Il Pontefice intellettuale battezza il nuovo Nordest laboratorio di cristianità
Filippo Tosatto
Nell’evocazione simbolica di Benedetto XVI il Nordest, la terra in cui viviamo, si rivela microcosmo di una modernità tumultuosa e contraddittoria ma, insieme, capace di sprigionare energie straordinarie.
E’ la nuova frontiera, sì. Che nella visione del Papa non coincide con l’immagine del fortilizio “padano” assediato dalla «paura degli altri, degli estranei e dei lontani che sembrano attentare a ciò che noi siamo»; ma diventa piuttosto un laboratorio di futuro possibile, di «speranza cristiana» non illusoria «per l’uomo moderno, sopraffatto non di rado da vaste e inquietanti problematiche che pongono in crisi i fondamenti del suo stesso agire».
Nelle tappe che scandiscono una visita per molti versi indimenticabile - dall’antico cuore friulano di Aquileia alla città di terra e di acqua dell’evangelista Marco - il sodale e successore di Karol Wojtyla scorge i segni del cambiamento epocale ma non si ritrae alla sfida né invita i fedeli all’arroccamento.
Viceversa, delinea il nuovo compito dei cristiani. Chiamati a testimoniare e a tradurre nelle istituzioni pubbliche e nella società civile i valori fondanti di una fede identitaria: «Comunione, solidarietà e condivisione». Ecco, l’appello ai cattolici affinché diano vita a una «nuova generazione di uomini e donne impegnati nella politica», se costituisce una novità sorprendente alla luce dell’abituale prudenza “civica” della Santa Sede, appare però coerente all’analisi allarmata del nostro tempo, tale da richiedere soluzioni ardite, non certo ripiegamenti di comodo: «Non abdicate alla ricerca della verità», esorta con l’impeto del teologo «non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete, siate protagonisti, non tiepidi seguaci della tradizione».
L’emozione composta nella basilica “madre” di Aquileia, la folla straripante di fedeli che trasforma il green di San Giuliano in una spettacolare cattedrale a cielo aperto, la papamobile che corre sulle pietre di piazza San Marco, la gondola “pontificia” sul Canal Grande. Mestre e Venezia accolgono con affetto devoto il Pontefice, quasi un nonno gentile che indica la strada maestra senza alterigia, con l’umana partecipazione di chi si sente «strumento inadeguato» (le sue prime parole dopo il Conclave) del disegno divino.
Parla a tutti, papa Benedetto. Ai devoti delle diverse confessioni, agli agnostici, ai non credenti. In un dialogo ecumenico senza rinunce, fondato sulla «ragionevole certezza» della fede cristiana eppure sensibile al confronto. Perché «si è esaurita la forza propulsiva delle ideologie» e la persona deve ritrovare una centralità usurpata da egoismo, ossessione consumista, ateismo “pratico”.
Così l’abbraccio a Venezia e al Veneto («Un’esperienza meravigliosa», la definirà nell’atto di congedarsi) va oltre l’omaggio di circostanza: «Serenissima è un titolo davvero stupendo, si direbbe utopico, rispetto alla realtà terrena, e tuttavia capace di suscitare non solo memorie di glorie passate, ma anche ideali trainanti nella progettazione dell’oggi e del domani, in questa grande regione». E il predicatore cede il passo all’intellettuale - al cultore della filosofia e della musica - nell’incontro con la cultura e l’economia: non cedete al pensiero «liquido», esorta, ma rispetto a «l’effimero e il relativo», privilegiate le scelte «fondate su arte, sapere, relazioni tra gli uomini e i popoli».
Al suo fianco, il cardinale patriarca Angelo Scola, il cui prestigio, negli equilibri vaticani, trapela anche dall’editoriale a sua firma («La provocazione di ripensarsi») comparso ieri sulla prima pagina dell’Osservatore Romano. Le quindici diocesi del Triveneto - chiamate a fronteggiare un impegno senza precedenti - organizzativo, pastorale, mediatico - hanno dato indubbia prova di efficienza e l’energia espressa dalle centinaia di parrocchie mobilitate ha confermato la vitalità del popolo cristiano. Abile e autorevole artefice dell’operazione è stato il patriarca, che sul piano geopolitico ha ricapitolato il senso ultimo della missione papale nel “battesimo” del «Nuovo Nordest», non più soltanto terra di confine tra est e ovest ma epicentro dei flussi tra Adriatico e Mediterraneo, Europa e Africa. Voci insistenti indicano il cardinale Scola come prossimo arcivescovo di Milano, la maggiore diocesi del continente a un “battito di cuore” dalla cattedra di Pietro. Se l’arrivo di papa Benedetto ha coinciso con l’epilogo del suo magistero a Venezia, ebbene, si è trattato di un commiato dal profilo elevato.
Ai tanti, semplici, fedeli che nell’intimo pregano e cercano nella parola di Gesù una ragione fondata di speranza, resta invece una certezza. Al timone della cristianità non c’è il prelato divorato dai dubbi interprete del controverso «Habemus Papam» morettiano bensì un pastore rigoroso, fermo nei princìpi ancorché sereno e dialogante, che non distoglie lo sguardo dai punti di crisi e scorge nelle diversità dei popoli altrettante opportunità di crescita. Per il Veneto, per la Chiesa, per l’intera umanità in cammino.
© Copyright La Nuova Venezia, 9 maggio 2011 consultabile online anche qui.
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