martedì 22 febbraio 2011

Il nunzio in Libia, mons. Caputo: i religiosi non lasciano la popolazione. Padre Samir: è in atto la "primavera araba"

Il nunzio in Libia, mons. Caputo: i religiosi non lasciano la popolazione. Padre Samir: è in atto la "primavera araba"

In queste ore, sono stati approntati diversi piani di evacuazione per consentire ai cittadini stranieri di lasciare la Libia, teatro di sanguinosi scontri e violenze. Ma c’è anche chi non vuole abbandonare il territorio libico per continuare a manifestare la propria vicinanza alla popolazione. E’ il caso di sacerdoti, religiosi e religiose presenti in Libia, come ricorda il nunzio apostolico nel Paese, mons. Tommaso Caputo, intervistato da Amedeo Lomonaco:

R. - In merito alla grave situazione che si è determinata negli ultimi giorni in Libia, le comunità religiose che operano nei due vicariati apostolici di Tripoli e Bengasi continuano ad essere pienamente al servizio della popolazione e dei fedeli. La maggioranza delle 16 comunità femminili composte da suore provenienti da diverse nazioni presta la propria opera nel settore sanitario e in queste ore ha intensificato l’assistenza alla popolazione.

D. – La comunità della Chiesa, quindi, resta accanto alla popolazione…

R. – Le religiose hanno espresso la volontà di restare accanto a chi soffre. Allo stesso modo anche i due vescovi e i 15 sacerdoti proseguono il loro servizio ed intendono continuare la missione loro affidata. Pur nel difficile frangente che il Paese si trova a vivere l’atteggiamento dei missionari presenti in Libia mira ad infondere coraggio e ad assicurare ogni forma di assistenza possibile alla comunità cattolica, che è di circa 100 mila fedeli, e all’intera popolazione. (bf)

In Libia, come in diversi Paesi del Nordafrica e del mondo arabo, le popolazioni che hanno conosciuto regimi durati anche decenni sembrano ora unite in una sorta di "primavera araba". E’ quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il gesuita egiziano, padre Samir Khalil Samir, docente di Storia della Cultura araba e d'Islamologia presso l'Università "Saint Joseph" a Beirut, in Libano:

R. – Il mondo arabo sta vivendo la sua “primavera araba”: c’è un denominatore comune dappertutto. La gente è stufa di regni o repubbliche che durano da decenni, che non danno spazio alla democrazia, alla libertà, all’uguaglianza, alla condivisione delle decisioni, e soprattutto con una situazione economica e sociale in cui molta gente si trova a disagio. Questo è un movimento che ormai non si può più fermare. In particolare, grazie a Internet, Youtube, Facebook, Twitter, la comunicazione istantanea arriva in un minuto in tutto il mondo, in tutte le agenzie. La globalizzazione, per me, è questa: la globalizzazione delle idee, dei desideri, delle attese del popolo sta passando attraverso Internet. Tutti trovano normale che succeda da noi quello che è successo altrove. Magari non sanno niente di quello che è successo nel blocco dell’est europeo durante gli anni Ottanta, ma sanno che ormai hanno diritto ad avere gli stessi diritti umani di tutti.

D. – C’è però una differenza, rispetto alla rivoluzione nel mondo sovietico: in questo caso della “primavera araba”, come lei l’ha chiamata, il futuro sembra ancora più incerto, ovvero sono diversi i possibili scenari che possono aprirsi nel post-Mubarak, nel post-Gheddafi …

R. – Sì, proprio perché non è guidato da un partito. E’ un movimento popolare che dice: non vogliamo più questi governi, vogliamo libertà etc. Ma come si concretizzerà? Questa è la domanda. Manca un leader, in questi Paesi. La paura che c’è in Occidente è in sostanza questa: chi prenderà la leadership di questi movimenti? Saranno gli estremisti musulmani? Non credo che sarà possibile, proprio perché questa “primavera”, questa rivoluzione è contraria a tutti i pesi che gravano su di noi. Il 90 per cento della gente si dirà musulmana, ma non vogliono essere musulmani secondo il modo islamico di tale gruppo o gruppuscolo. La gente preferisce dire: ognuno segua la propria coscienza.

D. – Padre Samir, queste caratteristiche della “primavera araba”, ovvero la mancanza di un leader di riferimento e di partiti, ci fa capire che siamo di fronte ad un laboratorio politico popolare?

R. – Lo spero. Il motivo è molto concreto: siccome talvolta i partiti sono stati vietati, si formeranno – penso – partiti che non saranno identici a quelli dell’Occidente. Si tratterà di vedere un partito più religioso, un partito più liberale economicamente… Tutto questo è ancora un punto interrogativo. Mi ha colpito il fatto che finora in nessuno di questi movimenti di massa abbiamo visto alcuna affermazione contro l’estero: il problema è interno; vogliamo risolvere il problema interno del mondo arabo tra musulmani. Il primo mondo – l’Occidente – può aiutarci incoraggiando la giustizia, la democrazia, senza paura e senza intervenire, perché questo è un aspetto odiato: l’ingerenza negli affari locali. Ricordandoci però i principi che sono alla base anche dell’Europa e dell’Occidente, per dimostrare che si tratta di un movimento mondiale e che siamo alla ricerca di un mondo più pulito e più giusto. (gf)

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Sarà pure una Primavera Araba. Ma di rondini se ne vedono pochi; nei paesi dell'Islam in fermento, si vedono volare soprattutto corvi ed avvoltoi, pronti a contendersi, nel nome dell'Islam, le prede del potere politico e del petrolio. Non credo che la gioventù araba sia grandemente condizionata "in senso occidentale" da Face-Book, Twitter, ecc; è più probabile che il risveglio islamico (dei giovani) sia in realtà eterodiretto dai mullah islamici, che si servono dei giovani per scalzare le dittature e prenderne il potere, sotto l'impronta della sharia e del califatto islamico.
Cherokee