sabato 5 febbraio 2011

Roma, alla scuola di Benedetto XVI un nuovo dialogo tra fede e ragione. Con la serata sull’intervento alla Westminster Hall si è chiusa la serie d’incontri promossi dal vicariato sui grandi discorsi del Papa (Mastrofini)

Roma, alla scuola di Benedetto XVI un nuovo dialogo tra fede e ragione

Con la serata sull’intervento alla Westminster Hall Ornaghi, Marzano, Toso e il cardinale Vallini hanno chiuso la serie d’incontri promossi dal vicariato sui grandi discorsi del Papa

Fabrizio Mastrofini

DA ROMA

Non basta una religione «ci­vile » e pertanto una «sana democrazia» ha bisogno «di riconoscere le fedi personali e la loro appartenenza comunitaria».
Su questa indicazione c’è stata la con­vergenza, giovedì scorso a Roma, nel dibattito seguito all’ultimo dei tre ap­puntamenti di studio su altrettanti grandi discorsi di Benedetto XVI.
Al centro della serata promossa dal vi­cariato di Roma il discorso pronun­ciato dal Papa alla Westminster Hall di Londra, il 17 settembre 2010, nel­l’incontro con esponenti della so­cietà civile, del mondo accademico, culturale e imprenditoriale, presen­ti il corpo diplomatico e autorità re­ligiose.
Sul tema «Secolarità non è neutralità: un nuovo cammino per lo sviluppo integrale della persona u­mana » il vescovo Mario Toso, segre­tario del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Lorenzo Or­naghi, rettore dell’Università Catto­lica del Sacro Cuore e Antonio Mar­zano, presidente del Consiglio na­zionale dell’economia e del lavoro, hanno offerto le loro riflessioni. Il cardinale vicario Agostino Vallini, nel chiudere la serata e il ciclo degli ap­puntamenti, ha sottolineato una vol­ta di più la «fecondità» del magiste­ro di Benedetto XVI sui vari temi del rapporto tra fede e società civile, tra fede e politica e in ultima analisi – ha rilevato – sulla necessità di un nuovo dialogo tra fede e ragione.
Toso ha osservato che «la dimensio­ne religiosa della persona non esula dall’universalità della ragione, sem­mai la trascende, senza contraddir­la. La fede dei cittadini e le corri­spondenti comunità religiose ali­mentano quel capitale sociale – fat­to di relazionalità stabili, di stili di vi­ta, di valori condivisi, di amicizia ci­vile, di fraternità – di cui ogni demo­crazia non può fare a meno, se non vuole ridursi a pura amministrazio­ne conflittuale di interessi dispara­ti ». Se questo è vero, le democrazie devono coltivare nei confronti delle religioni «un atteggiamento di aper­tura non passiva, ma attiva, nel sen­so che debbono riconoscere e pro­muovere, per ciò che concerne la lo­ro competenza, lo spazio pubblico – ben distinto dall’istituzione statale e nella stessa società civile – ove si plasmano quelle famiglie spirituali e culturali, quell’èthos, che le vivifica specie nell’edificazione plurale e convergente del bene comune».
Ornaghi ha evidenziato l’importan­za dei valori nella costruzione di un tessuto comune, nella politica, nel­la formazione delle nuove genera­zioni, che vanno spinte a «guardare oltre lo spiraglio dell’immediato pre­sente ». I valori, secondo il rettore del­la Cattolica, sono un richiamo al ruo­lo che la religione gioca nella «ri­umanizzazione delle nostre società oramai multiculturali».
Secondo i relatori, infine, il tentati­vo odierno di rimuovere la religione dalla sfera pubblica, mentre si ri­promette di rendere più vivibile e pa­cifica la vita democratica, di fatto ne provoca l’indebolimento, perché le sottrae linfa vitale. L’etica scettica o­dierna, ha notato Vallini, va contra­stata nel nome di una visione del mondo aperta al Trascendente.

© Copyright Avvenire, 5 febbraio 2011

3 commenti:

laura ha detto...

Per oggi, fermati! Hai lavorato abbastanza

laura ha detto...

buongiorno e buona domenica carissima,

se puoi, leggi il mattutino di Ravasi sull'Avvenire di oggi. Riflessioni sull'anonimato e i pericoli dell'omologazione colettiva in questo tempo di deriva del pensiero e della coscienza

laura ha detto...

ecco il mattutino sopra segnaslato, consultabile on line anche sul seguentre link
http://www.avvenire.it/GiornaleWEB2008/Templates/Pages/ColumnPage.aspx?IdRubrica=.mattutino&TitoloRubrica=Il+mattutino&Autore=Gianfranco%20Ravasi
Il mattutino a cura di Gianfranco Ravasi 06/02/2011

Una fiumana umana
Il maggior pericolo non è tanto la tendenza della massa a comprimere la persona, ma la tendenza della persona a precipitarsi ad annegare nella massa. Se in un pomeriggio di festa come oggi si dovesse contemplare dall'alto piazza Duomo e le vie adiacenti, a Milano, o via del Corso e le traverse che raggiungono piazza di Spagna, a Roma, si avrebbe l'incarnazione della metafora «una fiumana umana». È, infatti, una sorta di vortice che dilaga in ondate di corpi che si muovono compatti, spinti dalla deriva che lascia ai bordi solo i detriti dei venditori ambulanti o dei mendicanti. Ancor più impressionante è la metafora del «branco», applicata soprattutto ai giovani, rappresentazione di un «collettivo» che contiene nel suo grembo germi ferini di violenza (chi non ricorda Arancia meccanica?). Una finissima interprete dell'esistenza come Simone Weil, ebrea parigina di straordinaria intelligenza e spiritualità, ci mette impietosamente - nel passo da noi tratto dai suoi Scritti di Londra - di fronte a un'amara verità. Se è vero che la massa schiaccia e talora annulla la persona, è ancor più vero che sotto quello schiacciasassi molti si distendono quietamente aspettando di essere «spianati» da ogni loro identità o, per stare all'immagine della fiumana, vi accorrono per annegarvisi. L'avere una convinzione propria e tenerla ben eretta come una fiaccola sopra la marea delle teste «omologate» è un impegno serio e severo. La folla anonima può persino essere un orizzonte sicuro in cui riparare, dissolvendo in essa non solo le proprie paure, ma anche la fede, l'identità e la coerenza. La massa o la grigia collettività non è mai da scambiare con la comunità viva in cui le diversità creano armonia nell'unità.