sempre chi prende in mano la Bibbia ha la fortuna di incontrare sul cammino della propria vita un Filippo, allora si deve accontentare degli esegeti e di quello che loro comprendono della Bibbia.

(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2010)

A confronto sulla «Verbum Domini»

Si chiude il 4 dicembre a Roma il congresso internazionale sull'Esortazione Apostolica Verbum Domini organizzato dalla Catholic Biblical Federation e incentrato sul tema «La Sacra Scrittura nella vita e nella missione della Chiesa». I lavori si concluderanno con una tavola rotonda sul tema «Trasmettere il messaggio della Bibbia nella cultura di oggi», che sarà presieduta dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. «Con la Verbum Domini e la Dei Verbum — ha detto nell'introduzione al congresso il vescovo Vincenzo Paglia, presidente della Federazione biblica Cattolica — abbiamo un preziosissimo dittico che, come due fuochi di una medesima luce, illumina ancora più chiaramente il cammino della Chiesa all'inizio di questo nuovo millennio (...) Per essere realisti dobbiamo costruire sulla Parola l'oggi e il domani della vita. Di conseguenza come non essere più audaci nel comunicarla agli uomini e alle donne del nostro tempo?».
Guidati da questa prospettiva i lavori hanno dapprima messo in evidenza l'importanza dell'ermeneutica del testo biblico andando a indagare il rapporto che con esso si ha non solo in ambito cattolico, ma anche ortodosso, protestante e anglicano. Nella giornata di venerdì la riflessione si è soffermata sul tema «Il testo biblico nella storia e nella vita della Chiesa» con i contributi dedicati alla lettura ebraica e a quella dei Padri della Chiesa e con quelli che invece hanno approfondito l'attività di ricerca della Federazione Biblica Cattolica e delle Società Bibliche. Per quanto riguarda il tema del rapporto tra Parola di Dio e vita della Chiesa, vanno ricordati i contributi portati su quattro temi fondamentali: Bibbia e liturgia, Bibbia e omelia, Bibbia e lectio divina, Bibbia e Catechesi.
Sabato 4 dicembre, prima della tavola rotonda conclusiva, è in programma la relazione del cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, su «La lettura della Bibbia, sorgente della giustizia e della pace».

(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2010)

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