mercoledì 4 maggio 2011

La beatificazione di Wojtyla e la fermezza di Papa Ratzinger nel commento di Andrea Gagliarducci

Ratzinger beatifica il predecessore

«Fu grande anche nella sofferenza»

ANDREA GAGLIARDUCCI

Città del vaticano.

«Finalmente quel giorno è arrivato. Giovanni Paolo II è beato». Sottolinea le ultime parole, Benedetto XVI. Viene trasportato da un'onda di emozione. Non è da tutti beatificare il proprio predecessore. Ma soprattutto non è da tutti beatificare l'amico, colui accanto al quale si sono vissuti almeno vent'anni di vita.
Il legame tra Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger era strettissimo, e di lunga data. Quando nel 1976 Karol Wojtyla fu chiamato a predicare gli esercizi spirituali alla Curia Romana, svolgendo il tema che si era scelto ("Cristo segno di contraddizione") citò proprio il libro "Introduzione al cristianesimo" di Joseph Ratzinger. E Ratzinger, nel primo discorso alla Curia, si lasciò andare a un commosso ricordo dell'amico. "Mi sembra ancora di vedere le tue mani".
Giovanni Paolo II è beato, nonostante negli ultimi tempi, sull'onda lunga della beatificazione, molti libri ne abbiano contestato la fama di santità.
Tutti a rimestare le ombre e le contraddizioni di un pontificato di 27 anni, a ricordare lo scandalo Ior/Banco Ambrosiano, le coperture allo scandalo della pedofilia, il caso del fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel. Molte ombre sul Pontificato.
Ombre che si addensavano su una santità popolare, un grido di santità che si era elevato subito nella piazza al giorno dei funerali, officiati dallo stesso Joseph Ratzinger.
«Sei anni or sono - dice il Papa nell'omelia - ci trovavamo in questa piazza per celebrare i funerali del Papa Giovanni Paolo II.
Profondo era il dolore per la perdita, ma più grande ancora era il senso di immensa grazia che avvolgeva Roma e il mondo intero. La grazia che era come il frutto dell'intera vita del mio amato predecessore, e specialmente della sua testimonianza nella sofferenza».
Una testimonianza nella sofferenza ricordata anche ieri, nella Messa di ringraziamento officiata sul sagrato di San Pietro dal cardinal Tarcisio Bertone, segretario di Stato.
«La sua - ha detto Bertone - era una santità vissuta, specialmente negli ultimi mesi, nelle ultime settimane, in totale fedeltà alla missione che gli era stata assegnata, fino alla morte. Anche se non si trattava di un martirio vero e proprio, tutti abbiamo visto come gli è stato tolto tutto ciò che umanamente poteva impressionare: la forza fisica, l'espressione del corpo, la possibilità di muoversi, perfino la parola. E allora più che mai ha affidato la sua vita e la sua missione a Cristo, perché solo Cristo può salvare il mondo. Sapeva che la sua debolezza corporale faceva vedere ancora più chiaramente il Cristo che opera nella storia. E offrendo la sua sofferenza a lui e alla sua Chiesa, ha dato a tutti noi un'ultima, grande lezione di umanità e di abbandono tra le braccia di Dio».
Un abbandono sottolineato dalle pagine del Vangelo posto sulla bara di Giovanni Paolo II al funerale, mosse dal vento, come se - ricorda Bertone - il vento dello Spirito avesse voluto segnare la fine dell'avventura umana e spirituale di Karol Wojtyla». «Da questo Libro - ricorda ancora Bertone - Giovanni Paolo II scopriva i disegni di Dio per l'umanità e per se stesso, ma soprattutto imparava Cristo, il suo volto, il suo amore, che per Karol era sempre una chiamata alla responsabilità".
Benedetto XVI parla con una forza rara nelle sue omelie, posate e calme, generalmente pronunciate con un tono da professore. «Già in quel giorno - dice - sentivamo aleggiare il profumo della sua Santità, e il popolo di Dio ha manifestato in molti modi la venerazione per lui. Per questo ho voluto che, nel doveroso rispetto della normativa della Chiesa, la sua causa di beatificazione potesse procedere con discreta celerità».
Sono parole che pesano.
In molti avrebbero voluto, sull'onda della volontà popolare, una canonizzazione lampo. Una pressione che voleva strumentalizzare un Papato, coprire le mancanze di molti. Allo stesso tempo, altri volevano che fosse mostrata più prudenza.
Benedetto XVI, che con Giovanni Paolo II aveva condiviso una larga parte della vita, era sicuro della santità. Non l'ha voluta far strumentalizzare. Ma non ha ritenuto necessario un supplemento d'indagine: bastava la sua esperienza personale e la richiesta del popolo di Dio. Un "grazie collettivo" cui si erano dovuti inchinare i capi di Stato di quasi 200 paesi che erano accorsi a Roma alle sue esequie, che non potevano sottrarsi a quell'ondata di ammirazione che invadeva il mondo. Un "miracolo" ripetuto anche ieri, con la presenza di delegazioni da oltre 90 paesi alla beatificazione. Le stesse delegazioni che osannavano Wojtyla quando andava oltre la Cortina di Ferro, lo condannavano quando difendeva la vita.
Benedetto XVI commenta le letture della domenica, il significato della resurrezione. E ritorna sulla figura di Giovanni Paolo II, che «si aggiunge alla schiera di Santi e Beati che ha proclamato durante i quasi 27 anni di pontificato, ricordando con forza la vocazione universale alla misura alta della vita cristiana, alla santità». Ricorda di Giovanni Paolo II la devozione a Maria, lo stemma e il motto del pontificato dedicati alla Madonna (Totus tuus), ricorda il "non abbiate paura" della prima omelia di Giovanni Paolo II, ne sottolinea la riflessione sul confronto tra il marxismo e il cristianesimo incentrato sull'uomo. "Il suo messaggio è stato questo: l'uomo è la via della Chiesa, e Cristo è la via dell'uomo". E infine ringrazia per poter essere stato vicino, come collaboratore, al suo amico fidato per 23 anni. «Beato te, Papa Giovanni Paolo II, perché hai creduto! Continua - ti preghiamo - a sostenere dal Cielo la fede del Popolo di Dio».

© Copyright La Sicilia, 3 maggio 2011

Nessun commento: