giovedì 1 settembre 2011

Fine del Cristianesimo «piacione» (Di Giacomo)

Su segnalazione di Alessia leggiamo:

Fine del cristianesimo «piacione»

Filippo Di Giacomo

Diceva Gramsci che il grande problema della classe «politica» liberale dei suoi tempi consisteva nel considerare il popolo come un nemico da cui difendersi e non per ciò che era: carne viva della storia, faccia reale del Paese da aiutare nel riscatto sociale. Il termine non è più in uso, ma come appaiono piccolo borghesi le finte polemiche, regolarmente riciclate, sui giornali della settimana scorsa… Cifre immaginifiche sparate senza prendersi la pena di distinguere tra Santa Sede e Chiesa italiana, trattando entrambe al pari di una multinazionale del tabacco, dedite a far male alla salute altrui spacciando fumo. Poi, dovendo considerare «di sinistra», già che qualcuno li ha messi nel casting del Pd, i più acerrimi avversari dello Statuto dei lavoratori, ormai dediti a sostenere vacillanti imperi di cartone, il rischio di innervosirsi incombe. Così, se ancora qualche dubbio esiste sul fatto (diceva l’immenso Edmondo Berselli) che i nostri «sinistrati» abbiano la brutta abitudine di guardare al Paese reale con lo stesso sguardo della «nouvelle cuisine» (rien dans l’assiette, tout dans l’addiction, niente sul piatto, tutto sul conto), con le polemiche sulle «case dei preti» se ne ha conferma.
Come ha scritto qualche mese fa un arguto, e spiritoso, corrispondente di un quotidiano spagnolo sul suo blog «Vaticalia», ormai in Italia per sentire qualche seria idea riformista bisogna andare in chiesa. Chi ha avuto in sorte di seguire i due Papi di questo secolo durante il loro pellegrinare nel mondo, ripensa a quel loro prendere in contropiede le gerarchie e i quietisti di ogni confessione e religione quella «laica» compresa, che come tempio ha le banche, per farsi pellegrini della speranza nel mondo intero. Ci hanno insegnato a parlare di Cristo presente nella storia, e dei valori che ne conseguono, smascherando i «poteri» costituiti ed anche quelli occulti, sfidando gli insulti, gli strali e le contumelie che gli intellettuali à la mode hanno assicurato, a Giovanni Paolo II, dalla malattia fino alla morte e a Benedetto XVI, ininterrottamente, sin dal giorno della sua elezione.
Come scrive Luca Doninelli, se ci poniamo su l’orizzonte contingente del Paese reale, è sufficiente che dieci, cento, mille battezzati (i numeri non contano) si mettano insieme per vivere il cattolicesimo, per condividere cioè la certezza che questa vita è più bella e umana per tutti, per accorgersi che man mano che le illusioni crollano la convenienza umana e sociale del cristianesimo diventa sempre più palese. Benedetto XVI lo ha reso evidente: per incontrare Gesù Cristo in una comunità cristiana, bisogna sempre mostrare la propria faccia. In Spagna a Madrid, ha funzionato egregiamente. Funzionerà anche ad Ancona, la prossima settimana per il Congresso Eucaristico nazionale, e poi in autunno, ad Assisi per il prossimo incontro interreligioso, perché questo sembra essere il metodo al quale la storia sta affidando con urgenza il dialogo tra le culture e le religioni del nostro Paese, dell’Europa e del resto del mondo.
La «transnazionalità», oltre che predicarla, bisogna avere il coraggio di praticarla, senza quei paraocchi, che impediscono di parlare dei cristiani perseguitati perché i diritti alla libertà di pensiero che reclamano non sono conformi allo stupidario occidentale imposto dalla cultura egemone. Eppure, la storia è stata attraversata da sistemi morali «maggioritari» che hanno fornito alibi per ogni sorta di orrori.
Mentre oggi, la Chiesa sta compiendo sinceri sforzi per far uscire i cattolici da quel «cristianesimo piacione» tipico della Dc «fine regime» e di uno sparuto gruppo di suoi sopravvissuti, la cultura laica continua ad ammannire un liberalismo piacione, un socialismo piacione, un terzomondismo piacione... Pazienza, ancora, anche per questo? Basta girare in qualche borgo italiano, popolato soprattutto da sessantenni ed oltre, perchè ogni coscienza ben ordinata comprenda che quando una condotta di vita individuale, familiare, professionale o sociale è gravemente contraria ai fondamentali valori morali, non è mai un fatto «personale». Quei «semplici» che continuano a custodire chiese, campanili, oratori, mense della Caritas ed altro, barcamenandosi tra infinite mezze provvidenze che lo stato e gli enti locali distribuiscono e permettono (risparmiando così su costi sociali molto più elevati) sono più acuti dei dotti: capiscono meglio e più in fretta. Come dimostrato da venti secoli di santità cristiana, non per caso Cristo, prima della sua ascensione, ringraziava il Padre perché le cose da lui rivelate erano state accolte dai poveri e dagli incolti e osteggiate da coloro che credevano di essere talmente intelligenti da non dover più nulla apprendere. I potenti passano, i campanili restano: parola di ragione più che di religione.

© Copyright L'Unità, 1° settembre 2011 consultabile online anche qui.

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