Le linee guida della Chiesa sugli abusi dei sacerdoti sui minori
Perché si faccia «piena luce» la verità ha bisogno dell’amore
Marina Corradi
La volontà che si faccia piena luce, davanti a Dio e agli uomini. Le linee guida date dalla Congregazione per la Dottrina della Fede ai vescovi per l’intervento nel caso di abusi sessuali di sacerdoti su minori semplicemente applicano il rigore voluto da Benedetto XVI e già espresso nella Lettera ai cattolici d’Irlanda.
La cui drammatica eco – «Avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti. Dovete rispondere a Dio onnipotente, come pure a tribunali debitamente costituiti» – si riflette in queste linee: nella primaria sollecitudine per le vittime, nella collaborazione con la giustizia civile.
Come ha detto Benedetto XVI nel libro intervista con Peter Seewald, «quello che non deve mai succedere è che si fugga, e si faccia finta di non vedere».
Atteggiamento del quale un’immagine potrebbe essere il cardinale Bagnasco, l’altro giorno a Sestri Ponente: che è andato di persona in una comunità sconvolta dall’arresto di un sacerdote. Nessun equivoco dunque sulla drammaticità del male inflitto, e patito, né sulla necessità che la giustizia faccia il suo corso. Ma, abituati come siamo al giustizialismo rabbioso delle piazze, in queste linee guida troviamo invece altri toni, oggi non così usuali. «Il vescovo ha il dovere di trattare tutti i suoi sacerdoti come padre e fratello», si legge. È una questione, fondamentalmente, di amore al primo posto nel discernimento sul cosa fare, di fronte al peggiore dei mali che possano intaccare la Chiesa.
Amore che, come ha detto Benedetto XVI in «Luce del mondo», «non è soltanto gentilezza e cortesia, ma è amore nella verità»: «Anche la punizione può essere un atto d’amore». E questo è il punto in cui, nella rigorosa fermezza impartita dal Papa contro il cancro della pedofilia, si vede il discrimine fra la giustizia degli uomini e quella che anima la Chiesa: non è mai per annientare, per distruggere, che si processa e si punisce un colpevole. C’è sempre al fondo una tensione a riscattare, a ricreare, perfino dal più profondo dei baratri. Di fronte al più infame dei peccati, là dove il sangue freme, ed è istintivo il desiderio di restituire il male fatto, la Chiesa ricorda ai vescovi che devono trattare i loro sacerdoti «come padri, e fratelli». E ben sapendo poi come la più severa delle leggi non elimini la possibilità del male, il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede dedica ampio spazio alla formazione e all’accompagnamento dei preti. Tutto, in realtà, comincia qui. Perché un ragazzo decide di farsi prete? Perché a fronte dell’amore che prova per Cristo, nessun altro amore tiene, spiegano quelli che ancora oggi, contro la corrente, fanno questa scelta. E come, a fronte di questo inspiegabile vertiginoso amore, il destino di alcuni possa precipitare nell’abiezione più vergognosa, è un doloroso buio mistero. Ma occorre non dimenticare, di fronte allo scandalo, che è possibile, e milioni di volte nella storia della Chiesa è stato vero, restare invece fedeli a quell’amore promesso assoluto, totale, tanto che niente, al confronto, basta. Anche in queste linee date sull’urto di un frangente drammatico, la Chiesa si conferma fedele alla sua vocazione. Che è alla verità, ma alla verità nell’amore. E perciò non cede, come certa umana 'giustizia', ad ansie di annientamento dei colpevoli; e perciò va oltre la condanna, e pensa a come fare, a come educare, perché non accada più. In fin dei conti è semplicemente l’attitudine di una madre: che, comunque, spera che il figlio viva, e ritorni; che riflette su dove ha sbagliato, ed è tesa a non ripetere i suoi errori.
Materna antica attitudine, nelle città degli uomini così strana, e straniera.
© Copyright Avvenire, 17 maggio 2011 consultabile online anche qui.
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